A cura di E. Giardino (partecipante del Master in Avvocato d'Affari)

Introduzione

All'interno della disciplina dedicata alla fusione delle società troviamo disciplinato, all'art. 2501 bis, cod. civ. (1), il procedimento di «Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento» (2) (3).

Tale plurifasico congegno giuridico consente, al soggetto “promotore”, di procedere, per il tramite di un “veicolo” (4) (5) di nuova costituzione, all'acquisizione del controllo (6) di una individuata società “bersaglio” ricorrendo, totalmente o per larga parte, a capitale finanziato (7) da un “operatore istituzionale” (8) (9) e garantito (10) dal flusso di cassa (11) generato dall'attività d'impresa stessa, successivamente (12) incorporata, o dal suo stesso patrimonio sociale (13) (14).

IL RAPPORTO CON LE OPERAZIONI SULLE PROPRIE AZIONI.

Orbene, l'ingresso di tale norma nel panorama giuridico italiano ha provocato non poco tumulto tra gli operatori del diritto.

In tal senso, si è a lungo dibattuto su di una possibile violazione del divieto di assistenza finanziaria previsto per i tipi capitalistici dagli artt. 2358, 2454 e 2474 (già art. 2483), cod. civ..

Secondo autorevole interpretazione (15) (16), con l'introduzione dell'art. 2501 bis, cod. civ., il legislatore della riforma avrebbe voluto creare una fattispecie (lecita) autonoma e distinta dal divieto sopramenzionato (all'epoca “assoluto”), escludendo ogni rapporto sussidiario di genere a specie tra le norme.

D'altra parte, la stessa legge delega (17), all'art. 7, comma 1, lett. d), includeva, tra gli obiettivi di riforma in tema di «trasformazione, fusione e scissione», la necessità di prevedere che «le fusioni tra società, una delle quali abbia contratto debiti per acquisire il controllo dell'altra», non dovessero costituire violazione del «divieto di accordare prestiti e di fornire garanzie per l'acquisto o la sottoscrizione di azioni proprie, di cui all'articolo 2358 del codice civile».

Seguendo tale percorso argomentativo, il delegante avrebbe così fornito, con l'art. 7, un'interpretazione autentica (retroattiva) (18) del già previgente art. 2358, cod. civ. (19) (versione ante D.lgs. 148 / 2008) (20) escludendone la sua estensione alla fattispecie della fusione mediante acquisizione con indebitamento, la cui liceità era, in parte, già riconosciuta da alcuna dottrina e giurisprudenza (21) (22).

In tal senso, degna di nota sul panorama giuridico italiano ante riforma del diritto societario del 2003, è la sentenza “Trenno” del Tribunale di Milano datata 13 maggio 1999.

In tale statuizione, in buona sostanza, vengono affrontati molteplici questioni interpretative (oggi oramai definite ma all’epoca assai ostiche) relative al “LBO” ed alla fusione in generale.

Quello che in questa sede rileva, rimandandosi per gli ulteriori approfondimenti all’autorevole commento (23) citato in nota, è l’analisi affrontata dal giudicante in merito al rapporto tra operazioni di LBO e divieto (all’epoca assoluto) di assistenza finanziaria di cui all’art. 2358, cod. civ..

Più precisamente, si evidenzia come, lo strumento in esame, non rappresenti ipotesi tipica di violazione dell’art. 2358, cod. civ., essendone possibile un suo utilizzo anche per scopi meritevoli di tutela, quali, esemplificando, consentire agli amministratori di acquisire una maggiore partecipazione nella società o evitare il peso fiscale di una cessione d’azienda; non essendovi necessariamente, per talune ipotesi, diretta (o indiretta) violazione del disposto dell’art. 2358, cod. civ..

Insomma, tutti i casi nei quali vi sia, alla base dell’operazione, una concreta ragione imprenditoriale volta a rilanciare l’attività d’impresa, escludendone dunque, in via implicita, un possibile sotteso intento elusorio del divieto (contratto in frode alla legge ex art. 1344, cod. civ.) supportato dal solo “azzardo morale” del “raider”.

Di contro, la perplessità sollevata su un tale orientamento da autorevole dottrina (24) è che, tale requisito di “economicità” dell’operazione, non sia ex se garanzia ragionevole degli intenti non elusivi poiché arbitrario e, nella pratica, ove più ove meno, sempre presente.

Inoltre si aggiunge che, dal dettato normativo dell’art. 2358, cod. civ. (versione ante 2008), a parte la deroga concessa a favore dell’azionariato dei dipendenti, non pare esservi apertura ad un’assistenza finanziaria basata sul criterio del contesto economico (ragionevole) su cui si colloca l’operazione.

Tutte perplessità operative, all’epoca più che giustificate, provocate dall’assenza di un espresso coordinamento normativo in materia.

Tirando le somme, questa giurisprudenza e dottrina aprono, di fatto, la via alla corrente maggioritaria sopra citata che già confermava il rapporto di “genere a genere” tra gli istituti.

Infondo, come osservato (25), il voler garantire espressa copertura a siffatte operazioni giuridiche (Mlbo) risponderebbe, in ultima analisi, a delle stringenti logiche di efficienza economica e di circolazione del controllo societario.

Più precisamente, l'obiettivo prefigurato dal delegante era di favorire e sfruttare il dinamismo generato dalle operazioni (rilevanti) di concentrazione societaria, che, operando in chiave efficiente su economie di larga scala, si sarebbero rivelate apportatrici di beneficio al mercato e a chi in esso vi operava o da esso ne era condizionato (26).

Parallelamente a tale corrente, in via minoritaria (27), vi era chi sosteneva che «la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento al di fuori dell’ipotesi di cui all’art 2501 bis cod. civ., al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 2501 bis c.c., rappresenterebbe una forma di assistenza finanziaria illecita».

Tale interpretazione (28) non suscitò grande seguito poiché ritenuta da molti in contrasto con l’originario intento legislativo del delegante del 2008 per il recepimento della “Nuova Seconda Direttiva” comunitaria in materia societaria.

Più precisamente, con l'entrata in vigore del D.lgs. n. 142 del 2008, riformulato integralmente l'art. 2358, cod. civ. (29), viene prevista, all'ultimo comma (30), una clausola di salvaguardia (31) nei confronti (anche) dell'art. 2501 bis, cod. civ..

Benché prima facie il contrasto tra le norme risulterebbe così risolto, vi è stato chi, in dottrina, ha sollevato ulteriori dubbi interpretativi, ritenendo il “Mlbo” ipotesi specifica di finanziamento sull'acquisto di azioni proprie e propendendo per una necessaria applicazione congiunta dei due articoli sopramenzionati (32).

Di contro, maggioritaria corrente, ha ritenuto che tale disciplina andasse a sostituire quella prevista dall'art. 2358, cod. civ. in quanto, secondo l’originaria volontà legislativa comunitaria (33), doveva rappresentare una fattispecie estranea all'assistenza finanziaria, rientrando, semmai, nell’alveo della normativa in materia di fusione (34).

A mio parere, considerato il nuovo e stringente impianto normativo, l'intento legislativo meglio si concilierebbe con l'impostazione (35) – peraltro già avanzata da primaria dottrina alla luce dell'ingresso dell'art. 2501 bis, cod. civ. sul panorama normativo italiano – di un rapporto di “genere a genere” tra norme, essendo il congegno in esame, fattispecie multifasica complessa sorretta da autonomo e specifico bilanciamento di tutela ed interessi (36) dei soggetti ivi coinvolti (garanzia di tutela dell’integrità del patrimonio sociale e riduzione delle “asimmetrie informative” nei confronti degli “shareholders” e “stakeholders” estranei all'operazione).

Questo in quanto, attenuato il divieto di finanziamento e garanzia (da assoluto a parziale), la clausola di “salvezza”, contenuta nel suo ultimo comma, altro non sarebbe che un'enucleazione letterale esplicativa volta a rimarcare con chiarezza il discrimen operativo tra le due norme.

Più precisamente, l’art. 2358, cod. civ. disciplina l'ipotesi di finanziamento e garanzia concessi sull’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, mentre l’art. 2501 bis, cod. civ. regola la fattispecie complessa e distinta di finanziamento erogato da un “lender” (soggetto terzo) e garantito dal patrimonio sociale di una “target”, già confluito però, post fusione, in un nuovo e distinto ente governato (indirettamente, mediante nomina degli amministratori) da una rinnovata e ab origine “pianificata” compagine sociale in grado dunque di tener fede al “business plan” (alla base dell’operazione strutturata) e garantire la tutela del patrimonio sociale dai rischi di “abuso del controllo” così come richiesto dalla norma (37) (38).

Di guisa che, benché distinte, in entrambe le operazioni permane la sottesa comune e generale volontà legislativa di tutela dell’integrità del patrimonio sociale, ineludibile, rappresentante il confine tra liceità ed illiceità dell’operazione; non essendo dunque necessario un intervento per così dire ad adiuvandum dell’art. 2358, cod. civ. nei confronti dell’art. 2501 bis, cod. civ..

Chiarito ciò, mutuato ex art. 2454, cod. civ. il sopraesposto percorso argomentativo nei confronti della S.a.p.Az., occorre dunque esaminare l'operatività del suddetto divieto di finanziamento in ambito S.r.l..

In tal senso, all'art. 2474, cod. civ., alla voce «Operazioni sulle proprie partecipazioni», risiede l'espresso divieto, già disciplinato nella versione ante riforma dall'art. 2483, cod. civ. (39), di «accordare prestiti o fornire garanzia per il loro acquisto [delle partecipazioni, n.d.r.] o la loro sottoscrizione».

Nonostante l'ampiezza contenutistica del concetto di “finanziamento” e “garanzia” elaborato nel corso del tempo dalla giurisprudenza (40), l'ingresso nel codice civile dell'art. 2501 bis, cod. civ. nel capo dedicato alla trasformazione, fusione e scissione delle società (di persone e di capitali) è sufficiente, secondo rilevante parte della dottrina (41), a denotare - come sottolineato già ante intervento riformatore del 2008 in tema di S.p.A. - la diversità di interessi e tutele ad essi sottesi e dunque, in ultima analisi, anche per il tipo S.r.l., il rapporto di “genere a genere” tra gli artt. 2474 e 2501 bis, cod. civ..

In aggiunta, secondo il mio punto di vista, tale evidenziato contrasto operativo tra norme, nella prassi commerciale (42) (forse proprio in linea con l'originario intento legislativo), viene dagli operatori ulteriormente “alleggerito” anche mediante un ponderato utilizzo degli strumenti contrattuali, il cui uso, pur non essendo idoneo a garantire a priori la liceità dell’operazione, rimarca, a fortiori, la volontà di adesione al tipo multifasico “Mlbo” piuttosto che ad una semplice cessione e acquisizione di partecipazioni (con applicazione del divieto relativo di cui all’art. 2358, cod. civ.).

Più precisamente, come meglio si esporrà infra, si pone attenzione al momento di effettiva produzione degli effetti traslativi dei contratti (collegati) (43), onde evitare (a priori) la violazione del divieto (relativo, per la S.p.A.) di finanziamento e garanzia stabilito per le società di capitali. Questo in quanto, (comunque) la prima elargizione di credito viene sempre erogata in fase anteriore alla fusione – passaggio finale necessario ad integrare compiutamente la fattispecie costruita dal legislatore.

L'ARCHITETTURA DELL'OPERAZIONE DI “MLBO”.

Premessa.

Delineata la collocazione sistematico operativa dell'art. 2501 bis, cod. civ. all'interno dei vari tipi societari, risulta ora possibile scendere più nel dettaglio analizzando i passaggi dell'operazione di “Mlbo” dalle quattro diverse angolazioni (benché tra di loro interconnesse); ovverosia, rapporti tra “veicolo” e “finanziatore”, rapporti tra “new company” e “target”, rapporti tra ente post fusione e “operatore istituzionale” e rapporti tra enti sottoposti a procedimento di fusione, soci e creditori sociali.

Sostanzialmente, nella prassi (44), l'operazione viene strutturata, a seconda dei tratti peculiari dell'affare, sulla base dei seguenti modelli.

Un primo, più elementare, consiste nella contrazione di debito presso una banca da parte di una società (operativa), funzionale all'acquisizione del controllo di un predeterminato ente il cui patrimonio sociale o “cash flow”, deliberata la fusione con la suddetta, fungerà da “garanzia generica” o “fonte di rimborso” del debito stesso.

A questo modello possono poi aggiungersi specifiche varianti (45) quali l'acquisizione operata mediante società di nuova costituzione (“Spv” o “BidCo”) partecipata esclusivamente da investitori o da essi unitamente ai dirigenti stessi della bersaglio (“Management buy out”); l'acquisizione della totalità delle azioni o del solo pacchetto di maggioranza; la garanzia (pegno, negozio fiduciario o altro) data con le azioni (acquisite) della “target” oppure (a seguito di fusione) in altre forme sul suo patrimonio aziendale; la successiva fusione in “senso stretto” o per incorporazione “diretta” o “inversa”; l'acquisizione dei soli beni aziendali (“asset based LBO”).

RAPPORTI “VEICOLO – FINANZIATORE” ED “ENTE POST FUSIONE – LENDER”.

Quanto al rapporto contrattuale tra veicolo e finanziatore e tra ente post fusione e operatore professionale secondo la comune prassi si potrà procedere, alternativamente, tra due linee operative.

Una prima (46), meno frequente per supposta illiceità da parte di alcuna dottrina e giurisprudenza (47), consiste nella stipulazione di un contratto di finanziamento o “mutuo di scopo” immediatamente anteriore al contratto di cessione acquisizione di quote societarie – ovvero, al lancio dell'O.P.A. in ipotesi di società con azioni quotate in borsa – con erogazione del capitale (“draw – down”) sospensivamente condizionata alla conclusione dell'acquisizione (“closing”) – ovvero al pagamento del corrispettivo dell'offerta pubblica di acquisto.

Tale prestito, inoltre, avverrà in unica soluzione con rientro a medio – lungo termine comprendendo, in tal senso, a garanzia del debito, la fase di cessione acquisizione delle partecipazioni (pegno su azioni o quote) e la successiva fusione societaria (garanzie reali su patrimonio sociale).

A scanso di criticità strutturali, considerata la dimensione degli interessi patrimoniali coinvolti nell'operazione, gli operatori tendono a predisporre un secondo (48) e diverso schema operativo.

Si stipulerà – rapporto “newco” / “lender” e ente post fusione / operatore istituzionale - un primo finanziamento a breve termine (di norma un anno) c.d. “junior loan” successivo o sospensivamente condizionato alla conclusione del contratto di cessione acquisizione di partecipazioni (“share purchase agreement”), garantito da pegno su azioni o quote per poi procedere, in fase posteriore alla fusione, all'erogazione di un secondo mutuo “di scopo” a medio lungo termine c.d. “senior loan” (49), garantito dai beni della “target” (incorporata / incorporante / confluita in ente di nuova costituzione) finalizzato a ripianare l'originario debito contratto in fase di acquisizione e procedere con l'attività d'impresa oggetto di “business plan”.

RAPPORTO “NEWCO TARGET” E “SOCIETÀ COINVOLTE – SOCI E CREDITORI”.

Proseguendo, quanto ai rapporti tra “new company” (o società acquirente) e “target” (o società acquisita) e tra enti coinvolti nella fusione, soci e creditori sociali, occorrerà fare riferimento alle norme codicistiche e, più precisamente, alla disciplina dettata dagli artt. 2501 ss., cod. civ. ed agli ulteriori articoli dagli stessi richiamati.

Ebbene, nell'articolato testo normativo rubricato «Fusione a seguito di acquisizione mediante indebitamento» troviamo disciplinati degli oneri procedurali “aggiuntivi” posti in capo agli organi delle società partecipanti all'operazione.

Tali vincoli di procedura, unitamente a quelli previsti di default in tema di fusione (50), fungono da garanzia di buona riuscita dell'operazione, da tutela del patrimonio sociale della società risultante dalla fusione (di fatto quello della “target” in esso confluitovi) e da difesa dal rischio di abuso del potere di controllo – “azzardo morale” – a danno della compagine sociale (di minoranza) (51) della società “bersaglio” – la quale avrà (anch’essa) il compito di deliberare l'operazione secondo l'art. 2502 cod., civ. e, in ipotesi, impugnare la delibera assembleare di autorizzazione – e dei creditori (52) terzi all’operazione – i quali potranno, nel caso, presentare opposizione (53) ex art. 2503, cod. civ..

Segue.

I RIMEDI A DISPOSIZIONE DELLA COMPAGINE SOCIALE.

Quanto ai mezzi di tutela concessi al socio in ipotesi di violazione dell’art. 2501 bis, cod. civ., primo fra tutti, vi è l’impugnazione della delibera assembleare di fusione, seguito, come si dirà infra, dall’azione ex art. 2504 quater, cod. civ..

Ebbene, sul punto si è dibattuto in dottrina circa la natura del vizio inficiante tale decisione; più precisamente, si discuteva se fosse ipotesi di annullabilità o, piuttosto, di nullità (tassative).

Secondo una prima corrente (54), dovevasi leggere quale annullabilità ex art. 2377, cod. civ. posto che, il vizio invalidante, involgeva il procedimento di deliberazione inteso nella sua modalità di formazione del consenso, restando estraneo (al vizio) l’oggetto stesso della decisione (fusione).

Da ciò deriva dunque l’ulteriore possibilità di esperire, contestualmente, il relativo rimedio cautelare ex art. 2378, co. 4, cod. civ., finalizzato, pendente impugnazione della delibera, all’ottenimento, anche inaudita altera parte, della sospensione dell’esecuzione della suddetta.

Inoltre, ove difettino i presupposti di cui sopra (esemplificando, carenza di legittimazione all’impugnazione della delibera), si ritiene plausibile la possibilità di esperire, ove integrati i presupposti (fumus boni iuris e periculum in mora), in subordine, il rimedio cautelare generale di cui all’art. 700, cod. proc. civ..

Altra dottrina (55) configurava invece tale vizio alla stregua di nullità ex art. 2379, cod. civ. in quanto, considerati gli artt. 2358 e 2474, cod. civ. norme inderogabili di derivazione comunitaria, sfociando la violazione della procedura di cui all’art. 2501 bis, cod. civ. (“Mlbo” illecito) nelle fattispecie disciplinate dalle suddette norme (violandone in via indiretta il loro precetto), rendeva il contenuto complessivo della delibera in contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico e dunque, benché l’oggetto in sé e per sé considerato fosse comunque lecito, nullo ex art. 2379, cod. civ..

Naturalmente, a seconda del mezzo di tutela prescelto dal socio varieranno, secondo legge, presupposti e termini per agire.

Inoltre, l’invalidità della delibera, dispiegherà i suoi effetti invalidanti anche verso gli atti ad essa presupposti e connessi, tra cui, in particolare, i contratti di finanziamento erogati al “raider”, i quali non beneficeranno dell’effetto della pubblicità sanante di cui all’art. 2504 quater, cod. civ. (56).

Segue.

LA TUTELA PREVISTA PER IL CETO CREDITORIO.

Con riferimento alla tutela concessa al ceto creditorio (57) dall’art. 2503, cod. civ. si è invece a lungo dibattuto sulla “natura” dello strumento in oggetto.

In tal senso, sono andati sviluppandosi due orientamenti.

Un primo, minoritario (58), vedeva tale rimedio quale “strumento collettivo” a tutela della “garanzia commerciale (59) della società (intesa quale efficienza dinamico produttiva – non strettamente statico patrimoniale) ed un secondo, prevalente, che inquadrava il medesimo quale “rimedio individuale” a protezione dell’integrità della “garanzia patrimoniale generica” dell’ente (intesa quale entità meramente patrimoniale) (60).

Secondo l’argomentazione maggioritaria (61), in assenza di un’espressa disposizione legislativa, l’idea di un’impostazione basata su di un socio portatore di una “voice” diffusa del ceto creditorio inteso quale “organismo collettivo” mal si conciliava con il dettato della norma, la quale, benché ritenuta in dottrina carente di contenuto quanto ai presupposti sostanziali di legittimazione attiva, nulla in tal senso disponeva.

Più nel dettaglio, la prima corrente, sosteneva che l’idea dell’opposizione, così come concepita dalla dottrina più diffusa, fosse da ritenere in contrasto con il principio di diritto di «libera disponibilità del patrimonio del debitore», poiché consentiva ai creditori di ingerire in meccanismi decisori societari esulanti la loro competenza.

Riconducevano piuttosto tale potere di opposizione alla sola possibilità di opporre (nell’ottica di un interesse quasi collettivo) vincoli all’autonomia decisionale sociale sulla scorta di riscontrate violazioni di precetti già presenti nel tessuto normativo a prescindere da un suo pregiudizio individuale, comprendendo, altresì, la stessa violazione dell’art.

2501 bis, cod. civ. (62) (e come se fungesse da “contenitore” veicolando, con l’opposizione, precetti già disciplinati altrove a loro tutela).

Di contro, la visione maggioritaria, classificando l’interesse di opposizione quale potere individuale attribuiva il diritto d’ingerenza nei meccanismi decisionali societari conferendo la possibilità di inficiare l’efficacia (nei soli confronti dell’opponente) della procedura di fusione ove sussistente un dimostrato nocumento (individuale) basato su di un generico pregiudizio economico.

A prescindere da interpretazioni letterali sistematiche, si è da molti rimarcata l’inadeguatezza (63), in termini di effettiva tutela, dello strumento in analisi, in quanto comunque sottoposto, ex art. 2445, ult. co., cod. civ., al sindacato del tribunale (64) il quale, in assenza di riscontro di interessi dei (si noti, non “del”) creditori meritevoli di tutela (65), ben può disporre la prosecuzione della fusione, inficiando, in tale ipotesi, l’efficacia dello strumento di tutela previsto.

Ad ogni buon conto, ciò non toglie comunque la possibilità di esperire un ulteriore mezzo di tutela quale l’azione ex art. 2901, cod. civ. (66) dell’atto di fusione (provocandone la sua inefficacia relativa) escludendo, di contro, secondo primaria corrente (essendovi già in ausilio lo strumento ex art. 2503, cod. civ.), l’impugnazione (67) – per presunto contenuto illecito della decisione dei soci – della delibera assembleare ex art. 2379, cod. civ. per violazione dell’art. 2501 bis, cod. civ. e del correlato principio di “ragionevolezza”.

Infine, come meglio si dirà infra, il creditore potrà, in subordine, ricorrere alla tutela risarcitoria ex art. 2504 quater, co. 2, cod. civ..

Segue.

LA PROCEDURA “RAFFORZATA” DEL “MLBO” DOMESTICO.

Passando all’analisi dei vincoli procedurali, al comma 2 dell’art. 2501 bis, cod. civ., viene stabilito che il progetto di fusione (68) di cui all'art. 2501 ter, cod. civ. debba altresì indicare le «risorse finanziarie previste per il soddisfacimento delle obbligazioni della società risultante dalla fusione» (69) (70).

Una tale previsione lascia sottendere un obbligo di anteriore e precisa individuazione delle risorse necessarie all'operazione oltre che, in via implicita, un'assunzione di responsabilità (71) da parte dell'organo gestorio, “concatenata” agli altri soggetti agenti, in ipotesi (esemplificando) di mendaci, mancanti, incomplete o errate attestazioni.

In aggiunta, al fine di meglio “trincerare” la garanzia di riuscita dell'affare nel suo complesso, il legislatore, al successivo comma 3, ha previsto che la relazione dell'organo amministrativo (72) di cui  all'art. 2501 quinques, cod. civ. debba inoltre includere «le ragioni (73) che giustificano l'operazione e contenere un piano economico e finanziario con l'indicazione della fonte delle risorse finanziarie (74) e la descrizione degli obiettivi (75) che si intendono raggiungere» (76) (77).

In questo caso, si è prevista una traduzione discorsiva delle ragioni sottese ai dati numerici (fonte) di cui all'obbligo del comma 2, unitamente all'indicazione delle «ragioni di ordine sostanziale [economico, n.d.r.] che inducono a porre in essere l'intera operazione» (78).

Proseguendo nella disamina del testo troviamo, al comma 4, il coinvolgimento di un diverso soggetto giuridico.

Più precisamente, viene previsto, per ciascuna società, in capo a uno o più revisori legali (79) dei conti (terzi) – denominati dal legislatore “esperti” – di attestare, con effetto vincolante (80) per l’assemblea, all'interno della propria relazione (81) ex art. 2501 sexies, cod. civ., la «ragionevolezza (82) delle indicazioni (83) (84) contenute nel progetto di fusione» ai sensi del comma 3.

S'introduce dunque, sui medesimi documenti (in particolare sul “piano di rientro” predisposto dagli amministratori all'interno del progetto di fusione), un regime di controllo e attestazione rafforzato ed imparziale seguito dall'ulteriore implicita assunzione di corresponsabilità sulle informazioni fornite che fungerà, ex art. 2501 sexies, co. 6, cod. civ., da fonte risarcitoria nei confronti dei soggetti eventualmente danneggiati.

Proseguendo, al quarto capoverso, vi è un onere per così dire di chiusura previdente, in capo al soggetto incaricato della revisione legale dei conti delle (o di una delle) società, (85) l'allegazione, al progetto di fusione, di una specifica relazione (anche congiunta) attestante la veridicità dei dati contabili dell'operazione (86).

Più precisamente, sarà chiamato ad attestare la rispondenza dei dati contabili (intendendosi per tali non solo i bilanci) indicati nel piano economico e finanziario dell’operazione di “Mlbo”, tale ultimi, di centrale rilevanza poiché alla base della determinazione del valore degli enti e del rispettivo “rapporto di cambio” (87) nonché di dimostrazione di sostenibilità dell’operazione finanziaria.

Inoltre, secondo autorevole dottrina (88), per tale speciale procedura di fusione, dovranno ritenersi altresì inapplicabili gli artt. 2501 quater, 2501 quinques, 2501 sexies ultimi commi, cod. civ., operanti, pertanto, per le sole ipotesi di fusione ordinaria.

In chiusura, all'ultimo comma, viene data espressa esclusione al procedimento “semplificato” (89) di cui agli artt. 2505 e 2505 bis, cod. civ..

CONCLUSIONE DELL'OPERAZIONE.

Dunque, riassumendo, si avrà un procedimento così strutturato.

Il promotore si rivolgerà agli operatori finanziari per ottenere capitale a debito finalizzato all'acquisizione del controllo dell'ente bersaglio.

L'organo gestorio delle società redigerà il progetto di fusione e la relazione dedicata, seguito da quella degli esperti e del revisore legale dei conti.

Successivamente, si avrà il deposito congiunto degli atti presso le sedi societarie (ovvero la pubblicazione telematica sui rispettivi siti internet), la decisione in ordine alla fusione con deliberazione assembleare ed il deposito delle delibere (90) e degli atti della fusione presso i rispettivi R.I..

In assenza di impedimenti causati dalle opposizioni delle parti creditrici, escluse altresì eventuali impugnazioni ad opera di soci dissenzienti, si procederà all'attuazione della fusione mediante redazione di atto pubblico depositato presso i R.I. delle società partecipanti e di quella risultante dalla fusione.

Eseguite le iscrizioni dell'atto di fusione, per effetto della “pubblicità sanante” (91), non potrà più esserne pronunciata la sua invalidità (92) (93), salvo, in ogni caso, il diritto al risarcimento (94) spettante ai soci e ai terzi danneggiati dal procedimento.

Questa ultima “porzione” di procedimento sopra descritta, inglobata nell'architettura contrattuale sviluppata dal “veicolo” con il “lender” e dal nuovo ente post fusione con il (ri)finanziatore rappresenta e definisce la c.d. “Merger leveraged buy out” domestica, fattispecie atipica fattasi strada nel panorama giuridico italiano, discendente di una tradizione giuridica d'oltremare, di fama globale, quasi cinquantennale.

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Riferimenti bibliografici:

Commentari:

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Opere collettanee:

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Articoli, Monografie, Saggi:

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  • M. P. FERRARI, D. Lgs. n. 142 / 2008: conferimenti, acquisto di azioni proprie e altre operazioni della società sulle proprie azioni, Diritto commerciale e societarioNormativa, Azoni, in Società, Milano, 2008.
  • F. GALGANO, Le società, in Diritto Commerciale, Bologna, 2006.
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