A cura di E. Giardino (partecipante del Master in Avvocato d'Affari)

Una volta stabiliti in contratto (definitivo) i criteri di determinazione del prezzo (di cui si è parlato in questo articolo), sarà cura delle parti, rispettivamente secondo i propri interessi economici, andare a “garantire” la genuinità dei valori ad esso sottesi (pro acquirente) e la tenuta, per un circoscritto lasso di tempo, di un’apposita condotta imprenditoriale – “business judgement rule” - (pro venditore) al fine di disciplinare le conseguenze in ipotesi di difformità tra dati societari dichiarati e garantiti e dati reali, nonché possibili ulteriori eventi di danno futuri riguardanti la società.

Questo in quanto, dal punto di vista meramente economico, l’incidenza di un risarcimento del danno o l’attivazione di una garanzia collegata alla cosa compravenduta produrrebbe gli effetti di una “riduzione” del prezzo (vantaggio per il compratore). Viceversa, la mancata apposizione di una clausola a garanzia del patrimonio e / o del reddito, altro non sarebbe (in ipotesi di non corrispondenza tra dato contabile documentale e dato reale) che un aumento «finanziariamente infondato» del prezzo di acquisto (vantaggio per il venditore).

Come accennato in premessa, il contratto in esame – altresì noto sotto la denominazione inglese di “Share Purchase Agreement” – altro non sarebbe, secondo l’indirizzo giurisprudenziale (togato) prevalente nel diritto italiano (56), che un contratto (tipico) di vendita di cui all’art. 1470 e ss., cod. civ..

Per tale ragione, a voler corroborare tale tesi (benché fatta oggetto di critiche da primaria dottrina e disattesa altresì da predominante giurisprudenza arbitrale), risulterebbero dunque operanti, salvo deroga, oltre ai rimedi generali previsti all’interno della disciplina generale dei contratti, quelli specifici in ambito di vendita, tra i quali, per quel che qui maggiormente rileva, la disciplina della “Garanzia per i vizi della cosa venduta” e della “Mancanza di qualità” di cui, rispettivamente, agli artt. 1490 e 1497, cod. civ. (57) con conseguenti termini decadenziali e prescrizionali ivi collegati.

Quanto alla tutela prettamente “restitutoria” quale, tra tutte, la risoluzione e l’annullabilità, prescindendo dalla ragione giuridica ad esse sottesa, occorre sottolineare come le stesse, nella prassi, non risultino idonee a tutelare in concreto gli interessi delle parti.

Questo in considerazione del fatto che, da un lato (risoluzione), non diviene possibile (in molte situazioni) ripristinare in maniera compiuta lo stato anteriore all’operazione e dall’altro (annullamento) si rivela assai difficile, a seconda dei casi, e provare il dolo (58) ex artt. 1439 e 1440, cod. civ. della controparte e, in assenza di esplicita garanzia sul punto, utilizzare lo strumento dell’errore (59) (60) contrattuale ex art. 1428 ss. cod. civ. in ipotesi di divergenza tra stato patrimoniale e reddituale dichiarato e stato reale dell’ente interessato dall’operazione; salvo tuttalpiù, ove presenti i presupposti, la possibilità di esperire l’azione ex art. 2395, cod. civ. o ex art. 2393, cod. civ..

Degno di approfondimento, attesa la sua maggiore frequenza nella pratica degli affari, è la causa di annullamento del contratto di cui all’art. 1428, cod. civ..

La Corte di Cassazione (61) ha ribadito che la non corrispondenza del valore patrimoniale della partecipazione percepito dal compratore al momento della formazione del consenso rispetto al dato reale non rivela di per sé un “vizio” della cosa ma, semmai, una “mancanza” di qualità sull’oggetto “mediato” della vendita non necessaria al suo uso (poiché riferente al suo sostrato patrimoniale) (62) e dunque, la tutela giuridica, in tali casi, potrà essere riconosciuta solo ove espressamente garantita dal venditore per il tramite di apposita clausola. Diversamente, tale errore di voluntas, difetterà dei requisiti di essenzialità di cui all’art. 1429, comma 1, n. 2), cod. civ..

Dunque, come confermato da prevalente giurisprudenza (63) togata e maggioritaria dottrina (64) (65), sarà onere del compratore contrattare al fine di addivenire all’inserimento di clausole espresse (66) che, in aggiunta alla disciplina di “default” (67), vadano a tutelare la genuinità dei requisiti patrimoniali reddituali (e non solo) della società “target” assicurando, nel caso, la copertura da eventuali danni subiti – “self difense”.

Infine, con preciso riferimento al solo bene “immediato” della vendita, quanto allo strumento della “riduzione del prezzo” (68) ex art. 1492, cod. civ., si rileva come, nella prassi commerciale, si riscontra sempre l’opposizione del venditore, il quale, per ovvie ragioni, mal vede la concessione ex post di una revisione in peius del prezzo di vendita.

A seguito di ciò, ci si trova così costretti ad escludere in toto i rimedi “restitutori” e di “riduzione” pervenendo al solo strumento della reintegrazione del nocumento sottoforma di “indennità” o “indemnity” (69) ancorato anche a specifica (patto di) garanzia (70) – tecnica “exclusive remedy” (71).

Per tali ragioni, ben si comprende ora quanto accennato in introduzione circa la reale (e genetica) natura atipica del negozio in esame, provocata, per così dire, dalla (necessaria) presenza di “patti di garanzia” estendenti la tutela negoziale ad elementi “estranei” all’oggetto della vendita strictu sensu inteso (partecipazione – “oggetto immediato”) i quali, essi soli, introducono specifiche obbligazioni alteranti la “causa” del negozio traslativo tipico, quale appunto la vendita di diritto italiano.

Sulla questione afferente i “patti di garanzia”, maggioritaria dottrina (72), ritiene operante la seguente distinzione.

Da un lato si avranno le clausole di “garanzia sul titolo” (“legal warranties”) – “di primo grado” - e dall’altro le “garanzie sul contenuto” (“business warranties”) – “di secondo grado” -, entrambe, attesa la loro inscindibile correlazione, rientranti nel genus “dichiarazioni e garanzie” (“representations and warranties”) (73) (74) (75).

Le prime, non sottoposte a limite di valore indennitario – no “cap”, salvo apposizione di un tetto massimo pari al prezzo di cessione –, riferiscono alle caratteristiche giuridiche della partecipazione e della società stessa (esemplificando, proprietà della partecipazione in capo al venditore, libertà del bene alienato da vincoli verso terzi (76), osservanza delle norme in materia di costituzione dell’ente e così via discorrendo).

Le seconde - suddivise in base al rispettivo grado di specificità contenutistica in “sintetiche” e “analitiche” -, soggette a clausola “cap” ed oggetto di maggiore contrattazione, riguardano, considerata la denominazione, le passività e attività della società, anche post “closing” (77).

Si potranno dunque riscontrare (78) clausole di garanzia sul bilancio – anche intermedio – (corrispondenza al vero dei valori in esso indicati), sul corretto adempimento della normativa tributaria, giuslavoristica, previdenziale e pensionistica, sui contratti di cui è parte l’ente cedente, sul patrimonio IP posseduto, in materia ambientale, sulle autorizzazioni e concessioni amministrative necessarie all’esercizio dell’attività d’impresa ed infine sul contenzioso.

Ciò detto, ulteriore classificazione si avrà in relazione alla incidenza probabilistica di verificazione di uno specifico danno futuro (79) calcolata in sede di “closing” sulla base della espletata “due diligence”.

Più precisamente si avranno le “clausole di indennità” e le “clausole generali”.

Nella sostanza, le prime si caratterizzeranno (atteso il più elevato grado di verificazione probabilistica dell’evento danno) per l’assenza di limite risarcitorio, svolgendo la funzione di tenere indenne l’acquirente da pretese ristoratorie avanzate da terzi causalmente riferite all’evento.

Di contro, le seconde, si differenzieranno per la quasi inesistente probabilità di verificazione dell’evento lesivo nonché per l’apposizione di una soglia limite massima risarcitoria.

Analizzato il metodo di reintegrazione del nocumento maggiormente optato dalle parti (“indennità”), ulteriori questioni riguardano le sue componenti di calcolo, ovverosia quale sottospecie di danno patrimoniale (80) ex art. 1223, cod. civ., andrà virtualmente ivi inclusa – “danno emergente” e / o “lucro cessante”.

Il cessionario insisterà per il riconoscimento di entrambe le voci, di contro, il cedente argomenterà in sede di contrattazioni affinché il risarcimento venga limitato al solo danno emergente.

Dunque, in assenza di espressa deroga pattizia, il compratore ben potrà richiedere il ristoro di entrambe le voci di danno, benché taluna dottrina e giurisprudenza (arbitrale) ritengano il contrario (81).

Stabilito il tipo di rimedio concesso, individuati i tipi di danno ristorabili lo “step” successivo, secondo prassi consolidata (82), riguarderà la contrattualizzazione delle soglie massime indennitarie (“franchigie”).

Nella pratica degli affari si rinviene con grande frequenza l’utilizzo delle seguenti clausole.

Una prima, “de minimis”, fissante una soglia monetaria di danno al di sotto della quale la parte danneggiata non sarà legittimata alla richiesta dell’indennità. Inoltre, occorrerà ben determinare quale sarà l’ammontare da risarcire in ipotesi di superamento della soglia, ovverosia se tale valore di sbarramento sia da includere (“franchigia relativa”) o escludere (“franchigia assoluta”) dall’ammontare della somma da risarcire. In assenza di determinazione, si ritiene operante la prima.

Proseguendo, si potrà rinvenire una statuizione contrattuale “basket” la quale porrà una (seconda ed ulteriore) soglia minima di ammontare di danno da superare, ai fini ristoratori, sommando le singole voci di danno subite (le quali, da sole, devono aver già superato la singola e rispettiva soglia “de minimis”). Anche in questo caso le parti dovranno specificare se il danno dovuto sarà esclusivamente l’ammontare extra soglia o la sua interezza.

Non meno frequente è l’utilizzo della clausola cosiddetta “cap”, la quale pone semplicemente un limite massimo all’ammontare economico di indennità riconoscibile dal venditore, di norma corrispondente ad una frazione di valore del prezzo della cessione.

Discorrendo tra le tecniche utilizzate nello “SPA” si rinviene altresì la clausola “material” ovverosia quella regola convenzionale in forza della quale il danno va fatto oggetto di indennità solo ove vengano poste in essere “importanti” violazioni delle garanzie. Problema insito in tali tipi di clausole è appunto il significato stesso della locuzione, in quanto, saranno poi le parti a doverne limitare l’operatività in forma espressa secondo i dettami di cui all’art. 1362 ss., cod. civ..

Infine, ulteriore strumento limitativo di responsabilità, può essere quello in forza del quale viene escluso (o ridotto al solo danno “differenziale”) l’obbligo indennitario ove debba essere chiamato in garanzia un soggetto terzo – assicurazione.

Tutto ciò detto – rimedio concesso, tipi di danno “riconoscibili” e soglie massime risarcibili – occorre concludere analizzando la variabile “tempo”, ovverosia i termini convenzionali di durata (83) (84) delle garanzie in esame (85).

Si usa distinguere tra garanzie sul “titolo” e sul “contenuto”.

La differenza sostanziale starà nella validità temporale delle predette, maggiore o minore a seconda del dato ivi garantito.

Nella prassi commerciale (86), generalmente, si concedono garanzie dai 12 ai 24 / 36 mesi sino ai 2 / 5 anni, le quali risultano ben contemperare entrambi gli interessi delle parti, ovverosia, permettere al compratore di “scoprire” ogni vizio e difformità valoriale del bene e, allo stesso tempo, permettere al venditore di svincolarsi definitivamente dalla partecipazione ceduta e dalle responsabilità giuridiche ad essa connesse.

Delineato siffatto sistema di tutele e indennizzi, le parti potranno inoltre riservarsi la facoltà di scegliere, al verificarsi delle condizioni presupposte, mediante preventivo inserimento di apposita clausola, di “alternatività” (87), il tipo di ristoro più confacente alle proprie esigenze concrete. Esemplificando, potranno optare per l’indennità in sostituzione dell’aggiustamento del prezzo e della rivalsa su quote di prezzo accantonate in deposito fiduciario (“escrow”) o viceversa.

Inoltre, potranno stabilire in sede di redazione dell’accordo, con apposita lista, le caratteristiche dell’oggetto della cessione e ciò ad esso (eventualmente) correlato, al fine di delineare, secondo buona fede, i livelli di conoscenza o conoscibilità (88) sul predetto onde delimitare o ridurre l’operatività delle garanzie secondo i principi generali di buona fede contrattuale. Se il compratore “conosce” (o “avrebbe dovuto conoscere”) il vizio non avrà diritto alla garanzia; di contro, al fine di aggirare la portata di siffatta regola convenzionale, lo stesso potrà insistere per l’inserimento di una “clausola di accuratezza” (89) consistente nella dichiarazione espressa di avvenuta verifica di anomalie, vizi e quant’altro da parte del venditore.

A sua volta il venditore ricorrerà all’utilizzo di una “disclousure letter” (90) in forza della quale, eccependo in maniera analitica, secondo vero, le garanzie dell’acquirente egli potrà così non risponderne. Inoltre potrà sempre eccepire ex post, con dichiarazione anteriore di “best knowledge” (91), di non poter aver avuto conoscenza dell’evento danno (ove non coperto da patto di garanzia) o altresì, sempre escludendo la presenza dell’accordo di cui sopra, con ulteriore clausola (92), soddisfatto l’onere probatorio, di non rispondere per fatti imputabili a terzi (amministratori e dirigenti).

Di contro, il compratore, propenderà per l’inefficacia della “due diligence” (93) sulle garanzie prestate, in termini di conoscenza dei vizi da parte del compratore anche ove rivelanti criticità societarie.

Ultima, ma non per importanza, è la questione afferente la “solvibilità” del venditore.

In tal senso, quand’anche il compratore fosse addivenuto alla stesura di un ottimo contratto di vendita, le clausole in esso contenute dovranno poi in concreto trovare pronta esecuzione, ovverosia convertirsi in corresponsione di danaro.

Dunque, in buona sostanza, occorrerà “garantire il garante”.

Tale via viene comunemente attuata attraverso il rilascio di garanzie personali (da parte di persone fisiche o giuridiche – “lettere di patronage” da parte di istituti finanziari (“forti” o “deboli” a seconda dei casi)) o reali da parte di terzi unitamente alla redazione di un “escrow agreement” (94), ovverosia un “deposito fiduciario in garanzia” costituto dalle “tranches” di prezzo corrisposte, avente la funzione di fondo di indennizzo (dunque con riduzione del prezzo) in ipotesi di violazione di garanzie rilasciate. La durata del fondo “escrow” verrà stabilita dalle parti in funzione della struttura e durata dell’operazione.

Dall’altro lato della bilancia vi saranno da tutelare altresì gli interessi del venditore il quale riterrà necessario inserire opportune clausole che garantiscano l’effettivo ottenimento del corrispettivo da parte del compratore.

In tal senso, per prassi (95), oltre ad un “escrow agreement” vi potrà essere il rilascio di una fideiussione bancaria, di una garanzia bancaria “a prima richiesta”, la sottoscrizione di un contratto autonomo di garanzia ovvero una garanzia personale rilasciata (ove presente) dalla capogruppo cui appartiene la compratrice.

Ad ogni modo, sarà cura delle parti inserire, a chiusura, apposita clausola compromissoria (96) volta a deferire ad organi arbitrali la risoluzione di controversie derivanti dall’applicazione od interpretazione del negozio concluso. Inoltre, il contratto, potrà altresì prevedere la nomina di “arbitratori” chiamati alla determinazione del (o di parte del) prezzo in caso di disaccordo tra le parti.

In aggiunta, unitamente al contratto di vendita, potranno essere stipulati ulteriori accordi collegati “ancillari” (97) aventi ad oggetto questioni giuridiche gravitanti attorno al fenomeno “cessione”.

Tra tutti, si potrà riscontrare, con maggior frequenza, la stipula di un “patto di non concorrenza”; di una rinuncia all’esercizio di “azione di responsabilità” (per comportamenti non dolosi ex art. 1900, cod. civ. e per i fatti anteriori al “signing”) verso i precedenti gestori (forte effetto leva nella contrattazione delle altre clausole in mano ai compratori) e di loro manleva in caso di azioni da parte della minoranza sociale di S.p.A (art. 2393 bis, cod. civ.), di creditori sociali (art. 2394 cod. civ.) o di singoli soci di S.r.l. (art. 2476, co. 3, cod. civ.); di un esonero della responsabilità dell’acquirente per la fattispecie di cui all’art. 2497, cod. civ. unitamente ad un eventuale acquisto della quota del socio recedente (98) ex art. 2497 quater, cod. civ. da parte del venditore; di ulteriori accordi di collaborazione con la società alienante; di impegni di non trasferimento della partecipazione residuale in capo al cedente – “lock up” –; di opzioni “put” (offerta irrevocabile di acquisto) e “call” (offerta irrevocabile di vendita) anche incrociate; di una clausola di confidenzialità e così via discorrendo.

Infine, ove si dovesse incappare in uno stallo delle trattative, con apposita clausola di “dead lock” (99) le parti potranno optare per un periodo di sospensione delle negoziazioni – “cooling off” – trascorso infruttuosamente il quale verranno azionati rimedi ADR.

CONCLUSIONI

Tirando le somme, possiamo dunque osservare come, nella odierna prassi degli affari, abbia oramai fatto il suo ingresso un fenomeno di “ibridazione” dei negozi giuridici tradizionali i quali, per “fagocitare” le concrete e complesse fattispecie commerciali, rendono necessario, se non essenziale, il ricorso per così dire ad adiuvandum ad istituti giuridici d’importazione i quali, per la loro specifica conformazione struttural operativa, si rivelano gli unici in grado di conferire la specifica tutela richiesta dalle parti.

Primo esempio tra tutti è proprio la vendita di diritto italiano, la quale, in materia di trasferimento di partecipazione societaria, si è vista, nella quasi totalità dei casi, ibridata da “innesti” contrattuali d’oltremare derivanti dallo “Share Purchase Agreement” anglosassone, trasformarsi in vero e proprio negozio atipico.

Tale fenomeno, a costante conferma, anche in questo campo, della continua e pulsante evoluzione del diritto.

Note dell'articolo:

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