A cura di D. Piacentini, Direttore Risorse Umane Policlinio A. Gemelli

"Sistemi organizzati e professionalizzati sono capaci di erogare servizi, ma solo una comunità è capace di erogare cura."

Peter Block

"Una ben funzionante organizzazione professionale non è solo un insieme di competenti specialisti, è una comunità di membri impegnati."

Henry Mintzberg

Le organizzazioni sanitarie sono caratterizzate da una elevata complessità organizzativa e gestionale essenzialmente derivante da tre caratteristiche peculiari:

  1. alto livello di conoscenze professionali in continua evoluzione e di professionisti in organizzazione;
  2. elevata necessità di tecnologie a supporto della erogazione della prestazione professionale;
  3. la prestazione consiste nella erogazione di un servizio complesso, altamente personalizzato, con alto contenuto relazionale e scarsamente standardizzabile.

Gestire professionisti implica un confronto diretto con persone con elevato grado di istruzione, in possesso di conoscenze specialistiche non facilmente acquisibili e valutabili dall’organizzazione, coscienti che il ruolo ricoperto è cruciale per l’organizzazione e per assicurare qualità dei percorsi di diagnosi e cura. La componente professionale è sempre accompagnata da un alto grado di autonomia e discrezionalità nell’esecuzione del proprio lavoro, la quale è fondamentale per assicurare la qualità delle prestazioni erogate ai pazienti, ma che deve trovare costante equilibrio con il necessario rispetto di linee guida, protocolli, procedure finalizzati ad assicurare la correttezza e la sostenibilità delle scelte e dell’organizzazione. L’equilibrio dinamico tra autonomia professionale e organizzazione è la vera sfida per ogni struttura sanitaria, se vuole assicurare prestazioni di qualità nel tempo.   

Le organizzazioni sanitarie, infatti, sono un sistema formato da parti autonome che funzionano solo all’interno di un tutto coerente, perché questo si realizzi è necessario quella che H. Mintzberg chiama una cooperative autonomy, ovvero una organizzazione in cui l’autonomia individuale si coniuga con un cooperativo agire collettivo all’interno di un sistema complesso, finalizzato - mediante aggiustamenti reciproci orientati da una forte cultura organizzativa - ad erogare prestazioni di cura. L’autonoma cooperazione di professionisti competenti implica, come elemento attivatore determinante, la loro motivazione ad agire in coerenza con i valori e il fine dell’organizzazione nella quale lavorano.

La cosa peggiore che può capitare in una organizzazione sanitaria è, infatti, avere al suo interno professionisti competenti, ma non motivati a mettere le loro competenze al servizio dell’organizzazione e dei suoi pazienti. Questo sia perché una bassa motivazione individuale non attiva la cooperazione, sia perché non permette di utilizzare pienamente le competenze professionali presenti, entrambe elementi che hanno un impatto rilevante sulla qualità dell’outcome clinico e assistenziale.

Comprendere cosa motiva i professionisti nelle organizzazioni sanitarie, è quindi un elemento determinate.

Se definiamo la motivazione, come una energia individuale interna in grado di attivare e mantenere una costante azione orientata e coerente con gli obiettivi sia individuali sia dell’organizzazione, dovuta ad una combinazione di bisogni e desideri personali in relazione al contesto organizzativo, non c’è dubbio che per i professionisti la motivazione è determinata in modo principale da fattori intriseci del lavoro (qualità e caratteristiche della attività, riconoscimento, possibilità di crescita, etc.), mentre quelli estrinseci (retribuzione, ambiente di lavoro sicuro, benefit, etc.) hanno al massimo un effetto non-demotivante, non essendo in grado di generare motivazione secondo la tradizionale distinzione di F. Herzberg.

In Sanità, dunque, nonostante spesso si tenda ad agire su leve come il compensation e benefit (rinnovi CCNL, retribuzione individuale, premi di risultato, politiche di incentivi in settori chiave per l’erogazione delle prestazioni, etc.) per motivare le persone, queste leve sono in grado di orientare l’azione nel breve periodo e, quando ben costruite, possono generare soddisfazione al lavoro, ma non generano motivazione nei professionisti nel medio-lungo termine. Pertanto possiamo dire che i riconoscimenti economici sono una scorciatoia costosa per orientare il comportamento dei professionisti nel breve termine, che raramente paga in sanità, sia perché non risponde alle reali aspettative dei professionisti, sia perché richiede importanti risorse economiche, non compatibili con le risorse disponibili.

I professionisti, infatti, stante la natura del loro lavoro, sono motivati principalmente da lavori interessanti, dalla possibilità di crescere, di apprendere cose nuove, dal lavorare in contesti dove possono accedere a tecnologie che gli consentono di sviluppare le loro competenze e raggiungere risultati professionali rilevanti, dal poter lavorare insieme a colleghi di cui hanno stima e in possesso di competenze che possono valorizzare le rispettive professionalità, per raggiungere risultati clinico-scientifici considerati dalla loro comunità scientifica come rilevanti, dal lavorare in luoghi dove l’innovazione è favorita e dove possono avere incarichi crescenti, sia all’interno della propria organizzazione sia nella comunità scientifica di cui fanno parte.

Tuttavia, questa dimensione per quanto rilevante non va estremizzata: anche in un lavoro professionale come quello sanitario, in cui la dimensione valoriale e di “chiamata” è molto forte -  come evidenziato anche dalla recente pandemia in cui le stragrande maggioranza dei professionisti (medici, infermieri, tecnici, farmacisti, biologi, psicologi) si sono messi al servizio dei pazienti senza chiedere nulla in cambio, anche a rischio della propria salute, solo perché era quello che andava fatto ed era coerente con i valori di assistenza, cura e prendersi cura dei malati – se i fattori estrinseci (igienici) del lavoro  non sono almeno adeguati e sono sotto una soglia di percepita accettabilità individuale e collettiva, i fattori intrinseci, seppur presenti e rilevanti non si attivano e non sono in grado di motivare.

Lavorare in un contesto professionalmente stimolante e che offre molte possibilità di crescita ed apprendimento, ma dove non c’è sicurezza sul posto di lavoro per non rispetto dei requisiti normativi base o dove gli stipendi sono inferiori al mercato o pagati saltuariamente, oppure la stabilità del rapporto di lavoro è incerta, non rende motivati, né motivabili i professionisti di quella organizzazione.

Detto in altri termini: se si vuole motivare un professionista non si deve agire sui fattori estrinseci, ma se i fattori estrinseci non sono gestiti e sono percepiti dai professionisti come al di sotto di un livello di accettabilità nel contesto in cui la struttura sanitaria opera, i professionisti non saranno in alcun modo motivabili, al massimo potremo orientare la loro azione di breve periodo.

In questa ottica, il primo investimento che una struttura sanitaria deve fare è quello di presidiare con attenzione i fattori igienici ed in particolare, in questa fase post-covid, la dimensione sicurezza. Con la pandemia il tema della sicurezza è uscito dal suo ambito formale di adesione alle leggi ed è diventato sostanziale. La pandemia ha reso evidente a tutti che le strutture sanitarie senza i professionisti e le loro competenze distintive, non sono in grado di assicurare le prestazioni ai pazienti. Le tecnologie sono importanti, i farmaci e i device imprescindibili, gli spazi in termini di posti letto e terapie intensive, altrettanto, ma se una malattia contagia il personale che è in possesso di competenze professionali specifiche e difficilmente acquisibili sul mercato in tempi brevi, l’Ospedale si ferma e non è più in grado di assolvere alla sua missione: curare i malati. La pandemia ha reso evidente che le persone in sanità non sono solo al centro, ma sono “prima”. Questo ha comportato e comporterà nei prossimi anni la necessità per le strutture sanitarie di investire maggiormente in sicurezza del proprio personale lungo tre dimensioni:

  • Sicurezza fisica. Sostenere una cultura della sicurezza all’interno dell’organizzazione attraverso il corretto utilizzo di spazi, percorsi e tecnologia; formare sulle tematiche della sicurezza e qualità; monitorare lo stato di salute di ciascuno e supportare nella gestione delle situazioni sanitarie personali e familiari.
  • Sicurezza psicologica. Fin dall’inizio di questa pandemia è stato chiaro il forte carico di stress per i professionisti, occuparsi del supporto psicologico del personale sanitario è stato e sarà determinante.
  • Sicurezza economica. L’emergenza sanitaria ha avuto un impatto devastante anche sulle strutture sanitarie, creando profondi squilibri tra costi e ricavi, difficili da sostenere senza l’intervento delle Istituzioni. Tuttavia, le strutture sanitarie non possono fare a meno delle persone (professionisti) e sono al servizio delle persone (pazienti), per questo dare stabilità occupazionale trasmettendo un messaggio di comunità lavorativa unita, sarà un determinate fattore igienico nel prossimo futuro.

Sintetizzando, quindi, possiamo affermare che per abilitare la motivazione dei professionisti, è necessario che l’organizzazione sia percepita come impegnata ad assicurare la sicurezza fisica, psicologica ed economica dei sui collaboratori, presidiando con attenzione i fattori igienici del lavoro, mentre per motivarli è necessario attivare altre dimensioni, che di seguito proviamo a sintetizzare:

investire nello sviluppo professionale individuale e di team, sia attraverso il coinvolgimento in programmi di formazione, sia in progetti sfidanti nei quali possono esprimersi al meglio;

  • favorire un alto grado di libertà nel lavoro, con possibilità di applicare le competenze in modo discrezionale, seppur in maniere cooperativa, nel rispetto delle linee guida e dei valori al fine di erogare cure di qualità, in modo efficiente e sostenibile;
  • lasciare margini di libertà nel definire il proprio ruolo e nel progettare il percorso di crescita;
  • assicurare di poter lavorare in un ambiente dove possono contare sulle migliori risorse tecnologiche e umane (altri professionisti a loro complementari) per poter affrontare sfide professionali stimolanti ed arricchenti e di crescere contemporaneamente nel loro intero ambito professionale e nel loro specifico settore di interesse, con il fine di erogare prestazioni di qualità;
  • lavorare in modelli organizzativi adattivi, capaci di auto-organizzarsi in relazione al contesto, di produrre innovazione e di estendere la loro azione e i loro risultati anche oltre i confini dell’organizzazione, nelle comunità scientifiche;
  • favorire uno stile di leadership e una cultura che si prende cura dei bisogni dei professionisti.
  • rendere partecipi i professionisti nella costruzione della strategia, degli obiettivi e della cultura, ascoltandoli e condividendo sempre il “senso” di quello che l’organizzazione sta facendo;
  • riconoscere il livello di competenze posseduto e i risultati (clinici, scientifici) raggiunti e il merito non solo individuale, ma anche del team a cui appartengono;
  • far sentire i professionisti membri di una vera comunità, che condivide valori, obiettivi e cultura.

Stante quanto sopra, per le peculiari caratteristiche dei professionisti (alti livelli di istruzione, accesso a conoscenze specialistiche difficilmente socializzabili, autonomia professionale con ampi margini di discrezionalità, forte orientamento alla crescita e al risultato, percezione del lavoro come una “chiamata”), la motivazione può essere vista in sanità sia come un driver, sia una conseguenza delle performance dei professionisti: personale motivato è in grado di erogare una prestazione di alta qualità e il fatto di riuscire ad erogare prestazioni di alta qualità ai pazienti, rafforza e sostiene la motivazione nel tempo spingendo a raggiungere sempre migliori risultati. In questa ottica, i rinforzi positivi, correttamente focalizzati e bilanciati possono sostenere la motivazione, come un efficace goal setting può risultare motivante se gli obiettivi sono concordati e costruiti in modo partecipativo, in particolare in presenza di una cultura del feedback sulla performance a fini di sviluppo e a sostegno dei risultati, mentre gli extrinsic reward sono efficaci ad abilitare la motivazione solo se usati in modo mirato, tenendo conto delle  aspettative delle diverse figure professionali e delle diverse persone in base ai loro bisogni legati al loro ciclo di vita professionale e personale e se riguardano il team più che l’individuo.

Questi elementi sono tuttavia efficaci solo all’interno di una organizzazione che si percepisce come una comunità di membri che condividono valori, cultura e obiettivi. Essere parte di una comunità significa infatti sentire di appartenere a qualcosa che è più grande di noi e ci tiene uniti per raggiungere un bene più grande (in questo caso prendersi cura dei pazienti) e da cui noi possiamo trarre beneficio come individui (in questo caso prendendoci reciprocamente cura della nostra dimensione professionale), contribuendovi attivamente come suoi membri.

In questa ottica per rafforzare la motivazione del personale in sanità il management ed in particolare le funzioni HR devono favorire il senso di comunità, attraverso una organizzazione che promuova fiducia; valorizzi la scelta della professione come una “chiamata”; sia guidata da una leadership diffusa che gestisce in modo cooperativo, stimolando la partecipazione e dando l’esempio sul campo; adotti una misurazione delle performance equilibrata e bilanciata tra risultati di team e individuali; sostenga la cultura condivisa. La cultura è infatti il fondamento della comunità: come ci ricorda Mintzberg “le comunità organizzative sono tenute insieme da principi, etica, valori, più che da budget, piani e strategie” e pertanto la gestione della cultura è responsabilità dei ruoli di leadership diffusi ai diversi livelli e nei diversi ruoli professionali presenti nell’organizzazione. Questa è una responsabilità chiave di tutti i leader (clinici e amministrativi) dell’organizzazione e il supporto ai leader in questo difficile compito deve tornare ad essere percepita come una responsabilità centrale dell’HR.

Qualcuno potrebbe pensare che non c’è niente di nuovo in questo ambito, vero, la novità consiste nel fatto che le dimensioni tratteggiate nei punti precedenti, seppur note, sono da sempre poco applicate in sanità, pur risultando oggi ancora più determinanti, perché oltre che riguardare i professionisti, sono vicine a quanto sia aspettano le nuove generazioni (Y e Z) che a breve saranno maggioritarie nel mondo del lavoro e perché l’attuale contesto VUCA, in cui tutte le organizzazioni operano, le rende determinanti per raggiungere i risultati di qualità e sostenibilità dell’organizzazione.  La via per avere professioni motivati non è né semplice né immediata, non ci sono scorciatoie:

  • in primo luogo serve smetterla di provare a motivare le persone con quello che al massimo genera soddisfazione (sarebbe la prima novità);
  • in secondo luogo è necessario investire tempo e risorse per costruire una comunità che favorisca la cooperazione collettiva delle autonomie individuali, collegando e ingaggiando pazientemente le diverse componenti professionali, nella costruzione di un sistema organizzativo integrato, capace di erogare cura e di prendersi cura dei suoi pazienti e dei suoi collaboratori (sarebbe la seconda e dirompente novità).

Ultima modifica il 31/05/2021

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