A cura di S. Cortelazzo (partecipante del Master in Giurista d'Impresa)

L’8 giugno 2016 è stata adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione europea la Direttiva Ue 2016/943 sulla “protezione del know-how riservato e delle informazioni commerciali riservate (segreti commerciali, c.d. trade secrets) contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione illeciti”.

L’Atto è il frutto di un percorso di riflessione scaturito dall’analisi del flusso produttivo delle imprese europee, soprattutto le PMI,che nel corso degli ultimi anni hanno scelto di investire molte risorse nel campo della produzione e dello sfruttamento del capitale intellettuale, nell’ottica di un accrescimento della capacità innovativa, della ricerca e dello sviluppo. Nel quadro giuridico europeo, l’assenza di una protezione dettagliata e soprattutto omogenea delle informazioni così realizzate, essenziali al progresso ed alla competitività dell’attività di ciascuna realtà imprenditoriale, ha provocato nel medio-lungo periodo un indebolimento delle scelte innovative promosse nel campo transfrontaliero, disincentivando l’utilizzo prima, e la tutela processuale poi, dei segreti commerciali, indispensabili ad una proficua crescita economica ed occupazionale.

A dispetto dell’Accordo intercorso a livello europeo (Direttiva Enforcement 2005/48 CE, recepita dall’Italia  con d.lgs. 16 marzo 2006 n°140) ed internazionale (quest’ultimo noto come TRIPS, promosso dall’Organizzazione mondiale del Commercio “WTO” e ratificato dall’Italia nel 1994) sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale – con efficacia estesa a tutti i diritti di proprietà industriale titolati e non - le legislazioni degli Stati membri risultano ancora oggi estremamente differenziate in ordine alla protezione dei segreti commerciali, specialmente per quanto riguarda le misure sanzionatorie e le procedure contro l’acquisizione, l’utilizzo e la divulgazione dei trade secrets da parte dei presunti violatori. Per questa ragione, l’Unione Europea è intervenuta mediante uno strumento legislativo di armonizzazione, individuando standard minimi di protezione in grado, da un lato, di garantire la conservazione delle soluzioni già opportunamente adottate in materia e, dall’altro, di incentivare la modifica delle scelte legislative meno idonee al perseguimento di obiettivi di efficacia e di equilibrio nel quadro complessivo dei sistemi giuridici europei. Ai sensi dell’articolo 19 della Direttiva, gli Stati membri, tra cui anche l’Italia, dovranno recepire il contenuto dell’Atto entro il 9 giugno 2018. È bene precisare che la soluzione adottata a livello comunitario non impone affatto la creazione di diritti proprietari (erga omnes) sulle informazioni commerciali, ma un diritto relativo, di tipo possessorio, contro gli usi abusivi delle informazioni segrete, secondo una procedura di adattamento del regime giuridico di ciascuno membro, e quindi nel rispetto delle peculiarità di ogni singolo Stato. A questo riguardo, è importante ricordare, inoltre, che la Direttiva lascia sostanzialmente liberi gli Stati di realizzare schemi di tutela più ampi, purché siano rispettati alcuni requisiti minimi previsti in ordine a misure protettive, rimedi ed eccezioni, quali, ad esempio, il rispetto dell’esercizio della libertà di espressione e di informazione, l’applicazione di norme nazionali o comunitarie volte al perseguimento di interessi pubblici prevalenti (la protezione dei segreti commerciali non si estenderà, pertanto, ai casi miranti a rivelare un'irregolarità, un atto punibile o un'attività illecita, a condizione che il convenuto abbia agito allo scopo di tutelare l'interesse pubblico generale) o la tutela della libera mobilità dei lavoratori (con salvezza dell’utilizzo da parte dei dipendenti di esperienze e competenze acquisite in maniera onesta nel normale svolgimento del loro lavoro).

Passando all’analisi del nostro ordinamento, è pacifico che l’espressione “segreto d’azienda od industriale”, distinguendosi dal concetto di marchio e brevetto, consista in una specifica tipologia di informazioni relative all’attività produttiva od organizzativa di un’impresa, connotate da alcuni elementi peculiari, quali la segretezza (ovvero il loro essere generalmente non note, né facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore), un valore economico-commerciale attuale o potenziale (da intendersi non come prezzo di mercato, bensì di vantaggio di tipo competitivo o più semplicemente di risparmio di tempo e/o denaro che la disponibilità delle informazioni in questione permette) ed, infine, una protezione che si concretizza in misure quanto più adeguate possibili ai fini del mantenimento della segretezza stessa. Quest’ultimo è un campo in cui è intervenuto, come noto, il codice della Proprietà Industriale (c.p.i.), che all’articolo 98 ha definito prima di tutto l’oggetto della suddetta tutela, ossia le informazioni aziendali, nonché le esperienze tecnico-industriali e commerciali soggette al legittimo controllo del detentore (tipologie di dati necessariamente invocabili da coloro che svolgono attività d’impresa, nella misura in cui siano direttamente utilizzabili nello svolgimento di tale attività).

La protezione accordata dalla normativa, è bene evidenziarlo, rientra a pieno titolo nell’ambito della concorrenza sleale; di conseguenza, devono essere considerati illegittimi atti quali: la rivelazione a terzi, l’acquisizione o l’utilizzazione da parte di terzi, in modo contrario alla correttezza professionale, di informazioni aziendali o commerciali segrete, ed altresì di dati relativi a prove la cui elaborazione comporti un considerevole impegno.

Nel Disegno di Legge di adeguamento alla Direttiva 2016, ancora al vaglio del Parlamento italiano, si precisa che il Governo sarà tenuto a seguire, oltre ai criteri direttivi generali sanciti a livello europeo, ulteriori principi espressamente indicati dal nostro Parlamento, tra i quali: la modifica e l’integrazione del Codice della Proprietà Industriale (d.lgs. n°30/2005) al fine del necessario e corretto recepimento della Direttiva (UE) 2016/943; la previsione di misure sanzionatorie penali ed amministrative efficaci e dissuasive in caso di acquisizione, utilizzo o divulgazione illecita del know-how e delle informazioni commerciali riservate. La disciplina italiana (già richiamante in questo campo una tutela di natura relativa, così come previsto attualmente dalla Direttiva) costituisce, indubbiamente, un modello avanzato nel panorama europeo. Prova ne è il fatto che, a fronte della mancanza di un concetto di segreto commerciale omogeneo a livello europeo, il legislatore comunitario ha fatto propria una definizione “di partenza” analoga a quella prevista dal nostro ordinamento all’articolo 98 del c.p.i., basata sul concetto di informazioni “di valore”, coincidenti essenzialmente con il know-how e le informazioni tecnologiche e di natura commerciale (queste ultime corrispondenti a dati non pubblicamente accessibili di business plan, politiche di prezzi e sconti, ricerche e strategie di mercato, od ancora informazioni sui clienti e sui fornitori).

Si consideri, tuttavia, che la Direttiva Trade Secrets ha fissato una serie di requisiti probatori e garanzie ulteriori rispetto ai due Atti sovranazionali – più sopracitati - recepiti dall’Italia, cosicché il nostro Legislatore (al pari degli altri governi europei) dovrà gioco forza intervenire su alcuni punti deboli del sistema giuridico oggi in vigore. In questo senso risulta fondamentale porre, innanzitutto, rimedio all’assenza di limiti stringenti in specifici settori della disciplina, certamente indispensabili ad arginare eventuali abusi, forieri di una controproducente sovra protezione delle informazioni segrete. In altre parole si tratterebbe, non soltanto di scoraggiare il promovimento di azioni temerarie il cui unico fine sia quello di limitare l’accesso al mercato di un concorrente, ma anche di circoscrivere le misure sanzionatorie particolarmente afflittive alle sole violazioni più rilevanti (con esclusione pertanto delle sottrazioni abusive non seguite da un uso effettivo e pertanto oggettivamente prive di un’alta lesività). A questo scopo, la Direttiva ha posto al centro della nuova disciplina il principio di proporzionalità (art. 7), dando priorità al perseguimento di un corretto bilanciamento tra l’interesse legittimo delle parti (specialmente del titolare del segreto commerciale), quello dei terzi eventualmente coinvolti (ad esempio, i consumatori) e l’interesse pubblico all’innovazione ed alla libera concorrenza. In questo quadro, diventa imprescindibile ponderare il valore del segreto, la gravità della condotta abusiva e l’impatto effettivo o potenziale della violazione. In ordine alla seconda valutazione l’art.13, co. 3, della Direttiva prevede,ad esempio, che il convenuto possa chiedere all'autorità giudiziaria di ordinare il pagamento alla parte lesa di un indennizzo (previsto invece in forma soltanto facoltativa dalla Direttiva Enforcement), alternativo alla principale misura di merito prevista in ambito processuale (l’inibitoria), purché:

  1. il convenuto abbia agito in buona fede, e cioè non fosse a conoscenza, né avrebbe potuto esserlo, “che il segreto commerciale era stato ottenuto da un altro soggetto che lo stava utilizzando o divulgando illecitamente”;
  2. l'esecuzione delle misure sia eccessivamente onerosa, e possa quindi arrecare al convenuto “un danno sproporzionato”;
  3. l'indennizzo sia adeguato e appaia “ragionevolmente soddisfacente” per la parte lesa, ovvero non superiore alla c.d. giusta royalty, cioè“all'importo dei diritti dovuti se il soggetto interessato avesse richiesto l'autorizzazione ad utilizzare il segreto commerciale in questione per il periodo di tempo per il quale tale utilizzo avrebbe potuto essere vietato”.

Altri punti salienti d’intervento toccati dalla nuova disciplina riguardano l’articolato impianto delle misure cautelari e di merito, il risarcimento del danno e gli strumenti di protezione del segreto nell’ambito dei procedimenti giudiziari.

Sul piano probatorio, l’articolo 11, co. 1, impone al richiedente di dimostrare con “sufficiente grado di certezza”:

  • l’esistenza del segreto e la sua legittima detenzione (concetti entrambi riconducibili al fumus boni iuris, elemento che tuttavia dovrà essere valutato in modo assai rigoroso, avendo riguardo del valore e delle misure di sicurezza preventivamente predisposte, che se insussistenti potrebbero condurre il giudice a respingere la richiesta della misura cautelare);
  • l’avvenuta od imminente acquisizione, utilizzo o divulgazione illeciti del segreto (ovvero il periculum in mora);
  • l’impatto - e quindi il danno - che l’illecito è suscettibile di cagionare al ricorrente, ferma restando la valutazione del grado di eventuale irreparabilità del fatto.

Di assoluta novità è la possibilità prevista dall’art. 10, co. 2, di concedere in pendenza di giudizio la prosecuzione dell’utilizzo asseritamente illecito, a fronte del pagamento di una cauzione a garanzia del risarcimento dei danni nel caso in cui l’uso risulti, all’esito del processo, illegittimo. Nel rispetto delle peculiarità di ciascun sistema si concede, invece, al legislatore ed al giudice nazionale un maggior margine di manovra in tema di misure finali: accanto all’inibitoria dell’utilizzo e della divulgazione, infatti, l’articolo 12 suggerisce l’adozione di “opportune misure correttive”, tra le quali è suggerita un’opzione già nota all’esperienza italiana (sebbene assente nella Direttiva Enforcement), ovvero l’eliminazione di eventuali specifici elementi di una merce autonomamente incorporanti il segreto. A ben riflettere, l’erogazione di questa misura appare più onerosa rispetto al semplice richiamo (utilizzabile qualora la merce sia ancora nella disponibilità del convenuto) oppure al ritiro del prodotto dal mercato, data l’oggettiva difficoltà di isolare le singole parti suscettibili di eliminazione. L’art. 15 si occupa,poi, della misura concernente la pubblicazione della sentenza, disposta dal giudice su richiesta dell’attore e a spese del convenuto, parametrata al bilanciamento delle circostanze del caso (valore del segreto, contegno del convenuto, entità del danno, pericolo di reiterazione della violazione). Si aggiunge che, nell’ottica di una tutela della privacy - particolarmente cara alla nuova Direttiva - estesa a tutte le parti coinvolte nel giudizio, l’autorità giudiziaria è tenuta a considerare se sussista il rischio di provocare danni alla vita privata ed alla reputazione dell’autore della condotta illecita. A chiusura del sistema sanzionatorio, la Direttiva ha, infine, stabilito la facoltà per il giudice di applicare penali “efficaci, proporzionate e dissuasive” a fronte dell’omesso adempimento delle misure cautelari e di merito sopra descritte.

Per quanto riguarda il risarcimento del danno, disciplinato dall’articolo 14 della Direttiva Trade Secrets, anche in relazione ai segreti commerciali, similmente a quanto previsto dalla Direttiva Enforcement sui diritti di proprietà intellettuale,l’obbligo risarcitorio scatta unicamente in caso di dolo o colpa grave e cioè quando il convenuto “era o avrebbe dovuto essere a conoscenza del carattere illecito dell'acquisizione, dell'utilizzo o della divulgazione del segreto commerciale”. Tuttavia, data la specifica natura della tipologia in esame, il legislatore europeo ha ritenuto che,a differenza dei diritti d’autore, di marchio e di brevetto, nel caso del segreto commerciale la violazione incolpevole – ovvero di chi sia stato implicato in una violazione “senza saperlo o senza avere motivi per saperlo” - non abbia alcun rilievo ai fini del risarcimento. Criteri analoghi sussistono invece in ordine alla quantificazione del danno operata in sede processuale sulla base di “tutti i fattori pertinenti” economici (lucro cessante subito dall’attore e profitti realizzati dal convenuto) e non (eventuale danno morale causato al detentore del segreto), od in alternativa calcolando l’ammontare in via forfettaria (con un importo almeno pari a ciò che il colpevole avrebbe dovuto corrispondere fin dall’origine al titolare del segreto).

Relativamente al tema della protezione dei trade secrets in ambito processuale, la Direttiva del 2016 ha imposto un rafforzamento della tutela del segreto commerciale,come conseguenza diretta del preoccupante risultato di uno studio condotto nel 2013 per la Commissione Europea, in base al quale è chiaramente emerso che la potenziale divulgazione di informazioni riservate durante l’iter giudiziario rappresenterebbe un forte disincentivo al promovimento dell’azione a difesa degli interessi violati. A questo proposito, la realtà giuridica del nostro Paese (non diversamente da quanto accade in molti altri ordinamenti europei) non offre ad oggi un modello di riferimento per la soluzione del problema: secondo quanto disposto dall’art. 121, comma 3, del c.p.i. la protezione delle informazioni segrete è, infatti, da sempre interamente demandata alla sensibilità ed esperienza del singolo organo giudicante che, sentita la controparte, sarà chiamato ad adottare – secondo una formula ampiamente generica –qualunque “misura idonea”. La Direttiva è pertanto intervenuta indicando agli Stati membri, ivi compresa l’Italia, nuovi principi e strumenti adatti a garantire un’efficace protezione delle informazioni trattate nel contesto processuale. È d’uopo premettere che dovranno essere considerati riservati i documenti ed i dati che l’autorità giudiziaria ha indicato come tali a seguito di una formale richiesta, debitamente motivata, della parte interessata. Ebbene, si prevede che tutti coloro che possono avere accesso alla documentazione processuale, saranno giuridicamente tenuti a non divulgare, né a rivelare le informazioni coperte dal segreto, obbligo valevole altresì nel periodo successivo alla conclusione del processo, ad eccezione dei casi in cui:

  • una decisione “definitiva” (in Italia una sentenza di merito passata in giudicato, con esclusione invece del provvedimento cautelare non più soggetto a gravame) accerti l'inesistenza del segreto commerciale; oppure
  • nel tempo le informazioni diventino generalmente note o facilmente accessibili alle persone esperte del settore.

La Direttiva indica inoltre alcune misure minime di protezione, tra cui in primis la limitazione dell’accesso ai documenti, alle udienze ed alle relative registrazioni o trascrizioni, ad una cerchia ristretta di soggetti, cosicché qualsiasi persona estranea al gruppo debitamente selezionato potrà usufruire esclusivamente di una versione non integrale degli atti.

Per concludere, è opportuno ricordare due fondamentali disposizioni che stabiliscono quali mezzi di acquisizione possano essere considerati leciti e quali no.

L’art. 3, par.1, della Direttiva si occupa della prima tipologia, consistente nella «scoperta o creazione indipendente» nonché nell’«osservazione», nello «studio», nello «smontaggio o prova di un prodotto o di un oggetto messo a disposizione del pubblico o lecitamente in possesso del soggetto che acquisisce le informazioni, il quale è libero da qualsiasi obbligo giuridicamente valido di imporre restrizioni all’acquisizione del segreto commerciale» oltre, naturalmente, a «qualsiasi altra pratica che, secondo le circostanze, è conforme a leali pratiche commerciali». Ciò non significa che le informazioni lecitamente acquisite siano liberamente utilizzabili o divulgabili in ogni circostanza. Qualora, infatti, il soggetto entrato in possesso delle informazioni sia legato da un rapporto contrattuale – ad esempio un contratto di licenza -o da un valido vincolo di riservatezza con il detentore legittimo, quest’ultimo potrà imporre limiti di impiego e divulgazione dei segreti (a meno che non si tratti di accordi giuridici che limitano la concorrenza in modo contrario alle disposizioni del TFUE).

L’art. 4 è dedicato ai mezzi di acquisizione illeciti. Posto che tale ipotesi ricorre nel caso in cui non sussista il consenso del detentore - ovvero quando l’accesso non sia autorizzato, oppure la condotta sia comunque considerata contraria a leali pratiche commerciali - i paragrafi 4 e 5 ampliano la cerchia dei legittimati passivi nei seguenti termini: ai sensi del par. 4, “[l]’acquisizione, l’utilizzo o la divulgazione di un segreto commerciale si considerano altresì illeciti qualora un soggetto, al momento dell’acquisizione, dell’utilizzo o della divulgazione, fosse a conoscenza o, secondo le circostanze, avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che il segreto commerciale era stato ottenuto direttamente o indirettamente da un terzo che illecitamente lo utilizzava o lo divulgava”. Il par. 5 aggiunge che “la produzione, l’offerta o la commercializzazione di merci costituenti violazione oppure l’importazione, l’esportazione o lo stoccaggio di merci costituenti violazione a tali fini si considerano un utilizzo illecito di un segreto commerciale anche quando il soggetto che svolgeva tali attività era a conoscenza o, secondo le circostanze, avrebbe dovuto essere a conoscenza del fatto che il segreto commerciale era stato utilizzato illecitamente”. Queste disposizioni appaiono decisamente più severe rispetto a quanto disposto dall’Accordo TRIPS, in base al quale, infatti, non rileverebbe ai fini della tutela una negligenza lieve (“la contrarietà alle leali pratiche commerciali comprende l’acquisizione di informazioni segrete da parte di terzi che sapevano, o sono stati gravemente negligenti nel non sapere, che l’acquisizione implicava tali pratiche”).

È evidente d’altro canto come, nel quadro generale, un simile intervento di irrigidimento giuridico e di contemporanea armonizzazione punti ragionevolmente nella direzione di un effettivo accrescimento delle attività di ricerca e d’innovazione, fondamentali ai fini del perseguimento di un indispensabile sviluppo della società e del mercato.  

Rigorosa chiarezza giuridica, del resto, imprescindibile per garantire condizioni di parità a tutte le imprese e tale da consentire un sempre più proficuo scambio – motivatamente così tutelato – di nuove conoscenze, motore di diffusione di progresso e benessere economico e sociale.

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Bibliografia

 

  • Alcune novità introdotte dalla direttiva Trade Secrets, Rivista di Diritto Industriale, fasc.4-5,OTTOBRE 2017, pag. 202, Francesco Banterle, Marco Blei.
  • Prospettive di adeguamento del diritto italiano alla direttiva Trade Secrets, Editore Associazione Italiana Dei Professori Universitari Di Diritto Commerciale, pubblicato in Orizzonti Del Diritto Commerciale, Rivista Telematica – Anno IV, numero 2, 2016, ISSN 2282 - 667X, autore Davide Arcidiacono.
  • Trade Secrets: cosa cambia con la nuova direttiva europea, 19 ottobre 2017, Gabriele Faggioli, Cecilia Ciarrocchi, https://www.digital4trade.it/generale/trade-secrets-cosa-cambia-con-la-nuova-direttiva-europea/

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