A cura di A. Cardonia (partecipante del Master in Giurista d'Impresa)

Il D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23, attuativo della legge n. 183/2014 (definita Jobs Act), ha riscritto il sistema sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi individuali e collettivi di operai, impiegati e quadri disegnando un modello complesso, in ragione della contemporanea vigenza anche dell’art 18 della Legge n. 300/1970 (Statuto dei lavoratori), con tipologie differenti di tutele risarcitorie e reintegratorie per nuovi e vecchi assunti.

Con tale dicitura si intende far riferimento a coloro che sono stati assunti prima o dopo il 6 Marzo 2015. Ciò in quanto le nuove regole introdotte dal Jobs Act hanno trovano applicazione dal 7 marzo 2015, giorno successivo a quello della sua entrata in vigore; pertanto per i “vecchi” assunti continueranno ad operare le regole sancite dall’art. 1 della Legge n. 604/1966 (considerato il caposaldo della regola di necessaria giustificazione del licenziamento) - il quale dispone che “nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art 2119 c.c. o per giustificato motivo”- e dall’art 18 della Legge n. 300/1970 (Statuto del Lavoratori), il quale invece sancisce la legittimità del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, ma solo per le aziende con almeno 15 dipendenti. In assenza di tali presupposti, il lavoratore può fare ricorso. Il Giudice, una volta riconosciuta l’illegittimità del licenziamento, ha l’obbligo di ordinare la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, oltre a riconoscere allo stesso, il risarcimento degli stipendi non percepiti, nonché il mantenimento del medesimo posto che occupava prima del licenziamento. In alternativa, il dipendente può accettare un’indennità pari a 15 mensilità dell’ultimo stipendio o un’indennità crescente con l’anzianità di servizio.

Ebbene, dal 7 marzo 2015 il regime dei licenziamenti è cambiato poiché il c.d. Jobs Act ha introdotto l’istituto del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, così denominato perché, come spiegato di seguito, nei casi di licenziamento per motivo economico o nel caso di licenziamento disciplinare, il datore di lavoro non è obbligato a reintegrare il lavoratore sul posto di lavoro, ma deve corrispondergli un risarcimento pari ad un importo che cresce all’aumentare dell’anzianità di servizio.

Da qui il nome del nuovo contratto!

Esistono dunque tre tipi di licenziamento:

  1. LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO: per licenziamento discriminatorio si intende quello determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dal sesso, dall’età o dall’orientamento sessuale. In caso di licenziamento di tal natura, l’atto viene dichiarato nullo ed applicata la sanzione consistente nella reintegrazione con risarcimento integrale.

N.B. Regole identiche vengono applicate in caso di licenziamento ORALE, o nei casi di licenziamenti avvenuti in prossimità di MATRIMONI, MATERNITA’ o PATERNITA’.

In particolare, l’art. 2 del D.Lgs. n. 23/2015 disciplina il licenziamento discriminatorio nullo e intimato in forma orale, riproducendo sostanzialmente i contenuti della disciplina vigente, recata dall’art. 18, commi 1-3, della legge n. 300/1970, che prevede la tutela reale, cioè la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato.

Orbene, il giudice, dichiarata la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’art 15 della Legge n. 300/1970, ordina al datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Inoltre il datore di lavoro viene condannato dal giudice al risarcimento del danno subito dal lavoratore, che si sostanzia in un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Tale indennità risarcitoria deve tener conto della retribuzione di riferimento, maturata dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum).

In ogni caso il risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR.

L’art. 2, comma 3,del D.Lgs. n. 23/2015 riconosce al lavoratore, fermo restando il diritto al risarcimento del danno, la facoltà di chiedere entro 30 giorni al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. L’esercizio di tale opzione sostitutiva fa scaturire ovviamente la risoluzione del rapporto di lavoro.

  1. LICENZIAMENTO DISCIPLINARE/ PER GIUSTA CAUSA: determinato da condotte gravi del lavoratore tali da far ledere il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. Può essere per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, identificandosi la prima in una circostanza così grave da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, ed il secondo in un inadempimento notevole da parte del lavoratore degli obblighi contrattuali.

Il comma 1 dell’art 3 del D.Lgs. n. 23/2015 disciplina tale licenziamento nel senso di una forte riduzione dell’area della tutela reintegratoria, con un consistente ampliamento dell’area della tutela obbligatoria (solo indennitaria) in caso di licenziamento illegittimo. In tal caso il Giudice può ritenere non sussistente tale licenziamento e condannare dunque il datore di lavoro al pagamento di un’indennità di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.

Il comma 2 dell’art.3 disciplina la tutela reale, limitata alle sole ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, in cui sia dimostrata in giudizio la non sussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. La norma attuativa della Legge n. 183/2014, introduce dunque la previsione del riferimento esclusivamente al “fatto materiale” eliminando così la discrezionalità del giudice rispetto alla individuazione dell’insussistenza del “fatto giuridico”, ovvero la mancanza di colpevolezza o la non esatta corrispondenza tra la contestazione disciplinare ed il fatto.

La nuova formulazione del fatto materiale, fa venir meno l’occasione di pronunce giurisprudenziali come quella contenuta nell’Ordinanza del Tribunale di Bologna del 15 ottobre 2012 che ha ritenuto illegittimo il licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore ordinando la reintegrazione a fronte della sussistenza del fatto materiale contestato. Nella pronuncia menzionata si è affermato infatti che l’art 18 dello Statuto dei Lavoratori, pur prevedendo la reintegra solo in caso di insussistenza del fatto contestato, fa riferimento al “fatto giuridico”.

L’art 3 del D.L.gs. n. 23/2015 sancisce un’inversione dell’onere della prova poiché spetta al lavoratore licenziato dimostrare l’insussistenza del fatto materiale contestatogli al fine di ottenere la reintegrazione. Pertanto, nel caso di insussistenza del fatto materiale, il giudice dovrà annullare il licenziamento e condannare il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, dedotto l’aliunde perceptum (quanto il lavoratore ha percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative) e l’aliunde percipiendi (quanto avrebbe potuto percepire se avesse accettato una congrua offerta di lavoro). Ma il lavoratore ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. L’esercizio di tale opzione sostitutiva fa scaturire evidentemente la risoluzione del rapporto di lavoro.

  1. LICENZIAMENTO ECONOMICO/PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO: l’art 3 del D.Lgs. n. 23/2015 regolamenta il licenziamento economico o determinato da giustificato motivo oggettivo, cioè non dipendente dalla condotta del lavoratore, bensì da ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro ed il funzionamento di essa.

Se il giudice non ritiene legittimo tale licenziamento, deve dichiarare estinto il rapporto di lavoro alla data di licenziamento e condannare l’azienda al pagamento di un’indennità risarcitoria di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità. In questo senso l’indennità risarcitoria si colloca nello schema delle tutele crescenti, vale a dire nella prospettiva di una maggiorazione progressiva, in conseguenza della crescente anzianità di servizio. Riguardo a questo tipo di licenziamento “economico”, la Giurisprudenza ha stabilito che debba essere valutato il c.d. “repêchage” consistente nell’affidare al lavoratore altre mansioni, equivalenti o inferiori.

Il Jobs Act può essere considerato la via italiana della cosiddetta flexicurity, modello sviluppato dai paesi nordici e basato su regole flessibili per assunzioni e licenziamenti e tutele in caso di disoccupazione.

Infatti la riforma è nata con l’intento di apportare sicurezza sociale e flessibilità. Con l’arrivo del Jobs Act sono stati aboliti i co.co.pro, si è proceduto allo sfoltimento delle forme contrattuali atipiche, all’abolizione delle dimissioni in bianco, all’ introduzione dell’equo compenso e all’ ampliamento dei sussidi di disoccupazione.

I dati Istat ci confermano che gli occupati continuano a salire, la disoccupazione giovanile a scendere e l’occupazione femminile ha raggiunto livelli alti. Ma i detrattori della riforma sostengono che il ridimensionamento dei diritti dei lavoratori non porti ad alcun beneficio in termini occupazionali.

È indubbio che a distanza di tre anni dalla sua introduzione, i partiti politici si dividano tra abolizione e mantenimento del Jobs Act ed il futuro di esso sarà probabilmente discusso dal prossimo Governo.

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Bibliografia

  • S. LAPPONI, G. NATALUCCI, G. NATALE E A. CAVALLARO, Il nuovo diritto del lavoro, GIUFFRE’, 2015
  • R. STAIANO, Jobs Act e le nuove regole del licenziamento, MAGGIOLI, 2015
  • IPSOA, Contratto a tutele crescenti ed incentivi ad assumere, WOLTERS KLUWER, 2015

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