I nomi a dominio

A cura di Emanuele Cretaro, Chiara Ferrauti, Roberto Priolo, Mariangela Romeo  (partecipanti agli Executive Master in Giurista d'Impresa e Avvocato di Affari - RM)


Cos’è il “Nome a Dominio”

Il nome a dominio (detto anche domain name o host name) è l’indirizzo in formato alfabetico di un “sito web”, cioè un luogo virtuale posizionato nella rete Internet. Ad ogni elaboratore collegato ad Internet viene attribuito in automatico un indirizzo IP (internet protocol address) composto da numeri. Poiché i nomi alfabetici sono più facili da memorizzare rispetto ad un numero, per facilitare l’indirizzamento ad un sito prescelto dall’utente, al numero identificativo IP  viene agganciato un nome, che è, per l’appunto, il nome a dominio. Pertanto, il sistema dei nomi a dominio (DNS, Domain Name System) aiuta gli utenti a orientarsi in Internet. Una volta digitato il nome, i server in rete si occupano di trasformarlo nella corretta sequenza di numeri, consentendo al browser (il programma che seleziona i siti presenti in rete) di visualizzare velocemente il sito richiesto dell’utente finale.

Il nome a dominio, quindi, può identificare un’impresa che offre on-line i propri prodotti o servizi, ovvero qualsiasi altra persona fisica o organizzazione, anche non economica, che si serve della rete Internet per le proprie comunicazioni agli utenti finali.

Il nome a dominio è costituito da tre componenti separate da un punto:

  1. un prefisso “www.”, World Wide Web, che indica un sito Internet ed è un suffisso convenzionale creato in automatico dal fornitore del servizio di hosting;

 

  1. un Top Level Domain (TLD) posizionato alla fine del nome a dominio, che identifica il tipo di attività svolto sul sito (es.: .com- sito web commerciale; .org -organizzazioni non a scopo di lucro; .net - privati o aziende quando il .com non è più disponibile; .info - siti web di informazione e news, ecc.); ovvero identifica un determinato ambito territoriale (es.: .it - aziende europee che vogliono marcare l'identità italiana o il collegamento con l'Italia; .eu – utilizzato da individui, aziende o organizzazioni che devono risiedere o avere sede nell'UE; ecc.);

 

  1. un Second Level Domain (SLD) posizionato nella parte centrale del nome a dominio, che identifica il titolare del sito, svolgendo una funzione tipicamente distintiva per chi vuole proporre e promuovere sul mercato i propri prodotti o servizi e che può diventare elemento di valorizzazione per l’affidabilità, la serietà e la rinomanza di un’impresa.

Il dominio di primo livello (TLD) è assegnato dall’ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) ente privato e no-profit, quello di secondo livello, prescelto dall’utente, è assegnato dall’Autority nazionale.

 

La Disciplina Giuridica di un Nome a Dominio

 

I nomi a dominio registrati sono soggetti:

1) alla disciplina sul diritto al nome, come tutelato dagli articoli 6, 7, 8 e 9 cod.civ., dove l’articolo 9 si riferisce allo pseudonimo quando abbia acquisito l’importanza del nome;

2) alla disciplina dei marchi e dei segni distintivi (prevista dagli artt. 2569 e ss. cod. civ. e D.Lgs. n. 30/2005 –Codice della Proprietà Industriale);

3) alla disciplina codicistica sulla concorrenza sleale (artt. 2598-2601 cod.civ.);

4) alla disciplina dei marchi prevista dall’Unione Europea (Prima direttiva 89/104/CEE, sostituita dalla Direttiva 2008/95/CE del Parlamento e del Consiglio; Regolamento n. 2868/1995 della Commissione, recante modalità di esecuzione del regolamento n. 40/1994 del Consiglio sul marchio comunitario, codificato nel Regolamento n. 207/2009 del Consiglio sul marchio comunitario);

Da menzionare, infine, il fatto che la normativa sulla tutela dei marchi è sostanzialmente simile in tutti gli Stati del mondo industrializzato, grazie a una serie di convenzioni internazionali (multilaterali o bilaterali, reperibili su sito http://www.uibm.gov.it/index.php/normativa-generale/accordi-internazionali) che stabiliscono condizioni di reciprocità nel riconoscimento e nella tutela dei segni distintivi, come il TRIPs Agreement (Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), adottato a Marrakech nel 1994 e ratificato dall'Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747, che prevede le linee guida per l’applicazione delle leggi in materia di protezione della proprietà intellettuale ed un apposito sistema per i ricorsi e per le procedure di risoluzione delle controversie.

Per quanto riguarda i nomi di persona, il codice civile (art. 7) stabilisce che la persona la quale contesti a terzi l’appropriazione o l’uso indebito del proprio nome può chiedere la cessazione del fatto lesivo (azione di reclamo, per tutelare il diritto della persona ad usare il proprio nome contro l'atto del terzo che ne impedisce l'uso, e azione di usurpazione, che richiede un pregiudizio anche solo potenziale), oltre il risarcimento dei danni patrimoniali e morali, qualora provati.

Quando il nome a dominio costituisce un segno distintivo per un impiego commerciale, connesso ad attività d’impresa, realizzata mediante il corrispondente sito web (o nome a dominio aziendale), il nome a dominio assume una propria valenza distintiva e pubblicitaria dell’impresa che opera nel mercato e deve possedere i requisiti di: capacità distintiva (idoneo a distinguere un prodotto o servizio da quello di altri), novità (idoneo a non risultare confondibile con segni distintivi anteriori altrui (marchi, nomi a dominio, nomi commerciali), liceità (non contrario alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume e idoneo a non trarre in inganno i consumatori sulla provenienza, sulle caratteristiche e sulle qualità dei relativi prodotti o servizi).

Il legislatore (D.Lgs. n. 30/2005) ha equiparato il nome a dominio agli altri segni distintivi dell’imprenditore (ditta, insegna, marchio), stabilendo all’art. 22 (Unitarietà dei segni distintivi) il divieto di utilizzare nell’attività economica segni distintivi uguali o simili ad altrui marchi (registrati per prodotti o servizi anche non affini o che godano rinomanza nello Stato), che possano determinare per il pubblico un “rischio di confusione o di associazione fra due segni”, con conseguente indebito vantaggio economico per il soggetto che li usi. Pertanto, ai nomi a dominio è attribuita la medesima tutela dei segni distintivi: tutela cautelare, art. 133 e tutela ordinaria, azione di rivendica, art. 118.

In particolare, l’art. 133 prevede la possibilità per l’autorità giudiziaria adita di disporre, in via cautelare, oltre all’inibitoria per l’uso del nome a dominio aziendale illegittimamente registrato, anche il suo trasferimento provvisorio a controparte. Così, il titolare di un marchio registrato ha il diritto di servirsene in modo esclusivo, e quindi anche di registrarlo come nome a dominio. Nel caso in cui altri utilizzino il marchio registrandolo come nome a dominio, il titolare potrà agire in giudizio anche con procedura d'urgenza (ex art. 700 c.p.c.) per inibirne l’uso. Competenti a decidere sono le Sezioni  specializzate per le imprese, istituite presso tutti i tribunali e presso le corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia,previste dal decreto legislativo 27 giugno 2003, n. 168.

Per quanto riguarda gli atti di concorrenza sleale, la normativa codicistica (art. 2598 n.1, cod.civ.) stabilisce che compie atti di concorrenza sleale chiunque usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l'attività di un concorrente. Si tratta di fattispecie generiche che andranno individuate caso per caso dal giudice. Considerato che spesso sussistono atti di concorrenza sleale che integrano anche contraffazione del marchio, le relative azioni a tutela possono essere fatte valere congiuntamente in giudizio. Infatti, la contraffazione e la concorrenza sleale, pur aventi distinte finalità e segnate da diversa natura (rispettivamente “reale” e “personale”), possono avere un importante elemento comune, cioè l'indebita appropriazione del segno distintivo, che genera confusione e danno. Così, per tutelarsi contro gli atti di concorrenza sleale relativi ai nomi a dominio, come ad esempio il “domain grabbing”, è sufficiente l'idoneità dannosa dell'atto, cioè la registrazione da parte del resistente del dominio incriminato. La sussistenza di un danno concreto è necessaria ai soli fini del suo risarcimento.

Peraltro, va osservato che la normativa sulla concorrenza sleale si presenta strettamente collegata anche al divieto di “pratiche commerciali scorrette” a tutela dei consumatori nei rapporti con i professionisti (cfr. artt. 18 e ss. Cod. Consumo, D. Lgs. 206/2005), nei cui confronti è previsto l’intervento sanzionatorio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Mentre a favore del consumatore il giudice civile può approntare il rimedio risarcitorio e/o l’annullamento del contratto per vizio di volontà.

 

La Registrazione di un Nome a Dominio

 

La crescita esponenziale della rete Internet e delle imprese che su questa gestiscono on-line la vendita dei loro prodotti o servizi, ha obbligato a definire ed organizzare su base territoriale l’attività di assegnazione dei “nomi a dominio”.

L’organizzazione internazionale ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) è deputata all’amministrazione dei domini tematici TLD e fissa i criteri generali per la registrazione, che viene demandata ai singoli Stati. In Italia il nome a dominio viene assegnato dalla Registration Autority Italiana, che dà attuazione al “Regolamento di assegnazione e gestione nomi a dominio[1] elaborato dalla “Commissione per le regole e le procedure tecniche del Registro del Country Code TLD (ccTLD) “.IT”, (l’ultima versione è la 7.1 del 3 novembre 2014).

Il sistema di assegnazione dei nomi a dominio si basa su due principi fondamentali:

  1. First come, first served (criterio di priorità cronologica), l’assegnazione del dominio avviene esclusivamente in base alla priorità cronologica della richiesta.
  2. Principio di unicità del nome a dominio (non possono esistere due indirizzi internet uguali), una volta assegnato un nome a dominio, nessun altro potrà usufruirne.

Atteso che in fase di registrazione l’Autority non compie alcuna indagine sulla confondibilità del nome con altri segni distintivi d’impresa, è possibile a chiunque registrare come nome a dominio anche un marchio o altro segno distintivo altrui. Tale indagine si impone quando lo stesso nome, introdotto nel mercato, sia idoneo  a sviare la clientela di chi vi opera con un segno che lo richiama. Pertanto, in caso sorga conflitto tra domini, ovvero tra domini e segni distintivi tradizionali, ci si rivolge all’autorità giudiziaria ed il giudice applica la disciplina cogente dei segni distintivi e le norme sulla concorrenza sleale, senza prendere in considerazione le regole contenute nel  “Regolamento di assegnazione e gestione nomi a dominio”, ritenute mere regole di carattere amministrativo interno che non possono essere utilizzate dal giudice, chiamato, invece, ad applicare la legge.

In alternativa al procedimento giudiziario, la Registration Authority italiana ha previsto unaprocedura di riassegnazione” ed un “arbitrato irrituale” (“Regolamento per la risoluzione delle dispute nel ccTLD “it” del 30 marzo 2006”) [2]. Il procedimento di riassegnazione viene condotto da "esperti" che verificano, nel contraddittorio fra le parti, se la dichiarazione di non ledere diritti altrui, effettuata da chi ha originariamente registrato il nome a dominio, sia veritiera o meno[3]. Se all’esito della procedura risulta che: a) il nome a dominio registrato è identico o simile ad altro nome o segno distintivo o marchio su cui il ricorrente vanta dei diritti e tale da indurre in confusione il pubblico; b) l'assegnatario non ha diritti o legittimi interessi sul dominio; c) sussiste malafede, il nome a dominio si considera registrato abusivamente e viene riassegnato a colui che lo reclama.

 

L’Orientamento Giurisprudenziale

 

Prima che venisse emanato il D.Lgs. 30/2005 (che ha attribuito ai nomi a dominio la stessa disciplina dei segni distintivi), parte della giurisprudenza considerava i nomi a dominio come meri indirizzi telematici, perchè il domain name sarebbe stato introdotto per esigenze di carattere tecnico, ossia per semplificare la numerazione IP[4], mentre altra parte ne avvertiva l’identità con i segni distintivi[5]. Successivamente si è giunti ad equipararli all’insegna [6].

Un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato pacificamente applica ai nomi a dominio i principi della disciplina del marchio, considerandoli alla stregua di un segno distintivo di fatto “atipico”, ma idoneo a generare confusione fra i potenziali clienti. Del resto, proprio la funzione distintiva ed identificativa del nome a dominio rende possibile l’assimilazione della sua disciplina a quella degli altri segni distintivi, in particolare del marchio, perché distintivo di prodotti e di servizi, tutelato sia se è registrato, sia se è notorio (marchio “di fatto”) e tutelato anche nel suo “preuso”, cioè il diritto, di colui che per primo ha usato un marchio, di continuare a usarlo anche se un altro lo ha registrato successivamente (art. 28 d.Lgs. n. 30/2005).

Pertanto, in caso di conflitto fra imprenditori, la giurisprudenza applica la disciplina in materia di concorrenza sleale e di contraffazione del marchio, che sussiste anche in presenza di un TLD diverso(ad esempio da un “.it” ad un “.com”), per cui il titolare del marchio che ha registrato un nome a dominio riproduttivo del marchio con il TLD.net può far valere le sue ragioni nei confronti di chi ha registrato successivamente lo stesso nome ma con il TLD.com. Difatti, da tempo il nome a dominio non ha più solamente un’unica funzione di variante alfabetica dell'indirizzo numerico che identifica l'elaboratore connesso nella Rete, ma può anche divenire titolare di un valore commerciale, di promozione di una attività d’impresa, e come tale essere meritevole di tutela al pari di altri segni distintivi, con applicazione analogica della normativa per essi prevista.

Nella sentenza Tribunale Roma, Sezione 9 civile, Sentenza 13 marzo 2012, n. 5259, il giudice ha stabilito che Ricorre un'ipotesi di contraffazione del marchio se nel nome a dominio la differenziazione tra i suffissi ".it" e ".com" nel domain name non è sufficiente ad escludere la confondibilità dei contrapposti segni distintivi”[7].

Ricorre ipotesi di contraffazione anche la pratica denominata “Typosquatting” (in inglese, “typo”, refuso tipografico e “squatting”, occupazione abusiva) che consiste nella registrazione di un nome a dominio del tutto simile ad un marchio noto, ma contenente un refuso. Lo scopo è quello di intercettare traffico internet derivante da errori di battitura del nome (con sfruttamento parassitario del traffico internet dirottato).

In tema di concorrenza sleale, nell’ordinanza 1° marzo 2013 il Tribunale di Palermo, sez. Imprese[8], ha stabilito che configura atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c., la condotta tenuta dal venditore consistente nel continuare a commercializzare prodotti di una certa marca anche dopo che il produttore ha reso nota al pubblico l’esistenza di un “sistema di distribuzione selettiva” (nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema). Ciò in quanto la continuata commercializzazione dei prodotti rischia di vanificare gli investimenti fatti dal produttore, sia per promuovere i prodotti ed il marchio, sia per assicurarsi il consolidamento dell’immagine e la fidelizzazione dei consumatori.

Nella concorrenza sleale, come è emerso in occasione del seminario “Software & Internet Tutela nella Proprietà Industriale” della Camera di Commercio – Reggio Emilia, sono incluse anche pratiche di “linking”, ossia il collegamento ipertestuale che consente di passare da un sito ad un altro; di “surface linking”, ossia il collegamento con la home page di un altro sito; di “deep linking”, ossia il collegamento ad una pagina interna del sito altrui; di “framing”, ossia quando l'utente che si collega ad un dato sito, e su di esso utilizza un link, viene collegato ad una pagina di un altro sito, ma detta pagina viene visualizzata all'interno della cornice (frame) del primo sito: pertanto gli avvisi pubblicitari posti su questo continueranno a circondare la pagina agganciata ed ogni pagina successiva che gli utenti intenderanno visualizzare. Tale pratica è tendenzialmente illecita sotto il profilo della concorrenza sleale confusoria (art. 2598 n. 1 c.c.) in quanto induce gli utenti a ritenere sussistente un associazione tra le due entità ed eventualmente a sviarli e comporta altresì uno sfruttamento parassitario dell'attività altrui.

Nella sentenza Corte di Giustizia UE, 23 marzo 2010, n. 236 (Cause riunite C-236/08, C-237/08, C-238/08) la Corte ha stabilito che, nell'ambito di un servizio di posizionamento su Internet, l'inserzionista non può usare come parola chiave quella identica ad un marchio registrato, a meno di ottenere il consenso del titolare. Ciò allo scopo di evitare confusione in ordine alla riferibilità del prodotto o del servizio all'azienda che lo produce o che lo offre. “Gli artt. 5, n. 1, lett. a), della Direttiva n. 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, e 9, n. 1, lett. a), del Regolamento n. 40/94, sul marchio  comunitario, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio  può vietare ad un inserzionista di fare pubblicità – a partire da una parola chiave identica a detto marchio, selezionata da tale inserzionista nell'ambito di un servizio di posizionamento su Internet senza il consenso dello stesso titolare – a prodotti o servizi identici a quelli per cui detto marchio  è registrato, qualora la pubblicità di cui trattasi non consenta, o consenta soltanto difficilmente, all'utente medio di Internet di sapere se i prodotti o i servizi indicati nell'annuncio provengano dal titolare del marchio  o da un'impresa economicamente connessa a quest'ultimo o invece da un terzo”.


[3] Al fine dell’assegnazione del nome a dominio, la Registration Authority  considera sufficiente la dichiarazione del richiedente di non essere a conoscenza  di motivi per i quali l’assegnazione del nome di dominio richiesto possa ledere diritti di terzi e di impegnarsi a non svolgere attraverso il medesimo, alcuna azione illegale”; dichiarazione obbligatoria da presentare alla Registration Authority  contestualmente alla richiesta di registrazione del nome a dominio.

[4] Trib. Firenze, 24 luglio 1996, in Forp It,1997, I,2317 e Trib. Firenze 29 giugno 2000 (caso Sabena) in Dir. e prat. Delle società, 2000, n.16, 81

[5] Trib. Modena 23 ottobre 1996, in Riv. dir.ind. 1997, II, 177 (Caso Foro.it); Trib. Pescara, 9 gennaio 1997, in Dir. inf. 1997, 952 (Caso Nautilus); Trib. Milano, 9 giugno 1997, ivi,1997, 955; Trib. Milano, 22 luglio 1997, ivi, 1997 (Caso Amadeus), 957; Trib. Roma 2 agosto 1997, ivi,1997, 961 (caso Porta Portese); Trib. Napoli, 8 agosto 1997, in Giust. Civ. 1998, 259; Trib. Macerata 2 dicembre 1998, in Riv. dir.ind, Riv. dir.ind 1999, 35 (caso Pagine Utili); Trib. Verona 25 maggio 1999, in Foro It., 1999, I, 3061 (caso Technovideo); Trib. Genova 17 luglio 1999, in Dir. inf. 2000, 346 (caso Altavista); Trib. Milano, 3 febbraio 2000, ivi, 493; Trib. Roma 9 marzo 2000, ivi, 2000, 360; Trib. Modena, 23 maggio 2000, ivi, 2000, 665; Trib. Reggio Emilia 30 maggio 2000, ivi, 2000, 668; Trib. Ivrea, 19 luglio 2000, in Riv. dir.ind. 2001, 177 ed ivi anche Trib. Brescia, 6 dicembre 2000; Trib. Prato, 19 agosto 2000, in Riv. dir.ind. 2002, 51.

[6] Trib. Ivrea 19 luglio 2000 (conf. Trib. di Prato 19 agosto 2000) secondo cui ”il domain name è un vero e proprio segno distintivo assimilabile all’’insegna, per cui, anche in base al diritto vigente deve ritenersi che l’impiego di nome a dominio già utilizzato da altri, integri atto di concorrenza sleale ex art.2598, quando sia idoneo a creare confusione”.

 

 

Riferimenti Bibliografici

  • Cesare Galli, I marchi: dal diritto dei segni distintivi al diritto della comunicazione d’impresa, 2010, http://www.filodiritto.com.
  • Come viene tutelato il nome a dominio, http://www.studiolegale-online.net.
  • Marco Bellezza, Il domain grabbing e le pratiche commerciali sleali., 2012, http://www.medialaws.eu.
  • Paolo Vicenzotto, Registrazione illecita di nomi a dominio e concorrenza sleale,http://www.webdieci.com.
  • Il sito internet dell’azienda: la tutela del nome di dominio, 2015, http://business.laleggepertutti.it
  • Laura Turini, Le procedure di recupero dei nomi a dominio.I nuovi .tld, opportunità e rischi, 2015,http://www.fi.camcom.gov.it
  • Paola Stefanelli, Inquadramento giuridico dei nomi a dominio e loro interferenza con i marchi d’impresa, http://www.fi.camcom.gov.it
  • Camera arbitrale di Milano, Procedura di riassegnazione dei nomi a dominio, 2015, http://www.camera-arbitrale.it
  • Internet e Tutela del Marchio di Impresa, Seminario “Software & Internet Tutela nella Proprietà Industriale” Reggio Emilia – Camera di Commercio, 2012, http://www.ar.camcom.it
  • Rosamaria Ferorelli, «Domain names», natura e disciplina giuridica, 2001, http://www.diritto.it
  • Antonio Chirico, La tutela dei DOMAIN NAMES, http://www.solfano.it
  • Federico Costantini, Corso d’informatica giuridica: i nomi a dominio, 2015, http://www.slideshare.net/FedericoCostantini

 

 

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