A cura dell'Avv. Baldi, Docente in area Legale

:: (estratto dal libro: "Compendio di Diritto Sindacale" - Maggioli Editore in collaborazione con MELIUSform) ::

L’organizzazione sindacale è stata definita come “ogni organizzazione di lavoratori [o di datori di lavoro] che abbia lo scopo di promuovere e di difendere gli interessi dei lavoratori [o dei datori di lavoro]” (Convenzione internazionale OIL n. 87, art. 10, ratificata con legge 3 febbraio 1979, n. 68).

L’art. 39, comma 1, sancisce in poche, ma pregnanti parole, il principio fondamentale che connota l’intero sistema di diritto sindacale italiano: “l’organizzazione sindacale è libera”.

Non è un caso che la norma impieghi il termine “organizzazione” dato che la finalità è proprio quella di tutelare qualunque forma di attività sindacale, anche non organizzata in forma associativa, purché finalizzata a tutelare gli interessi professionali di un gruppo di lavoratori (o di datori di lavoro) liberamente determinato.

Ciò posto, la norma costituzionale dispone anche che le organizzazioni sindacali che vogliano ottenere la piena personalità giuridica hanno l’obbligo di richiedere la registrazione (comma 2), che viene riconosciuta solo a seguito della verifica di un ordinamento interno a base democratica (comma 3).

La mancata attuazione di questa norma ha determinato che nel nostro ordinamento le associazioni sindacali sono giuridicamente inquadrate come associazioni non riconosciute (ex art. 36 c.c.) e, quindi prive di personalità giuridica seppur in possesso di una soggettività che legittima al compimento di una serie di atti.

Le OO.SS., quindi, sono impossibilitate a stipulare contratti collettivi con efficacia erga omnes e sono dotate di un’autonomia patrimoniale imperfetta, seppure, come si chiarirà, il potere riconosciuto alle associazioni sindacali, anche di natura processuale, è maggiore di quello attribuito alla altre associazioni non riconosciute.

La libertà sindacale sancita dall’art. 39 Cost. si esplica in principi di natura collettiva e di natura individuale.

Dal primo punto di vista, la libertà sindacale è, anzitutto, libertà (negativa) dall’ingerenza datoriale che poterebbe essere tentato di costituire e finanziare sindacati filo aziendali.

La costituzione dei cd. “sindacati di comodo” è vietata dalla legge perché tali organismi sono antitetici rispetto al ruolo e funzione proprie del sindacato e, in particolare, alla conflittualità con la controparte datoriale che connota l’azione sindacale (al riguardo valga ricordare che la previsione dell’art. 17 dello statuto dei lavoratori scaturì proprio dalla necessità di osteggiare e prevenire una pratica in atto all’interno della FIAT nel corso degli anni ’50. La FIAT, in particolare, al solo fine di contrastare il sindacato FIOM, pose in essere tutta una serie di atti di favore verso uno specifico sindacato autonomo acquiescente alla politica industriale perseguita dall’azienda).

Certo è che non tutti i comportamenti posti in essere dal datore di lavoro a beneficio di uno specifico sindacato devono ritenersi vietati (non essendovi un generale obbligo di parità di trattamento) ma solo quelli che importano un soggezione del sindacato al potere datoriale e che quindi abbiano come “corrispettivo” l’asservimento alle scelte aziendali.

Nello stesso senso la libertà sindacale vuol dire anche libertà dall’azione statuale che (purché le organizzazioni abbiano fi ni leciti e non siano segrete) non può intromettersi nell’organizzazione interna o paralizzarne o limitarne l’azione. Il sistema delle relazioni sindacali, infatti, è governato da regole sue proprie accettate dalle parti. Al riguardo occorre ricordare che un grande giurista italiano (Gino Giugni) ha teorizzato l’esistenza di un vero e proprio ordinamento parallelo, l’ordinamento intersindacale appunto, che concepisce il sistema sindacale come sistema normativo dinamico dotato di regole proprie (tra cui il riconoscimento reciproco delle parti sulla base della loro rappresentatività effettiva), che non richiede riconoscimenti da parte statuale e che comunica con l’ordinamento dello Stato tramite il canale dell’interpretazione giudiziale dei contratti collettivi.

La mancata richiesta di riconoscimento della personalità giuridica, del resto, importa che lo Stato non può esercitare alcun controllo che non sia limitato alla liceità degli scopi perseguiti.

La libertà di organizzazione sindacale, a sua volta, si esplica anche in principi di natura individuale per i quali, ogni cittadino può liberamente aderire ad un sindacato ovvero dar vita ad un’organizzazione sindacale (e compiere tutte le attività connesse e propedeutiche) per la tutela degli interessi professionali di un gruppo identificato.

Conseguentemente tutti i lavoratori possono attivarsi liberamente per costituire organizzazioni sindacali sia all’esterno che all’interno dei propri luoghi di lavoro e, in quest’ultimo caso, il datore di lavoro deve non solo consentire l’esercizio della libertà sindacale ma agire concretamente per porre in essere tutte le misure atte a rendere effettivo il diritto stesso.

La libertà sindacale comprende anche il diritto per il lavoratore di scegliere il sindacato cui aderire, ovvero anche la libertà di non far parte dei nessuna organizzazione sindacale senza perciò subire alcun tipo di discriminazione. Ad esempio, l’art. 15 dello statuto dei lavoratori dichiara “nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali”.

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