A cura di A. Cardonia (partecipante del Master in Giurista d'Impresa) 

La Convenzione di Vienna anche denominata CISG (United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods) dell’11 aprile 1980, è oggi considerata come il più importante testo di diritto uniforme in materia di contratti internazionali. Entrata in vigore in Italia il 1º Gennaio 1988, allo scopo di fissare la disciplina sostanziale uniforme della vendita internazionale di beni mobili, si è sostituita alle legislazioni dei singoli Stati contraenti. La CISG proprio perché discussa ed approvata da Paesi caratterizzati da condizioni economiche e sociali profondamente diverse, Paesi industrializzati, Paesi in via di sviluppo, Paesi dell'Est, non presentò i problemi che avevano impedito alle Convenzioni dell'Aja del 1964 di affermarsi a livello mondiale, ed oggi essa presenta un testo redatto in 6 lingue ufficiali ed è in vigore in 79 nazioni. Il suo ambito di applicazione prescinde dalle norme di diritto internazionale privato dei due Stati contraenti, le quali sono pertanto irrilevanti ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile alle obbligazioni contrattuali dedotte in giudizio.

E’ ormai principio consolidato in Giurisprudenza che, la Convenzione di Vienna entra a far parte a tutti gli effetti degli ordinamenti degli Stati aderenti, assumendo il compito di disciplinare i contratti di vendita di beni mobili aventi carattere internazionale (Cass. SS.UU.n.448/2000 in Foro It.,2001, I, 530).

La CISG concerne i contratti di compravendita di beni mobili che presentano un carattere internazionale discendente dalla diversa ubicazione statale della sede d’affari delle parti contraenti.

Orbene, l’internazionalità della compravendita non è sufficiente a rendere applicabile la Convenzione; è necessario un ulteriore elemento e cioè che i paesi nei quali le parti hanno la loro sede d’affari siano Stati contraenti della Convenzione al momento della conclusione del contratto (art. 1, comma 1, lett. a).

La definizione di compravendita si rileva dall'analisi congiunta delle obbligazioni reciproche delle parti espresse agli articoli 30 e 53 della Convenzione nonché dalla funzione economica dello scambio, in particolare, ai fini dell'applicazione della convenzione, un contratto si qualifica come una compravendita internazionale di beni se esso prevede che il venditore ha "l'obbligo di consegnare i beni" - e dunque i beni devono essere suscettibili di essere fisicamente consegnati unitamente ai documenti ad essi relativi - e l'obbligo di "trasferirne - effettivamente e non a titolo di eventualità - la proprietà"; per contro il compratore "ha l'obbligo di pagare il prezzo dei beni e prenderli in consegna", la consegna determina altresì il passaggio del rischio del perimento dei beni; i beni compresi nella nozione sono i beni i quali, al momento in cui deve avvenire la consegna - e non necessariamente anche al momento della conclusione del contratto -, sono mobili corporali indipendentemente dalla forma che assumono (compreso il gas, hardware software poiché incorporati in dischi o libri) ed indipendentemente dal fatto che si tratti di beni nuovi, animati o inanimati. L'internazionalità del contratto non è di per sé sufficiente a garantire l'applicabilità della Convenzione, secondo l'art. 1, infatti, essa si applica sì ai contratti di vendita di beni mobili conclusi come detto tra parti le cui sedi si trovano in due Stati differenti ma a condizione che:

  1. tali Stati siano entrambi Stati contraenti;
  2. le norme di diritto internazionale privato portino all’applicazione della legge di uno Stato contraente.

Trattasi di due requisiti alternativi, pertanto basta la presenza di uno solo di essi affinché il contratto rientri nell’ambito di applicazione della Convenzione.

Si è ritenuto che, anche le sedi d’affari secondarie possano rientrare nel concetto di sede d’affari della Convenzione di Vienna, non richiedendo questa il carattere della principalità. Tale principio ha rilevante importanza in caso di parti aventi più di una sede: si pensi al caso di una società italiana, pertanto, con sede legale in Italia, ma munita di sede secondaria in Germania, si riterrà “sede d’affari” ai fini della Convenzione di Vienna quella che risulterà collegata più strettamente con il contratto e la sua esecuzione, tenendo conto delle circostanze note alle parti, in qualsiasi momento prima o al momento della conclusione (art. 10, lett.a). Occorre però un reale collegamento del contraente con il luogo, e non una mera fittizia registrazione o iscrizione a registri tenuti da uffici di quella località. Sussistendo la medesima condizione potrà, quindi, essere ritenuta sede d’affari la sede secondaria in Italia di una società tedesca avente la sede principale in Germania.

 

Fonti bibliografiche:

  • Luca Mastromatteo (a cura di), “La vendita internazionale”, Giappichelli Editore (2013)

 

>> Leggi anche "La legge di riferimento nei rapporti contrattuali aventi parti di Paesi differenti

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