Come difendersi dalle pratiche vessatorie

:: A cura del dott. Michele Cruciano e del dott. Marco Astolfi ::

La crisi finanziaria, che ormai da tempo sta affliggendo la nostra economia, ha prodotto un effetto positivo, ovvero quello di accrescere la sensibilità delle imprese e dei cittadini verso le operazioni finanziarie spesso irregolari, se non addirittura vessatorie, praticate dal sistema bancario e dalle Istituzioni finanziarie in genere.

In effetti, grazie ad una legislazione che per troppo tempo è stata silente e permissiva verso questi “poteri forti” dell’economia (e poco garantista per i clienti), alcuni istituti finanziari (non tutti ovviamente) hanno potuto lucrare su molti contratti di credito offerti alla propria clientela, speculando su una legislazione poco chiara e, soprattutto sulla complessità del tecnicismo matematico intrinseco ai contratti stessi, per lo più inaccessibile alla comprensione dell’uomo comune.

Da qualche anno, quindi, la situazione sta evolvendo in modo favorevole, grazie anche alla diffusione di articoli di informazione (come questo) ed alla complicità di un giornalismo d’inchiesta che spesso si fa eco della denuncia proveniente dalle associazioni dei consumatori che hanno portato alla luce numerosissimi casi di vera e propria vessazione istituzionalizzata, nonostante fosse finalmente presente una normativa che, nel complesso, ha sostanzialmente regolato la negoziazione fra le parti definendo ciò che è consentito e ciò che non lo è.

E’ ormai perfettamente assodato, ad esempio, che l’anatocismo è illegittimo; ciononostante le banche continuano serenamente a praticarlo, negando persino l’evidenza di fronte a quei pochi che hanno il coraggio di obiettare. Spesso si generano delle vere e proprie pressioni psicologiche che inducono l’imprenditore a rinunciare a far valere le proprie ragioni per il timore, ad esempio, di vedere da un giorno all’altro revocato il fido dall’Istituto finanziario con cui lavora, con l’evidente rischio di compromettere la continuità delle proprie attività. Un vero e proprio abuso di potere che è purtroppo tollerato e che determina una sudditanza psicologica soprattutto delle PMI incapaci di agire con strumenti di conoscenza tali da rimettere nel giusto equilibrio il rapporto contrattuale con l’istituto finanziario.

Il termine “anatocismo”, che fino a pochi anni fa era sostanzialmente sconosciuto, è diventato sempre più diffuso nel linguaggio comune, sebbene siano pochi coloro che conoscono a fondo il suo funzionamento matematico e la portata dei suoi effetti. Cercando di semplificare al massimo il concetto, quando si dice che su uno strumento finanziario si sono prodotti degli effetti anatocistici, si intende che si son fatti pagare, al debitore, gli interessi, gli interessi su gli interessi, e su questo ammontare gli interessi sugli interessi degli interessi precedenti e così via, in una spirale infinita che può essere srotolata solo a patto di addentrarsi in una procedura fatta di molti calcoli, che non sono particolarmente difficili, ma che, nella loro autoreferenzialità, possono facilmente condurre alla confusione. Fortunatamente è possibile governare tali calcoli attraverso dei modelli matematici sviluppati in un semplice foglio excel dove può sembrare strano ma l’operazione più complessa è la moltiplicazione.

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Anche l’usura, che prima era un reato senza rei, è stata meglio disciplinata nel nostro ordinamento giuridico. Dati certi valori (rilevabili con facilità dagli estratti scalari dei conti correnti o di altri contratti di finanziamento) è possibile stabilire con certezza se un rapporto finanziario è usurario oppure no, soprattutto perché la Banca d’Italia rileva sistematicamente il costo medio (cd. TEGM) dei vari contratti, arrivando a stabilire delle “soglie” oggettive, oltre le quali un contratto è usuraio, punto e basta.

Già, la Banca d’Italia, in materia di vigilanza bancaria è l’organo supremo, peccato sia di proprietà delle banche stesse, e per usare una metafora è come se nel derby capitolino l’arbitro indossasse la maglia giallorossa! Nota di colore a parte, ai fini del calcolo dei TEGM, e di conseguenza delle soglie di usura, Bankitalia adotta delle formule matematiche che, a voler usare un eufemismo, sono per lo meno opinabili. Ad esempio, nella determinazione del TEGM, Bankitalia, per calcolare l’incidenza dei costi fissi nel conto corrente, rapporta quest’ultimi non già al debito effettivo che si è manifestato nel periodo (utilizzo dello scoperto di c/c), bensì all’affidamento massimo, che invece è un debito potenziale. Per comprendere quanto detto basta questo semplice esempio: se si paga 500 Euro su un affidamento di 50.000, di cui solo 1.000 sono utilizzati, in base al calcolo della Banca d’Italia l’incidenza dei costi è solo dell’1% (500/50.000), mentre è palese che l’incidenza effettiva è del 50% (500/1.000). Inoltre Bankitalia non tiene conto di una serie nutrita di altri costi impliciti, legati ai giorni valuta, all’interazione (onerosa) fra diversi conti (conti anticipi e conti correnti), alla convertibilità dei tassi, eccetera.

Il punto è che tutti questi maggiori elementi che dovrebbero rientrare più correttamente nella determinazione del tasso effettivo, vengono considerati “dettagli” persino da molti addetti ai lavori, sebbene incidano in maniera molto significativa sul costo complessivo degli strumenti finanziari. Le stesse banche, da tempo, hanno ormai spostato proprio su questi “dettagli” il grosso della loro redditività, per cui non si capisce perché se per loro sono ricavi per i clienti non debbano essere considerati come costi e la loro incidenza non debba rientrare nella determinazione del calcolo del tasso effettivo, secondo l’impostazione della Banca d’Italia.

Crediamo, pertanto, che in un ambiente competitivo (e protetto) come quello finanziario, la diffusione di una cultura consapevole di come funzionano le cose e di come ci si possa opporre a certe storture consolidate della prassi bancaria, sia ormai da considerarsi un obiettivo indifferibile.


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