Tempo fa apparve su un noto quotidiano, un articolo di Pier Luigi Celli, direttore generale della Libera Università Internazionale degli Studi Sociali (Luiss Guido Carli), pubblicato sotto forma di lettera al direttore. L'articolo fece molto discutere e scatenò un ampio dibattito. L’intervento, intitolato “Figlio mio, lascia questo Paese”, vedeva naturalmente al centro dell’analisi il futuro dei giovani italiani, soprattutto laureandi o laureati, indecisi rispetto alle loro scelte. Il contenuto dell’articolo poteva facilmente ricordare uno spezzone del bellissimo film “La Meglio Gioventù”, quello in cui proprio un professore universitario, alla fine di un  esame particolarmente impegnativo, consiglia a un suo brillante alunno di partire e mollare questo nostro Belpaese per andare e realizzarsi professionalmente all’estero. L’articolo-lettera del professor Celli, oltre a rivelarsi critico e fortemente pessimistico rispetto al sistema economico italiano, appare soprattutto un manifesto di denuncia dell’inefficienza del nostro mondo accademico, incapace di portare a compimento una formazione che si possa definire in linea con le reali aspettative richieste dall’attuale contesto economico e sociale internazionale. In verità,  appare sorprendente che una denuncia simile arrivi proprio dal più alto esponente di una delle università private più blasonate in Italia, la cui Business School ambisce a posizioni di primato anche a livello internazionale. E’ anche per questo che l’intervento di Celli risuona chiaramente come un’ammissione di sconfitta, certificata da uno dei più alti rappresentanti di quella generazione che ha portato l’Italia all’attuale livello formativo, universalmente riconosciuto – soprattutto all’estero – come molto basso, e certo non costituisce un inno all’iniziativa imprenditoriale e professionale. Con la sua lettera Celli, di fatto, toglie “peso” al sacrificio che i giovani dedicano faticosamente per il raggiungimento di una laurea e anche rispetto all’intrapresa di ogni forma di percorso specialistico successivo – master o corso che sia – manifestando una evidente e certificata ineluttabile mediocrità di tutto il sistema, incluso (appunto) quello formativo.
Ciò che invece suona ancor più strano è il fatto che l’esimio professore faccia tuttora parte di quello stesso establishment (nel tempo ha ricoperto importanti ruoli manageriali – fra l’altro –  in Eni, Omnitel, Wind, Rai, Unicredit, Enel…) contro cui adesso punta il dito, e ancor più sorprende il fatto che nel corso della sua lunga e riccamente riconosciuta carriera abbia toccato i più alti vertici della Luiss, una posizione dalla quale è molto agevole controllare la formazione e la selezione della futura classe dirigente italiana, e quindi – se siamo arrivati al punto che lui definisce “di fuga” – si può azzardare che anche lui ne abbia una qualche responsabilità?
Tuttavia, la lettera di Celli merita di essere presa in considerazione perché di fatto ammette – ed è la prima volta che a farlo è un esponente di così alto spessore della nomenclatura manageriale italiana – il fallimento di un intero sistema, compreso quello accademico e della specializzazione professionale.
A noi di Master Journal resta la speranza che un “grido di dolore” di così “alto” respiro induca una vera e propria rivoluzione capace di promuovere un profondo e sano ricambio (politico, manageriale ed accademico) capace di arrivare fino alla denuncia dei privilegi di alcune caste e corporazioni, e restituisca credibilità e trasparenza anche ad un settore come quello della formazione dal quale dipendono le speranze di molti giovani e delle loro famiglie. Pertanto crediamo alla libera concorrenza leale del settore della formazione, dove è giusto ed auspicabile che emergano e si affermino nuove realtà capaci di promuovere innovazione. E’ un auspicio che formuliamo in maniera molto forte e sentita, unito alla speranza che presto arrivi il giorno in cui ci capiterà la fortuna di leggere quanto invece sia possibile e funzionale alla formazione dei nostri giovani restare in questo Paese, anziché fuggirne.