Strumenti alternativi di investimento: quali rischi?

A cura di Francesco BrameriniManuela MalteseMario Recchia (partecipanti agli Executive Master in Giurista d'Impresa e Avvocato di Affari)


Tra gli impieghi rientranti nella categoria dei FIA, insieme ai Fondi di Private Equity e il Venture Capital, di cui abbiamo trattato in questo articolo, troviamo gli Hedge Funds e le  SPAC e prebooking companies

 

Hedge Funds

 

Si tratta di fondi comuni finalizzati ad ottenere performance assolute, cioè sganciate ed indipendenti dall’andamento dei mercati (benchmark), e gestiti professionalmente da s.a.s. o s.r.l. con strategie di copertura diverse dal semplice acquisto di azioni, obbligazioni o titoli di credito e aventi profili di rischio molto diversificati tra loro.

Lo stesso termine “hedge” indica “copertura”, proprio per sottolineare che questi Fondi nascono con l’intento di gestire il patrimonio senza particolari vincoli legali, eliminando in tutto o in parte il rischio di mercato, determinando autonomamente le strategie e l’oggetto dell’investimento (indicato nel Regolamento del Fondo) e conseguendo rendimenti positivi a bassa volatilità.

In Italia tali Fondi, di derivazione anglosassone, ritrovano il proprio corrispettivo nei “Fondi speculativi”, disciplinato con D.M. 24 maggio 1999 n. 228 e con il Provvedimento del Governatore della Banca d’Italia del 20 settembre 1999.

Sebbene siano contraddistinti da una forte eterogeneità, è possibile risalire ai caratteri salienti, che li rendono Fondi connotati da un elevato grado di rischiosità per l’investitore.

Gli Hedge Funds non possono essere oggetto di sollecitazione all’investimento e possono essere offerti a qualsiasi investitore, sebbene costituisce contrappeso la previsione di un capitale minimo di ingresso elevato (€500.000), nonché l’immobilizzo dei capitali per periodi più o meno lunghi (da 3- 12 mesi fino a 5 anni), senza che l’investitore possa chiedere il rimborso delle quote.

La commissione spettante al gestore si compone di una parte fissa (annuale), in proporzione agli asset gestiti, e di una parte variabile, legata alla performance (performance fees, in genere di misura compresa tra l’1% e il 2%), cui si aggiungono le commissioni di ingresso e di uscita.

La ratio di una commissione legata all’andamento del Fondo è quella di concedere un incentivo premiale al gestore (Hedge Fund Manager), che è colui il quale determina l’esito dei rendimenti agendo in piena autonomia, così impersonando il tratto tipico della struttura del Fondo, ovvero la concentrazione di potere e responsabilità e dunque il forte elemento personalistico dell’Hedge Fund, che ruota interamente attorno al gestore e alle proprie capacità, tanto che non di rado lo stesso gestore detiene una quota di maggioranza del Fondo, per garantire una maggiore governabilità e speditezza nell’assunzione delle decisioni.

L’estrema responsabilizzazione del gestore non è attenuata neppure dalla previsione di un coinvolgimento conoscitivo dell’investitore sulle attività rilevanti per la gestione del Fondo, non essendo in alcun modo compensata la “asimmetria informativa” tra gestore ed investitore, che è tipica dei fondi comuni, anche per l’elevato tecnicismo delle strategie di governo.

Dal punto di vista delle strategie d’investimento, invece, sono ammessi strumenti quali vendita allo scoperto, leva finanziaria e derivati.

 

Spac e prebooking companies

 

Le Special Purpose Acquisition Companies (SPAC), conosciute anche come “blank check companies”, sono società costituite al fine di raccogliere risorse finanziarie tramite una IPO, con l’obiettivo di realizzare una aggregazione aziendale (c.d. business combination), vale a dire una acquisizione e/o una fusione con una società target, in un breve periodo di 18 o 24 mesi. L’intento è portare la società target in quotazione su di un mercato azionario.

La SPAC è considerata come una soluzione che si situa “al confine tra mercato dei capitali e private equity”: nasce come una società aperta, le cui azioni vengono negoziate in un mercato, ma nel contempo possiede caratteristiche tipiche del “contratto” tra gestore e investitore di un fondo.

I soggetti che assumono rilevanza nella fase di costituzione di questo veicolo di investimento sono i suoi promotori[1] (anche detti sponsor o management team): sono persone fisiche in possesso di un considerevole ed autorevole profilo professionale, che sottoscrivono del capitale o conferiscono risorse ad altro titolo e provvedono a sostenere varie spese, tra cui i costi per promuovere una IPO. Se l’operazione di  aggregazione dovesse fallire, sarà proprio questa parte di capitale (c.d. capital at risk) che andrà perduta.

La quotazione della SPAC tramite IPO avverrà o su di un mercato regolamentato oppure su di un sistema di scambi multilaterale. Per attuare l’integrazione con una società target, si procederà alla raccolta del capitale tra investitori. A tal fine saranno, di regola, collocate Units, composte da una azione e da uno o più warrant[2]. Anche se all’inizio azione e warrant vengono offerti insieme, successivamente verranno separati ed assumeranno un prezzo distinto[3].

I fondi così raccolti, se ritenuti sufficienti per realizzare una business combination[4], saranno, quasi completamente, versati in trust o escrow accounts oppure in depositi vincolati. Il management team a questo punto provvederà alla ricerca di una società target. Questa indagine dovrà, in alcuni casi, indirizzarsi verso settori specifici, privilegiando alcune attività piuttosto che altre.

La decisione circa la convenienza riguardo alla futura operazione di aggregazione, spetterà solo agli azionisti/investitori, i quali dovranno pronunciarsi con maggioranza qualificata. È data comunque la possibilità all’azionista dissenziente di recedere e recuperare la propria quota dai fondi segregati[5].

Una volta approvata, la business combination potrà realizzarsi in molteplici modi, tra i quali occorre ricordare: l’acquisto di azioni della target dagli attuali soci; la sottoscrizione delle nuove azioni della target; oppure infine, attraverso la fusione, diretta o inversa, tra target e SPAC[6].

Se l’operazione di aggregazione aziendale non dovesse realizzarsi, gli sponsor provvederanno, secondo quanto statutariamente previsto, o a proporre una nuova target oppure alla liquidazione della SPAC, restituendo tutti i fondi segregati agli azionisti/investitori.

Due sono le operazioni che meritano di essere ricordate: entrambe sponsorizzate da Simone Strocchi.

Innanzitutto la c.d. Made in Italy 1 S.p.A., ossia la prima operazione SPAC di diritto italiano, inizialmente quotata nel mercato AIM Italia, per poi approdare al mercato MTA, che condusse all’acquisto parziale e alla successiva fusione per incorporazione della target Sesa S.p.A.

In secondo luogo deve essere ricordata la c.d. Ipo Challenger. Considerata come una forma evoluta di SPAC, concerneva la costituzione di un veicolo di investimento non quotato in grado di emettere obbligazioni convertibili in azioni e warrant di una società target, la quale sarebbe stata contestualmente quotata in borsa, ma questa volta direttamente sul segmento più adatto.

Oggigiorno le SPAC si stanno dimostrando un ottimo veicolo di investimento per permettere alle PMI di essere quotate in mercati azionari, infatti dal 2013 sono state ben 9 le operazioni portate a termine.

Ciononostante un aspetto a loro sfavore è ravvisabile nel fatto di essere pubbliche, in quanto devono soddisfare specifiche condizioni. È sufficiente, ad esempio, pensare che prima di una business combination, o meglio prima della decisione assembleare degli azionisti/investitori che saranno chiamati a valutarne la convenienza, le informazioni riguardanti la target avranno una intensa divulgazione. È perciò evidente che la target subirà un notevole pregiudizio qualora l’operazione non dovesse giungere a buon fine. Per ovviare a ciò, di regola, il management team adotta la soluzione di informare in anticipo i principali azionisti della SPAC della possibilità di firmare una lettera d’intenti con la target.

Ciononostante, come si evince dai calcoli di EY, sono proprio le operazioni IPO nei primi mesi del 2016 ha subire un forte rallentamento, registrando un calo del 39% per numero di operazioni e del 70% per capitale raccolto rispetto all’anno precedente. I motivi di questo declino sono secondo la EY da ravvisare nella forte volatilità dei mercati unita ai timori del rallentamento della crescita economica per il crollo delle materie prime e della frenata dell’economia cinese. Di conseguenza, le imprese preferiscono non quotarsi o almeno rimandare il momento della quotazione, prolungando il più possibile il periodo pre-IPO. Ciò conduce a reperire mezzi finanziari in modi differenti e privilegiando scelte rivolte ai mercati privati in cui investitori professionali (fondi pensione, banche d’investimento ecc.) negoziano strumenti finanziari emessi da società quotate. A fronte del loro finanziamento questi investitori ottengono una quota di minoranza.

I mercati privati negli USA, come il NASDAQ Private Market e  lo SharesPost, riguardano in particolare modo le imprese tecnologiche e hanno la funzione di coprire le esigenze nate dall’allungamento del ciclo di vita del venture capital.

Esempi di imprese che hanno scelto i mercati privati pre-IPO sono, ad esempio, Facebook e Alibaba.

Effettivamente, anche se privi di ingente liquidità, i mercati pre-IPOsi dimostrano un ottimo contesto in cui negoziare. Difatti l’esenzione dalla disciplina pubblicistica apporta notevoli benefici in termine di riduzione dei costi informativi, in quanto le offerte agli investitori professionali e le prevendite tra questi non sono soggette all’obbligo di prospetto. Inoltre non è necessario il rispetto degli obblighi di informazione continuata e periodica, richiesto invece agli emittenti con titoli diffusi.

In conclusione, merita menzionare la recente costituzione di un fondo chiuso, chiamato IPO Club[7] e finalizzato alla raccolta di capitali da investire in obbligazioni di prebooking companies. Quest’ultime sono veicoli di investimento non quotati costituiti per convogliare il capitale di investitori nell’acquisizione di quote di capitale della società target da quotare in Borsa.

Il fondo IPO Club sarà utilizzato per attuare investimenti in circa dieci medie imprese eccellenti da quotare mediante le prebooking companies. Gli investitori del fondo possono essere privati o clientela costituzionale. L’obiettivo è sostenere e sviluppare progetti di crescita assieme a queste medie imprese eccellenti entrando a far parte del loro capitale in quote di minoranza. Gli investitori quindi parteciperanno per la loro quota al progetto, ma successivamente potranno anche investire direttamente nella singola azienda, con la quale gli advisors hanno negoziato il progetto di sviluppo condiviso dall’imprenditore, se lo riterranno vantaggioso.

 

[1] Altre categorie di soggetti che assumono rilevanza sono gli investitori e naturalmente i soci della società target.

[2] Il warrant è definito, in generale, come uno strumento finanziario derivato che attribuisce al possessore il diritto di acquistare (warrant call) o di vendere (warrant put) l'attività sottostante a (oppure entro) una determinata scadenza ad un prezzo predeterminato. Nella realtà della SPAC esistono due categorie di warrant: quelli sottoscritti dai promoters (c.d. sponsor warrants) e quelli offerti gratuitamente al pubblico insieme alle azioni (market warrants).

[3] Sia il collocamento delle units, che la natura privata della società target (piuttosto che dell’acquirente) sono alcuni degli aspetti che caratterizzano le società SPAC come un particolare tipo di operazioni di reverse merger.

Nel caso di una reverse merger, una società privata, al fine di quotarsi in un mercato pubblico, procede con l’acquisizione o di una società pubblica oppure di una “ public shell company”, ossia una società senza un business attivo o senza assets significanti.

Quest’ultima soluzione viene adottata, in linea generale, per raggiungere l’obiettivo in modo più spedito ed a un minore costo. Di converso però sono diversi gli svantaggi, tra i quali possono essere ricordati: il mancato afflusso di denaro dalla vendita dei suoi stocks una volta compiuta la fusione; gli elevati costi annuali per essere diventata pubblica; ed infine il ridotto volume di scambio delle azioni, derivante dalla protratta inattività di una public shell company.

[4] Con questo termine intendiamo un’aggregazione aziendale, la quale, secondo l’IFRS 3, consiste nell’unione di entità o attività aziendali di­stinte in un’unica entità tenuta alla redazione del bilancio. Il risultato di quasi tutte le aggregazioni aziendali è costituito dal fatto che una sola entità, l’acquirente, ottiene il controllo di una o più attività aziendali distinte, l’acquisito. Se un’entità ottiene il controllo di una o più entità diverse dalle attività aziendali, l’accorpamento di tali entità non costituisce una aggregazione aziendale. Quando un’entità acquisisce un gruppo di attività o di attivi netti che non costituiscono un’attività aziendale, questa deve allocare il costo dell’assieme alle singole attività e passi­vità identificabili dell’assieme in base ai relativi fair value (valori equi) alla data di acquisizione.

[5] Come è stato osservato da autorevoli autori, la business combination rappresenta la “vera IPO” delle SPAC, perché è in questo momento che l’investitore/azionista decide se ritirare il proprio investimento o diventare socio di una società operativa.

[6] Nella prassi viene scelta di effettuare una fusione diretta per garantire una continuità nella quotazione del mercato.

[7] Il fondo è stato costituito dalla Azimut Holding e da Electa.

 

Riferimenti Bibliografici

 

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