Chi si occupa di Risorse Umane da diverso tempo, avrà certamente colto come la centralità del tema “lavoro” si sia sempre più spostata dalle scrivanie dei manager alle agende dei politici, per poi passare agli scranni parlamentari, e fare quindi ritorno negli uffici del personale, spesso con risultati non del tutto coerenti con gli obiettivi iniziali, e con l’effetto di costringere gli operatori di settore ad un lavoro di costante auto–rialfabetizzazione.


Infatti, coloro che sono stati universitari nel corso dei primi anni ’90 si ricorderà come in Diritto del Lavoro bastasse prepararsi bene sullo Statuto (L. 300/70), aggiungere un tocco di L.223/1991 sulle procedure di mobilità e di L. 604/1966 sui licenziamenti individuali, condire il tutto con un Contratto collettivo nazionale di lavoro a scelta (alla Sapienza di Roma, all’epoca, sceglievano tutti il CCNL dei parrucchieri, dieci agili paginette senza grosse complicazioni giuridiche …), e il 30, se non certo, risultava quantomeno probabile. 

Cimentarsi oggi con le stesse problematiche risulta invece estremamente più difficile. Con una riforma epocale che tira l’altra, fra Testo Unico dell’Apprendistato, Collegato Lavoro, “Riforma Fornero” prima e seconda, pensioni da un lato e contratti di lavoro e ammortizzatori sociali dall’altro, orientarsi assume sempre più i connotati di una impresa titanica. Chi di noi non ha mai bonariamente invidiato, anche per un momento, i vecchi Capi del Personale della grande azienda, con posto fisso e prestigioso, poche norme da sapere (niente leggi sulla privacy, salute e sicurezza, quasi nessun contratto atipico, ecc…), e un corso di formazione (forse) ogni due anni, giusto per spezzare la routine?

I tempi sono cambiati e con una rapidità che rischia di lasciare indietro chi non è disposto a rimettersi in gioco e a puntare costantemente sulla propria competitività professionale, quindi, sulla competenza, l’arma in più a nostra disposizione in un momento come il presente, di grande crisi e trasformazione.