Il Decreto "Salva Banche"

A cura di Francesco BrameriniManuela MalteseMario Recchia (partecipanti agli Executive Master in Giurista d'Impresa e Avvocato di Affari - RM)


Il pegno mobiliare non possessorio

La prima misura a sostegno delle imprese prevista dal Decreto Banche è denominata “pegno mobiliare non possessorio[1]”. Essa non è esattamente una novità. Difatti altri ordinamenti europei già la prevedono e la disciplinano, come ad esempio, l’ordinamento giuridico olandese, che prescrive rigide e severe formalità per la costituzione della garanzia, oppure quello inglese, il quale permette la costituzione di garanzie non possessorie fin dal Bills of Sale Act del 1854. 

Il pegno mobiliare non possessorio si differenza dal pegno ordinario, disciplinato all’art. 2874 c.c., per un motivo in particolare: non è previsto per il primo lo spossessamento del bene oggetto di pegno. Mentre, come è noto, per il pegno possessorio, la consegna è requisito indispensabile per la sua costituzione. Ciò significa che l’imprenditore potrà continuare a servirsi del bene oggetto di pegno non possessorio, utilizzandolo nel processo produttivo dell’impresa. Unica condizione da rispettare è quella di non mutare il vincolo di destinazione del bene all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Potranno essere perciò dati in pegno quei beni come gli strumenti tecnici necessari per la produzione dell’attività aziendale, oppure le materie prime, come i prodotti in corso di lavorazione, scorte e merci. Restano però esclusi dall’ambito operativo di questa norma i beni mobili registrati, come i veicoli.

Per poter usufruire di questo istituto occorre che, da un lato, la richiesta sia avanzata da un imprenditore, regolarmente iscritto al Registro delle Imprese, e dall’altro lato, che i crediti garantiti vengano concessi per l’esercizio dell’impresa. I crediti potranno essere presenti o futuri, determinati o determinabili anche mediante riferimento a una o più categorie merceologiche o a un valore complessivo.

Non ci sono specifiche condizioni da soddisfare circa la natura del soggetto finanziatore, potendo essere potenzialmente chiunque conceda finanziamenti agli imprenditori inerenti l’esercizio di impresa.

Il bene dato in pegno, salvo che non sia diversamente previsto, può essere trasformato oppure alienato, dal debitore o dal terzo concedente il pegno, purché venga sempre rispettata la destinazione economica. In caso di trasformazione, il pegno passerà al prodotto risultante, mentre in caso di alienazione, il pegno si trasferirà sul corrispettivo ottenuto dalla vendita. È possibile anche disporre del bene oggetto di pegno e, in questo caso, la garanzia si trasferirà al bene sostitutivo acquistato con il corrispettivo della vendita.

Per la costituzione è prevista la forma scritta ad substantiam, e le indicazioni necessarie che devono comparire riguardano: il soggetto creditore, il soggetto debitore, eventuali terzi concedenti il pegno, la descrizione del bene mobile oggetto della garanzia, la descrizione del credito e del relativo importo massimo garantito.

Ai fini costitutivi e pubblicitari è richiesta una iscrizione in uno specifico registro informatico dell’Agenzia delle Entrate denominato: “Registro dei pegni non possessori”. Dalla data dell’iscrizione, salvo eccezioni[2], il pegno mobiliare non possessorio sarà opponibile a terzi. L’iscrizione ha durata di dieci anni ed è rinnovabile.

Il creditore potrà procedere, dopo aver dato avviso scritto al datore della garanzia, ed eventualmente a coloro che ne hanno interesse[3], all’escussione del pegno non possessorio secondo le seguenti modalità:

  1. procedere alla vendita dei beni oggetto del pegno trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a concorrenza della somma garantita, informando immediatamente per iscritto il datore della garanzia dell’importo ricavato restituendo contestualmente l’eccedenza;
  2. procedere all’escussione dei crediti oggetto di pegno fino a concorrenza della somma garantita;
  3. ove previsto nel contratto di pegno e ove sia iscritto nel Registro delle Imprese, procedere alla locazione del bene oggetto del pegno, imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto preveda i criteri e le modalità di valutazione del corrispettivo della locazione;
  4. ove sia previsto nel contratto di pegno e ove sia iscritto nel Registro delle Imprese, procedere all’appropriazione dei beni oggetto del pegno fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto preveda anticipatamente i criteri e le modalità di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell’obbligazione garantita;

Nell’ipotesi di fallimento del debitore l’escussione del pegno da parte del creditore avverrà secondo le modalità appena descritte, ma solo a condizione che il suo debito sia stato iscritto al passivo con il riconoscimento della prelazione. A differenza di quanto previsto per il pegno ordinario, l’escussione avviene senza valutazione di sorta, da parte degli organi della procedura, sulla opportunità o meno di addivenire alla vendita del bene.

Il legislatore ha previsto anche il rimedio del risarcimento del danno, qualora il bene dovesse venire escusso non rispettando le modalità appena elencate, oppure ad un prezzo inferiore a quello di mercato.

Le due tipologie di pegno infine saranno entrambe assoggettate alla stessa disciplina prevista in caso di revocatoria fallimentare, ex art. 66 e 67 L.F.

In conclusione, v’è da chiedersi, come hanno fatto alcuni professionisti del settore, se le azioni o le quote di partecipazione saranno suscettibili di essere concesse in pegno non possessorio, e quindi se questo istituto sarà compatibile con quelle norme che disciplinano la materia della circolazione delle partecipazioni e della concessione di garanzie sulle stesse.

 

Il contratto di trasferimento sospensivamente condizionato: una nuova forma di finanziamento per le imprese

La seconda importante novità del D. L. 59/2015 è prevista all’art. 2. Esso è rubricato come “finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato”.

La norma regola il contratto di finanziamento tra un imprenditore e una banca finanziatrice (o soggetto autorizzato[4]) garantito dal trasferimento, in favore del creditore, della proprietà di un immobile (o di altro diritto immobiliare) dell’imprenditore o di un terzo, sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore. Solo in caso di inadempimento, quindi, il creditore potrà ottenere la proprietà del bene, dovendo però corrispondere la differenza tra il valore di stima, risultante dalla relazione redatta da un esperto nominato dal Tribunale, e l’ammontare del debito inadempiuto e delle spese di trasferimento.

Possono costituire oggetto di trasferimento sospensivamente condizionato gli immobili di varia natura, come ad esempio i terreni, i fabbricati strumentali e quelli abitativi, fuorché gli immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge o di suoi parenti e affini entro il terzo grado.

La trascrizione nei Registri Immobiliari del trasferimento sotto condizione sospensiva, impedisce la pubblicazione sul bene di altre forme di pubblicità pregiudizievoli per la banca finanziatrice. Qualora la condizione di inadempimento si dovesse verificare, il titolo di proprietà del bene immobile si trasferirebbe alla banca nel momento stesso in cui l’accordo venne originariamente trascritto.

Secondo la legge sussiste inadempimento:

  1. nel caso di ammortamento a rate mensili, quando si abbia un mancato pagamento protratto per oltre dodici mesi dalla scadenza di almeno tre rate (anche non consecutive);
  2. nel caso di ammortamento a rate di durata superiore a quella mensile, quanto si abbia il mancato pagamento anche di una sola rata;
  3. nel caso di obbligo di restituzione non rateale (il finanziamento da restituire in unica soluzione a una data scadenza), qualora si abbia un ritardo di oltre sei mesi rispetto alla data in cui il rimborso sarebbe dovuto avvenire;

La nomina di un esperto da parte del Presidente del Tribunale del luogo dove si trova l’immobile è fondamentale per effettuare una relazione di stima del valore del bene. Essa deve fare seguito ad una notifica da parte del creditore al debitore, e ai creditori iscritti, di una dichiarazione concernente la propria volontà di avvalersi dell’effetto traslativo. Devono inoltre decorrere almeno 60 giorni dalla data della  notificazione. Il passaggio del titolo di proprietà si verificherà immediatamente, qualora il valore del bene immobile dovesse essere superiore all’importo del credito elargito. Altrimenti, sarà necessario versare al debitore la differenza tra il valore peritato e l’importo del credito, per attuare il trasferimento. Una eventuale contestazione del debitore riguardo la relazione di stima del perito nominato dal Tribunale, non ne sospende il trasferimento.

Questa nuova modalità di garanzia, una volta che entrerà in vigore, potrà trovare applicazione anche in quei casi di immobili già gravati da ipoteca. Infatti la nuova legge stabilisce che il patto di trasferimento sospensivamente condizionato prevale sulle formalità trascritte o iscritte nei registri immobiliari successivamente alla iscrizione della originaria ipoteca.

Purtroppo la norma de quo già pone degli interrogativi pratici, che alcuni professionisti non hanno mancato di avanzare: (i) dato che l’inadempimento rilevante ai fini del trasferimento dell'immobile concesso in garanzia consiste nel mancato pagamento di quanto dovuto, viene chiesto se è solo questa la tipologia di inadempimenti rilevanti nella prassi per giustificare l'azionamento dei rimedi contrattuali spettanti al creditore e l'escussione delle garanzie? (ii) in aggiunta, il creditore che vorrebbe vedersi trasferire l'immobile cedutogli in garanzia a fronte del mancato pagamento del debitore è soggetto al blocco delle azioni esecutive a fronte della presentazione della domanda di concordato o dell'accordo di ristrutturazione (anche nelle forme “prenotative”)?

 

La natura del patto marciano e la differenza con quello commissorio

Questo accordo di trasferimento sospensivamente condizionato, così come definito dal Decreto Banche, è un  classico esempio di patto marciano.

Anche se alcuni autori considerano la disposizione in esame come una banalità, poiché a loro avviso “non costituisce una sostanziale variante rispetto alla situazione pregressa in cui l’erogazione di un finanziamento si accompagnava ad una accensione di ipoteca” e che “negli effetti dunque si risolve prevalentemente in uno strumento deflativo dell’attività giudiziaria”, comprendere a fondo la natura di questo schema negoziale è di estrema importanza. Sopratutto perché, come analizzeremo al termine del paragrafo, sono state concepite dal nostro Governo disposizioni, che a prima vista sembrerebbero introdurre un altro esempio di patto marciano, ma che difetterebbero per la mancanza di alcuni requisiti fondamentali. E siccome il confine del patto marciano non è mai stato delineato con certezza, poiché il nostro codice civile lo ha sempre ignorato, la letteratura e la giurisprudenza hanno dimostrato nel corso del tempo un certo grado di volubilità a proposito della sua liceità.

Come appena detto il patto marciano, pur non essendo mai stato definito dalla legge positiva, non è  stato sicuramente sconosciuto né alla dottrina né alla giurisprudenza. Esso, addirittura, vanta una millenaria tradizione dogmatica. Se ne parla per la prima volta all’interno di un testo del giurista Elio Marciano, nel quale veniva prevista la possibilità di permettere al creditore insoddisfatto di appropriarsi della cosa ricevuta in garanzia, purché stimata al giusto prezzo (“res giusto premio tunc aestimandam”: D.20.1.16.9).

La differenza con il patto commissorio è evidente. In quest’ultimo caso siamo di fronte all’accordo con il quale il debitore, a garanzia della soddisfazione di un proprio debito, mette a disposizione un proprio bene. Il titolo di proprietà del bene passerà al creditore, ma solo in caso di inadempimento.

Il nostro legislatore ha sempre fortemente condannato la stipulazione del pactum commissorium, prevedendo la sanzione della nullità addirittura in due articoli, ossia agli artt. 1963 e 2744 c.c.[5]

Con la prima norma si sanziona come nullo il patto commissorio in materia di anticresi, mentre con l’ultima  viene prevista la nullità sia quando tale stipulazione è contestuale all’istituzione della garanzia, e sia quando è “posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno”.

Il patto marciano fu concepito come correttivo del patto commissorio, ossia come rimedio alla invalidità di quest’ultimo. Tuttavia la trattazione giurisprudenziale che lo riguarda, rispetto a quella del patto commissorio, è esigua. Ciò, secondo alcuni autori, dipenderebbe dalla concordia esistente in dottrina della sua validità ed ammissibilità. Secondo altri, al contrario, sarebbe stata causata del timore degli operatori economici di incorrere nella sanzione di nullità testualmente sancita per il patto commissorio.

È corretto osservare che la giurisprudenza e la dottrina non hanno avuto sempre un parere univoco circa la liceità del patto marciano, sopratutto per alcuni connotati che lo assimilavano a quello commissorio.

Sul finire degli anni Ottanta, infatti, due sentenze gemelle delle Sezioni Unite dichiaravano nullo qualsiasi negozio che realizzava il trasferimento della proprietà di un bene allo scopo di realizzare un soddisfacimento di un debito dell’alienante nei confronti dell’acquirente. I confini del patto commissorio, a seguito di queste pronunce, erano talmente estesi da comprendere al loro interno tutti quei casi di accordo in cui si conviene che la proprietà di un bene si trasferisca al creditore in caso di inadempimento. L’opinione delle Sezioni Unite, nel caso in cui si realizzasse una alienazione di un diritto in garanzia,  era di assoluta condanna. A suo avviso, l’intervento della tutela legislativa veniva imposto in favore del debitore, per il semplice fatto di essere stato privato della libertà di contrattare. Secondo questa mentalità, il divieto del patto commissorio si fonda sull’esigenza di salvaguardare il debitore - non già da uno scambio economicamente squilibrato, bensì - da un trasferimento illiberale in quanto programmato come effetto automatico dell’inadempimento.

Se una parte della dottrina, condividendo questa impostazione delle Sezioni Unite, negava la validità del patto marciano, altri autori, di converso, continuavano ad affermarne la validità. Le loro argomentazioni erano delle più disparate. Alcune, adottando un metodo comparativo, muovevano dalla sicura liceità di altri istituti come quello del pegno irregolare. Altre, invece, concepivano il divieto commissorio come espressione del principio solidaristico dell’art. 2 Cost., cioè come regola volta ad impedire il compimento di ingiuste prevaricazioni in danno del debitore. Di conseguenza non si ritenevano illecite le alienazioni di beni in garanzia, ma solo quelle sproporzionate. L’elemento della proporzionalità tra l’ammontare del credito e il valore della res acquisiva con il passare del tempo sempre maggiore risalto, fino a condurre alle pronunce dell’ultimo ventennio.

La Suprema Corte, quindi, allineandosi alla dottrina che proclamava la validità del patto marciano, è giunta in una recente pronuncia ad affermare che “il disvalore del patto commissorio dipende dalla sua attitudine a produrre effetti che l’ordinamento ripugna e che si risolvono non già in una garanzia, ma in un “eccesso di garanzia per il creditore e di responsabilità per il debitore”. Di recente quindi sono state emanate delle sentenze dai giudici della cassazione che hanno salvato alienazioni con funzioni di garanzia, proprio in quanto corredate da una regolamentazione marciana, in grado di assicurare la congruenza tra il valore del bene e l’entità del credito residuo[6].

Infine, non è sicuramente da sottovalutare l’aspetto che altri ordinamenti europei considerino valido il patto commissorio. Fra tutti questi ordinamenti merita ricordare quello anglosassone. Questa difformità tra sistemi sanzionatori risulta essere di estremo valore, sopratutto quando ne vengono percepiti i riflessi dalla importazione nel nostro sistema giuridico di alcune forme creditizie di quell'ordinamento: come ad esempio il caso del prestito vitalizio ipotecario[7].

L’importanza che nel contesto comunitario riveste il patto marciano non sembra essere messa in discussione. Una prova infatti è data dalla progettata codificazione europea, che considera questo istituto come il possibile punto d’incontro fra gli ordinamenti che vietano il patto commissorio e quelli che lo ammettono.

Un esempio di ciò è tratto dal Draft of a Common Frame of Reference, il quale ribadisce l’invalidità dell’accordo commissorio, salvo i casi in cui la garanzia abbia ad oggetto beni fungibili a quotazione corrente o le parti abbiano concordato un metodo di stima, ipotesi nelle quali il creditore insoddisfatto ha titolo all’appropriazione dell’asset per il valore di mercato o di stima, con obbligo di restituzione dell’eccedenza (DCFR, IX, 7:105).

In conclusione, merita ricordare che il nostro Governo, con il recepimento della direttiva 2014/17/UE, in materia di offerta di contratti di credito immobiliare ai consumatori, ha emanato il D. Lgs. 21 aprile 2016 n. 72, pubblicato sulla G.U. del 20 maggio 2016.

L’art. 120-quinquiesdecies, 3 e 4 comma, sembra introdurre una particolare forma di patto marciano. Tuttavia, poiché tali norme sono state contestate dalla stampa specializzata, l’art. 3 del Decreto ha previsto solo per esse una entrata in vigore posticipata.

La differenza con l’accordo di trasferimento sospensivamente condizionato previsto dal Decreto Banche, è che in questo caso la parte che si accorda con il finanziatore è un consumatore, non un imprenditore[8].

Ma nonostante questo, anche se sono presenti alcune misure che vanno a vantaggio del “contraente debole” (come la consulenza gratuita e il fatto che il finanziatore non possa condizionare la conclusione del contratto di credito con la sottoscrizione della clausola), permangono sempre dei dubbi circa l’equità della norma.

Infatti sembra essere completamente compromessa la funzione che la relazione di stima deve svolgere in un accordo marciano. Basta ad esempio pensare che un metodo di vendita concepito dalla norma de quo è quello in cui l’immobile resta provvisoriamente di proprietà del consumatore inadempiente, e la Banca dispone della possibilità di venderlo a terzi trattenendo il prezzo ricavato. È vero che al comma 3 si precisa che “in ogni caso, il finanziatore si adopera con ogni diligenza per conseguire dalla vendita il miglior prezzo di realizzo”, ma è altrettanto vero, che in ossequio alle regole di mercato, c’è il rischio che la banca si applichi al fine di vendere l’immobile nel più breve tempo possibile, ad un prezzo non corrispondente al valore stimato, ma vantaggioso sia per se stessa (in quanto difficilmente si priverà di un bene ad un prezzo inferiore all’importo del credito elargito e inadempiuto), sia naturalmente per il nuovo acquirente. Quest’ultimo aspetto è probabilmente quello che non permette di poter configurare un simile accordo tra finanziatore e consumatore come “lecito” patto marciano. La liceità di quest’ultimo infatti risiede proprio nell’obbligo, a carico del creditore, di provvedere a corrispondere, al debitore inadempiente, la differenza tra valore del bene immobile dato in garanzia e quello risultante dalla relazione di stima peritale.

Gli operatori economici che hanno intenzione di redigere una valida clausola marciana dovranno tenere in considerazione tutte le prescrizioni della giurisprudenza. In particolar modo, come è stato autorevolmente osservato, “nella redazione della clausola marciana è infatti indispensabile che le parti disciplinino espressamente l’insorgenza dell’obbligo di restituzione dell’importo eccedente l’entità del credito residuo, quale risulterà a seguito della stima del bene effettuata dal perito.”

 

[1] Il nostro legislatore affianca questa garanzia ad un’altra esistente e contemplata all’art. 46 TUB, che prevede la costituzione di privilegi su beni mobili destinati all’esercizio dell’impresa e non iscritti in pubblici registri. Ma, come è stato correttamente sottolineato, “l’efficacia” del nuovo istituto è superiore trattandosi di pegno.

[2] Il pegno non possessorio non è però opponibile a chi abbia finanziato l’acquisto di un bene determinato destinato all’esercizio dell’impresa garantito da riserva di proprietà sul bene stesso o da un pegno non possessorio regolarmente iscritto nel registro dei pegni non possessori e che al momento di tale iscrizione il creditore abbia informato i titolari di pegno non possessorio iscritti anteriormente.

[3] Si tratta degli eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto successivamente della somma garantita.

[4] soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico ai sensi dell’art.106 TUB

[5] È bene comunque precisare che questo accordo, secondo un orientamento prevalente che trova conferma dall’art. 1419 cc., non importa la nullità del contratto cui accede a meno che non risulti essere stato determinante per la stipulazione dello stesso.

[6] Occorre però ricordare che continuano ad essere presenti autorevoli autori, dubbiosi riguardo la validità del patto marciano. Secondo il loro ragionamento, quando il debitore è sottoposto a vincolo reale (anche se implicito in un’alienazione provvisoria), esso si trova nella condizione di minima resistenza e di massima esposizione, una condizione assai più severa del generico bisogno che legittima l’azione generale di riscossione per lesione, ai sensi dell’art. 1448 c.c. L’espropriazione negoziale che ne approfittasse capziosamente sarebbe quindi nulla, in funzione dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, prescritto dall’art. 2 Cost., e del rispetto della dignità della persona, limite all’iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost.

E siccome la ragione della nullità non concerne l’iniquità nel disporre, ma l’illiceità del disporre, allora anche il patto marciano non è estraneo a questa ragione di nullità e non può essere considerato come panacea del sistema delle garanzie reali.

[7] Introdotto dall’art. 11 quaterdecies, co. 12, d.l. 30.9.2005, n. 203, con. in l. 2.12.2005, n.248, è un finanziamento riservato agli ultrasessantacinquenni come strumento di liquidazione ante mortem  dell’immobile ipotecato, salva restituzione dell’eccedenza agli eredi (equity release, lifetime mortgage, riverse mortgage).

[8] Ulteriore differenza è che, nel caso di inadempimento del consumatore, il legislatore preveda, come prima soluzione, il fatto di poter nominare un perito di comune accordo con il finanziatore. Solo se vi fosse disaccordo fra le parti è prevista la possibilità di nomina da parte del Tribunale. Ma, a questo punto, non è chiaro il motivo di tale possibilità, in quanto se si fondasse su ragioni di celerità, non si comprende come mai non sia stato disposto anche per le imprese.

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