A cura dell'Avv. G. Miceli

 

La pericolosità di un fenomeno sempre più dilagante quale la corruzione, nell’attuale contesto sociale, è sin troppo evidente. La cronaca quotidiana continua ad essere macchiata dai vergognosi episodi che riguardano le aziende private e i palazzi della pubblica amministrazione. Tuttavia, è altrettanto evidente, in Italia, quanto si cerchi di contrastare questo fenomeno con azioni da cui scaturiscono arresti di imprenditori e protagonisti della politica locale e nazionale.

Il livello di preoccupazione verso tale problematica della corruzione – specie nell’esercizio delle funzioni pubbliche - è stato ben espresso, recentemente, anche in sede comunitaria con il primo Rapporto della Commissione Ue sulla corruzione in Europa, in cuisi richiama l’attenzione, tra l’altro, sulla:

  • rilevante diffusione del fenomeno nel nostro Paese;
  • valenza sociale, spesse volte, riconosciuta per il conseguimento di diritti o servizi non ritenuti agevolmente conseguibili secondo i canali ordinari;
  • scarsa fiducia dei cittadini nelle Istituzioni;
  • stimata quantificazione del danno derivante da eventi corruttivi in circa 60 miliardi di euro all'anno, pari al 4% del Pil nazionale.

Anche la Corte dei Conti ha evidenziato come la corruzione sia divenuta da “fenomeno burocratico/pulviscolare, fenomeno politico-amministrativo-sistemico”. La Corte ha evidenziato che “La risposta, pertanto, non può essere di soli puntuali, limitati, interventi - circoscritti, per di più, su singole norme del codice penale - ma la risposta deve essere articolata ed anch’essa sistemica”. “In effetti, la corruzione sistemica, oltre al prestigio, all'imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione, pregiudica, da un lato, la legittimazione stessa delle pubbliche amministrazioni, e, dall’altro (…) l’economia della Nazione”. [1]

Per effetto dell’approvazione della L. n. 190 del 2012, l’Italia ha scelto di schierarsi in maniera attiva nel contrasto alla corruzione, adottando un sistema di prevenzione che si articola, a livello nazionale, con l’adozione del Piano Nazionale Anticorruzione (P.N.A.) e, a livello di ciascuna amministrazione, mediante l’adozione di Piani di Prevenzione Triennali.

Il P.N.A. rappresenta lo strumento che individua le strategie prioritarie per la prevenzione ed il contrasto della corruzione nella pubblica amministrazione a livello nazionale. La legge disciplina, da un lato, il contenuto dei Piani (comma 9), dall’altro, i rapporti tra il P.N.A. e i Piani Triennali di Prevenzione della corruzione, da adottarsi da parte delle:

  • a) amministrazioni centrali, ivi compresi gli enti pubblici non economici nazionali, le agenzie, le università e le altre amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 diverse da quelle di cui al punto b) (comma 5);
  • b) amministrazioni delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano e degli enti locali, nonché degli enti pubblici.

Ecco quindi che l’approvazione della legge n. 190 del 2012 segna il momento per il nostro Paese di predisporre nuove misure e ottimizzare quelle esistenti con un’azione coordinata per l’attuazione di efficaci strategie di prevenzione e contrasto della corruzione e, più in generale, dell’illegalità all’interno della pubblica amministrazione.

Si tratta di un’occasione non più procrastinabile: l’Italia deve allinearsi alle migliori prassi internazionali, introdurre nuovi strumenti diretti a rafforzare le politiche di prevenzione e contrasto della corruzione nella direzione più volte sollecitata dagli organismi internazionali di cui l’Italia fa parte, in particolare, il GRECO (Groupe d’Etats contre la Corruption) del Consiglio d’Europa, il WGB (Working Group on Bribery) dell’OCSE e l’IRG (Implementation Review Group) per l’implementazione della Convenzione contro la corruzione delle Nazioni Unite.

A tutto ciò deve aggiungersi che i fenomeni da cui emerge il reato di corruzione, troppo spesso, sono alla base della perpetrazione di condotte finalizzate al riciclaggio, ovvero, quell’attività che consente di trasformare il denaro “sporco” in capitale apparentemente di natura lecita e, quindi, idoneo ad essere immesso sui mercati legali.

Il termine “riciclaggio” indica, dunque, quell’attività attraverso cui si investono capitali ottenuti illecitamente in attività lecite.

Ecco quindi che il riciclaggio costituisce un meccanismo poliedrico che può assumere forme e strutture finanziarie diverse, passando da quelle più elementari a quelle più elaborate ed insidiose, anche, grazie all’ausilio della rete Internet e delle tecnologie di pagamento, quali i portafogli elettronici o virtuali di cui si può facilmente disporre.

In tale contesto, il professionista che opera sul piano economico-finanziario e giuridico è indicato dal Legislatore come destinatario di una serie di norme giuridiche che sanciscono importanti incombenze alle quali non può esimersi.

Una efficace azione di contrasto, quindi, non può prescindere anche dall'aiuto che potrebbe pervenire dalle azioni e dalle competenze dei professionisti, per questa ragione è stato progettato e sviluppato un Master specialistico su questi temi: Executive Master in Anticorruzione e Trasparenza - Antiriciclaggio e Antiusura.
 

Principali riferimenti normativi:

Legge n. 190/2012 "Anticorruzione" e Decreto legislativo n. 33/2013 "Trasparenza"

Direttiva 2005/60/CE 26 ottobre 2005, D.Lgs. 231/2007 e successive modifiche; artt. 648-bis e 648-ter del Codice penale, Circolare 83607/2012 del 19/03/2012…

 

[1] Cfr.: al discorso di apertura dell’anno giudiziario 2014.

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