A cura dell'Avv. G. Cattani e dell'Avv. P. M. Paolucci

:: (estratto dal libro: "L'Esportazione di Beni Dual Use: Manuale Teorico Pratico" - Maggioli Editore in collaborazione con MELIUSform) ::

L’importanza della valutazione interna sugli aspetti tecnici e giuridici delle operazioni di esportazione
Vi sono alcune attività di valutazione che sono fondamentali, nella pratica, per assicurare che un processo di esportazione sia compiuto da un’azienda nel pieno rispetto della normativa dettata dal Regolamento e che sono strumentali alla fase di eventuale autorizzazione dell’esportazione, ove necessaria. Tali attività interessano diversi uffici di un’azienda o diverse figure all’interno dell’azienda. Per questo, se l’azienda non ha un compliance officer, è necessario individuare un soggetto che faccia da coordinamento tra l’area commerciale, la funzione legale e i tecnici che sono in grado di valutare merceologicamente i beni aziendali (ingegneri o periti di varia natura a seconda dei beni in questione). Si elencano di seguito le principali attività che è importante porre in essere per valutare la fattibilità di una esportazione e le eventuali procedure da adottare e seguire.

Rilevazione dei rischi e valutazione soggettiva e oggettiva dell’esportazione
L’esportatore deve aver cura di valutare non solo i rischi commerciali connessi alla solvibilità del cliente straniero, ma anche quelli collegati a eventuali attività proliferanti in campo chimico, biologico, radiologico, nucleare, strategico, terroristico, nelle quali questo potrebbe essere coinvolto.
È certo, infatti, che le Autorità nazionali deputate al controllo effettueranno questo tipo di analisi dei rischi e, pertanto, l’esportatore deve anticipare tale opera e gli esiti della stessa sia per non incorrere in sanzioni sia per velocizzare quanto più possibile le procedure di controllo. E’ evidente, infatti, che, nel caso in cui la domanda di esportazione sia corredata da un dossier o elementi da cui si evinca che tale valutazione è stata compiuta, l’opera di verifica delle competenti autorità sarà facilitata. Pertanto, l’esportatore dovrà valutare, dal punto di vista del rischio, il soggetto destinatario delle merci da esportare (valutazione soggettiva). Si dovrà verificare, ad esempio, se il soggetto è inserito in alcune delle liste sanzionatorie di società o individui a cui è vietato mettere a disposizione beni o utilità economiche di alcun genere o se i soggetti che lo controllano sono inseriti in tali liste. Vedremo più in dettaglio nel prosieguo del presente lavoro come, nei confronti di alcuni Paesi, esistano restrizioni ulteriori alle esportazioni, che si innestano sul sostrato della normativa dettata dal Regolamento e che con la stessa devono coordinarsi5 . E’, pertanto, sempre necessario compiere un’opera di verifica del soggetto destinatario intermedio o finale dei beni, affinché possa escludersi un suo coinvolgimento in possibili attività di proliferazione.
Una volta compiuta la valutazione di rischio del soggetto che riceverà le merci, è necessario che sia operata la valutazione delle merci oggetto di esportazione. Dovranno, pertanto, essere esaminate le proprietà tecniche e le indicazioni giuridiche che si ricavano al riguardo dal Regolamento, in modo da poter stabilire se le merci siano di libera esportazione o se richiedano una preventiva autorizzazione. Si tratta di una valutazione tecnico-giuridica che l’esportatore può compiere internamente, se sufficientemente attrezzato, o in cui si può far assistere da terzi competenti, che possono supportarlo e provvedere a compiere l’analisi richiesta. La mancanza di tale attività preliminare può comportare la violazione di norme, sanzionate anche penalmente, con possibile responsabilità del management e danni economici per l’azienda. La violazione di tali norme può avere rilievo anche in relazione alle disposizioni di cui al Decreto Legislativo 231 dell’8 giugno 2001, e successive modificazioni, potendo alcune fattispecie costituire reati presupposti e, in quanto tali, integrare la responsabilità amministrativa dell’ente esportatore.
Come detto, ai sensi dell’articolo 3 del Regolamento, alcuni beni elencati in Allegato al Regolamento stesso possono essere esportati solo previa autorizzazione dell’autorità competente dello Stato membro in cui l’esportatore è stabilito (per l’Italia, il Ministero dello sviluppo economico).
È evidente, quindi, come debba essere verificata l’eventuale appartenenza dei prodotti della fornitura ad una delle categorie descritte in tali allegati. In questo si sostanzia principalmente la complessa verifica oggettiva da compiersi. Va sottolineato, peraltro, che anche prodotti non riportati in Allegato al Regolamento possono essere sottoposti ad autorizzazione preventiva, qualora ricorra una delle seguenti condizioni, previste dall’articolo 4 (cosiddetta clausola catch all):

a) l’esportatore sia stato informato dalle competenti autorità dello Stato membro in cui è stabilito, ovvero abbia motivo di sospettare, che detti prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, ad un’utilizzazione collegata allo sviluppo, alla produzione, alla movimentazione, al funzionamento, alla manutenzione, alla conservazione, all’individuazione, all’identificazione o alla disseminazione di armi chimiche, biologiche o nucleari o di altri congegni esplosivi nucleari oppure allo sviluppo, alla produzione, alla manutenzione o alla conservazione di missili che possano essere utilizzati come vettori di tali armi;

b) il paese acquirente o il paese di destinazione siano soggetti ad un embargo sugli armamenti imposto da una decisione o una posizione comune adottata dal Consiglio o con una decisione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) o ad un embargo sugli armamenti imposto da una risoluzione vincolante del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e qualora l’esportatore sia stato informato dalle autorità di cui al paragrafo 1 che detti prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, a scopi militari6;

c) l’esportatore sia stato informato dalle autorità di cui al paragrafo 1 che detti prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, ad essere utilizzati come parti o componenti di prodotti militari figuranti nell’elenco dei materiali di armamento nazionale che sono stati esportati dal territorio dello Stato membro in questione senza autorizzazione o in violazione dell’autorizzazione prevista dalla legislazione nazionale dello stesso Stato membro.

Per questa ragione, anche nel caso di esportazioni non vietate dal Regolamento o da altre disposizioni normative esaminate ai fini del presente lavoro, si ritiene importante che, come parte delle proprie procedure di compliance, l’esportatore si premuri di informare sempre le competenti autorità dell’intenzione di dar corso all’operazione di esportazione, anche se ritenuta libera, al fine di consentire, comunque, la valutazione da parte delle competenti Autorità, ai fini dell’applicazione di una catch all.
L’articolo 8 del Regolamento, inoltre, consente agli Stati membri di vietare l’esportazione di prodotti a duplice uso non elencati nell’Allegato I o di imporre per gli stessi un requisito di autorizzazione, per motivi di sicurezza pubblica o di rispetto dei diritti dell’uomo. Infine, deve essere affrontato, come accennato, il tema del controllo geografico dell’area di destinazione. Anche questo elemento è da considerarsi molto attentamente nell’esercizio di analisi del rischio. Ci sono Paesi del mondo in cui il rischio di proliferazione è, infatti, maggiormente rilevante e che, quindi, devono essere assoggettati ad un’opera di controllo maggiore. In molte di queste aree sono poi in vigore restrizioni commerciali con normative di settore più stringenti, che devono essere tenute in considerazione e che limitano moltissime delle attività normalmente correlate ad una transazione commerciale, a partire dalla disciplina dei flussi finanziari, per terminare con quella che regola l’assicurazione delle merci oggetto di esportazione.
È, pertanto, essenziale che la valutazione di rischio di una esportazione prenda anche in considerazione l’area geografica di destinazione delle merci e le criticità ad essa collegate. E’ di tutta evidenza come controlli geografici e soggettivi si intersechino poiché le restrizioni geografiche ai commerci, per come sono strutturate, impongono anche limitazioni soggettive. Oggi esistono restrizioni commerciali in moltissimi Paesi. Tali restrizioni seguono schemi piuttosto standardizzati e consolidati. Si esamini l’esempio più recente. Nel corso dell’anno 2014 l’Unione Europea ha adottato alcuni testi normativi che introducono misure restrittive nelle transazioni commerciali con la Federazione Russa in considerazione della situazione in Ucraina, sottoponendo a congelamento i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati da determinate persone fisiche o giuridiche, entità e organismi, elencate negli allegati a tali testi, e vietando inoltre la messa a disposizione, diretta o indiretta, di fondi e risorse economiche a tali soggetti. Si tratta, in particolare, dei seguenti atti legislativi comunitari (nel prosieguo, per brevità, collettivamente definiti come “Normativa di Congelamento”):

  • Regolamento (UE) n. 208/2014 del Consiglio del 5 marzo 2014, e s.m.i., concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina;
  • Regolamento (UE) n. 269/2014 del Consiglio del 17 marzo 2014, e s.m.i., concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina7.

La Normativa di Congelamento prevede, altresì, il divieto di partecipare, consapevolmente e deliberatamente, ad attività aventi l’obiettivo o il risultato di eludere le misure di congelamento e divieto di messa a disposizione ivi previste.
La giurisprudenza dell’Unione ha qualificato in diversi casi come “risorse economiche” beni immobili o mobili che possano procurare al soggetto listato, per il solo fatto di averne acquisito il pieno potere di disposizione, fondi, beni o servizi. La medesima giurisprudenza ha poi interpretato in maniera estensiva anche il concetto di messa a disposizione, che ricomprenderebbe ogni atto il cui compimento sia necessario, in forza del diritto nazionale applicabile, per consentire a una persona di ottenere il potere di disporre del bene, di cui trattasi8.
Pertanto, nella verifica geografica che riguarda i commerci con il territorio della Federazione Russa, nel caso in cui una azienda intenda commerciare determinati prodotti in tale Paese ed abbia escluso, da una verifica oggettiva, che i beni oggetto di esportazione siano soggetti a restrizioni di sorta, dovrà essere condotta una due diligence sui soggetti destinatari delle merci e su chi li controlla, per evitare che gli stessi siano inseriti nelle liste di cui alla Normativa di Congelamento. Qualora una o più dei destinatari delle merci fossero inseriti negli allegati alla Normativa di Congelamento, quindi, alla luce della succitata giurisprudenza dell’Unione, le attività oggetto dei contratti sottoscritti dovrebbero essere considerate quale “messa a disposizione” di “risorse economiche” e sarebbero soggette a divieto assoluto. Si noti, al riguardo, che tali liste sono periodicamente aggiornate e non può quindi essere escluso a priori che, anche in caso di contratti con soggetti non listati al momento della stipula, possa essere disposto, in corso di esecuzione di commessa, l’inserimento in dette liste. E’ importante, pertanto, che gli esportatori aggiornino costantemente la loro due diligence soggettiva, per verificare tale dato anche in corso di esecuzione di commessa e che tale verifica prenda, altresì, in considerazione i soggetti controllati o controllanti la parte con cui si contratta o l’utilizzatore finale delle merci in questione9.
 

Rilevazione dei divieti per impedire il compimento di transazioni illegali
Il passo successivo alla rilevazione dei rischi, a cui tale attività è propedeutica, è la individuazione dei precetti che vietano determinate azioni e che, ove osservati, consentono di evitare il compimento di transazioni illegali.
Una volta compiuto lo screening oggettivo, soggettivo o geografico dell’esportazione in questione, se l’ufficio compliance individua l’esistenza di un determinato divieto o restrizione sulle esportazioni e importazioni di determinate categorie di beni, anche duali (compresa l’assistenza tecnica sui medesimi), sui trasporti, su servizi finanziari ed assicurativi e su ogni altro genere di servizi attuabili, deve porsi il problema di interpretare la tipologia di divieto in questione, e dunque, se si tratti di divieto assoluto o restrizione relativa. In caso di restrizioni, alcuni tipi di operazioni (es. esportazione di determinati beni) possono essere autorizzate dalle Autorità designate di uno Stato membro, al verificarsi di determinate condizioni previste dal Regolamento. In caso di divieto, invece, l’operazione non può essere effettuata. Per quanto riguarda le limitazioni oggettive, ovvero quelle che concernono l’oggetto dell’esportazione, il Regolamento contiene alcuni allegati, ove sono riportate liste di beni e/o tipi di servizio che possono essere autorizzati a certe condizioni o che sono vietati in esportazione.
Per quanto concerne, invece, le limitazioni soggettive, ovvero quelle che attengono al soggetto destinatario e/o utilizzatore finale delle merci, in caso di individui, enti, società ed organizzazioni specificamente individuati nella normativa di settore, la limitazione all’esportazione è assoluta e ci si trova di fronte a divieti non superabili. Pertanto, non sarà possibile esportare alcun tipo di merce verso tali entità né fornire loro alcun altro tipo di risorsa economica (es. servizi) o inviare fondi. Per le verifiche geografiche, come detto, l’elenco completo e aggiornato nel tempo dei paesi colpiti da tali provvedimenti è consultabile al seguente indirizzo web: http://eeas.europa.eu/cfsp/sanctions/docs/measures_en.pdf e consente un primo screening delle restrizioni geografiche in essere a cui gli operatori europei devono conformarsi.


[5] L’UE ha imposto ed impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinati Paesi, quali ad esempio: AFGHANISTAN,  BIELORUSSIA, CINA, REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, COSTA D’AVORIO, ERITREA, REPUBBLICA DI GUINEA (CONAKRY), GUINEA-BISSAU, IRAN, IRAQ, REPUBBLICA POPOLARE DEMOCRATICA DI COREA (COREA DEL NORD), LIBANO, LIBERIA, LIBIA, MYANMAR (BIRMANIA), SERBIA E MONTENEGRO, SOMALIA, SUDAN DEL SUD, SUDAN, SIRIA, ZIMBABWE. L’elenco completo e aggiornato nel tempo dei paesi colpiti da tali provvedimenti è consultabile al seguente indirizzo web:  http://eeas.europa.eu/cfsp/sanctions/docs/measures_en.pdf.

[6] Ai sensi del secondo comma dell’art. 4, per «scopi militari» si intende:
a) l’inserimento in prodotti militari figuranti nell’elenco dei materiali di armamento degli Stati membri;
b) l’utilizzazione di apparecchiature di produzione, controllo o analisi e loro componenti ai fini dello sviluppo, della produzione o della manutenzione dei prodotti militari figuranti nell’elenco summenzionato;
c) l’utilizzazione di eventuali prodotti non finiti in un impianto per la produzione di prodotti militari figuranti nell’elenco summenzionato.

[7] Tali Regolamenti sono stati seguiti da numerosi altri regolamenti di esecuzione, che hanno aggiunto ulteriori nominativi di persone ed enti alla lista dell’allegato in questione. Essi sono rispettivamente: Reg. UE n. 283/2014 del 21 marzo 2014; Reg. UE n. 381/2014 del 14 aprile 2014; Reg. UE n. 433/2014 del 28 aprile 2014; Reg. UE n. 476/2014 del 12 maggio 2014; Reg. UE n. 477/2014 del 12 maggio 2014; Reg. UE n. 810/2014 del 25 luglio 2014; Reg. UE n. 826/2014 del 30 luglio 2014; Reg. UE n. 961/2014 dell’8 settembre 2014.
Il predetto Reg. UE n. 269/2014 è stato, altresì modificato dal successivo Reg. UE n. 811/2014 del Consiglio del 25 luglio 2014 e dal Reg. UE n. 959/2014 del Consiglio dell’8 settembre 2014.
Nell’emanare una legislazione restrittiva dell’UE nei confronti della Russia, relativamente alla crisi con l’Ucraina, l’Unione ha emanato due Decisioni PESC, che sono rispettivamente la Decisione 2014/119/PESC del Consiglio del 5 marzo 2014, relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina e la Decisione 2014/145/PESC del Consiglio del 17 marzo 2014, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina. Tali Decisioni sono state seguite da alcune altre, funzionali alla loro applicazione o di modifica, che sono le seguenti, in ordine cronologico e relativamente alle due sopra menzionate: Decisione 2014/151/PESC del Consiglio del 21 marzo 2014, che attua la Decisione 2014/145/PESC e che è stata seguita dalla Decisione 2014/238/PESC del 28 aprile 2014; Decisione 2014/265/PESC del 12 maggio 2014,che modifica la Decisione 2014/145/PESC; Decisione 2014/499/PESC del 25 luglio 2014, che modifica la Decisione 2014/145/PESC; Decisione 2014/658/PESC dell’8 settembre 2014, che modifica la Decisione 2014/145/PESC; Decisione 2014/216/PESC del Consiglio del 14 aprile 2014, che attua la Decisione 2014/119/PESC.  Tutte queste Decisioni contengono anch’esse, inter alia, liste di persone ed entità, i cui beni e risorse economiche sono congelati e ai quali non è possibile fornire né merci né fondi né risorse di alcun tipo. Alcuni di tali soggetti sono russi, altri sono ucraini, appartenenti al deposto regime politico del Presidente Viktor Yanukovic.  Collegate alle Decisioni e Regolamenti restrittivi dell’UE nei confronti della Russia, vi è un regolamento specificamente inerente la Crimea - il cui territorio appartiene ancora  ufficialmente all’Ucraina e, concupito dal Cremlino soprattutto per il porto di Sebastopoli, che si affaccia sul Mar Nero, ha scatenato la crisi tra Mosca e Kiev. Si tratta del Reg. UE n. 692/2014 del Consiglio del 23 giugno 2014, concernente restrizioni sulle importazioni nell’Unione di merci originarie della Crimea o Sebastopoli, in risposta all’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli. Tale Regolamento è stato successivamente modificato dal Reg. UE n. 692/2014 del 30 luglio 2014.

[8] Si vedano, tra le altre, le seguenti sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: 21 dicembre 2011, causa C-72/11, Mohsen Afrasiabi e altri; 29 giugno 2010, causa C-550/99, E e F; 11 ottobre 2007, causa C-117/06, Möllendorf e Möllendorf - Niehuus.

[9] Al riguardo è importante che tali verifiche siano sempre operate alla luce degli “Orientamenti sull’attuazione e la valutazione delle misure restrittive (sanzioni) nel contesto della politica estera e di sicurezza comune dell’UE”, forniti dal Consiglio dell’Unione Europea in data 30 aprile 2013.


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