È possibile pagare il prezzo di un immobile in criptovalute? È possibile conferire criptovalute in società? Gli operatori chiamati a vagliare le relative operazioni tendono a dare risposte diverse.  

A cura dell’ Avv. Laura Gastaldi, partecipante dell'Executive Master in Avvocato d'Affari 


Le criptovalute sono valute virtuali di pagamento, che sembrano riconducibili ad una categoria del genere valute virtuali, distinta da quella di investimento e di utilizzo, come riportato dall’European Banking Autority  nel “Report with advice for the European Commission on crypto-assets” del 09 gennaio 2019 (https://www.eba.europa.eu/eba-reports-on-crypto-assets) che ha appunto precisato “At present there is no common taxonomy of crypto-assets in use by international standard-setting bodies. However, generally speaking, a basic taxonomy of crypto-assets comprises three main categories of crypto-asset: Payment/exchange/currency tokens - Investment tokens - Utility tokens”.

Le criptovalute sono state definite come:

rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata ad una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente" (direttiva Europea 30 maggio 2018, n. 843).

L’associazione delle criptovalute alle monete, esclusa secondo le teorie statalista ed economica della moneta, trova invero conforto nella diversa teoria sociale che riconduce la moneta appunto ad un fenomeno della comunità civile, legittimata a adottare un mezzo comune di scambio, lasciando allo Stato il compito di imporre sul medesimo il corso forzoso; delle varie teorie sul concetto di moneta dà ampio conto Mario Passeretta in “Le valute virtuali in una prospettiva di diritto privato: tra strumenti di pagamento, forme alternative di investimento e titoli improrpri” in “Criptoattività, criptovalute e bitcoin”, edito da Giuffrè Francis Lefebvre, il quale rileva che “affermare che moneta può essere solo quella che è battuta dallo Stato è, dunque, niente più che l’adesione ad una tesi”.

Le criptovalute, di fatto, sono accettate ed utilizzate come mezzo di scambio, su base volontaria e secondo regole di emissione e controllo a cui i membri della comunità di riferimento accettano di aderire, pertanto possono esser considerate monete, come sono in effetti generalmente percepite.

In una tale concezione, si può ipotizzare l’applicabilità alle criptovalute delle disposizioni di cui agli artt. 1278 e 1279 del Codice civile, relative alle monete non aventi corso legale (siccome espressamente non identificate con le sole monete legali estere) e delle disposizioni di cui agli artt. 1470 e ss. del Codice civile sulla compravendita, di talché le criptovalute costituirebbero il prezzo pagato in moneta non avente corso legale.

Il prezzo è legato ai concetti di debito di valuta e di corso del cambio e, così, al concetto di valore ufficiale delle monete che, per quelle aventi corso legale coincide con il cambio medio delle borse nazionali.

Le criptovalute hanno quasi sempre un valore (non ufficiale ma applicato) nei cosiddetti Exchange, piattaforme internet attraverso le quali è possibile scambiare le valute virtuali e, comunque, non sembra negabile la possibilità per le parti di fissare pattiziamente il corso di cambio di una criptovaluta.

In una compravendita, quindi, il cui prezzo sia determinato in criptovaluta, le parti dovranno fissare pattiziamente un rapporto di cambio tra la criptovaluta e la valuta nazionale, oppure indicare la piattaforma di Exchange cui fare riferimento. E ciò anche nell’ipotesi in cui si voglia escludere la facoltà di cambio prevista dall’art. 1278 del Codice civile, in quanto a norma del successivo art. 1279 sarà necessario comunque prevedere il caso in cui non sia più possibile procurarsi la criptovaluta prescelta.

L’indicazione è presa dagli Atti del Convegno tenutosi a Verona il 2 marzo 2018 sul deposito del prezzo precisamente dall’intervento del Notaio Nicola Manente titolato “Deposito del prezzo e criptovalute. Come entrano i bitcoin nel conto dedicato?” (https://biblioteca.fondazionenotariato.it), che, con riguardo al tema del deposito del prezzo nel conto dedicato, ipotizza che il notaio riceva in un proprio portafoglio appositamente aperto la somma in criptovaluta, provvedendo a convertirla immediatamente in valuta legale, tramite un Exchange e ad a bonificare la somma nel proprio conto dedicato, oppure, nel caso opposto, che il notaio riceva e versi sul conto dedicato la somma in valuta legale, per poi convertirla in criptovaluta da trasferire al venditore.

Nel caso di compravendita con pagamento del prezzo in criptovaluta e clausola “effettivo” viene pensata l’apertura di un portafoglio da parte del notaio, nel quale l’acquirente trasferirà la criptovaluta e da cui, al termine delle formalità di legge, la criptovaluta verrà trasferita nel portafoglio indicato dal venditore; viene segnalata la necessità di comunicazione del conto transitorio aperto e di consegna in busta chiusa delle credenziali e delle chiavi di accesso a detto conto transitorio al Consiglio notarile distrettuale, per evitare  mancando il notaio i fondi divengano irrecuperabili.

La prassi negoziale sulle criptovalute è, quindi, in fermento creativo con le dovute attenzioni che mirano ad utilizzi legittimi delle criptovalute stesse.

Il conferimento di criptovalute nelle società ha stimolato detto fermento ed ha fornito anche occasione per due pronunce giudiziali che “al netto dell’esito concreto” sono utili per focalizzare gli aspetti da tener in debita considerazione quando ci si accinge a compiere operazioni di siffatta natura.

Si tratta del decreto del Tribunale di Brescia n. 7556 del 18 luglio 2018 e del decreto pronunciato sul relativo reclamo dalla Corte d’Appello di Brescia (reperibili su web fra i molti https://www.federnotizie.it/), decisioni che rigettando i ricorsi della società, hanno confermato l’orientamento assunto dal notaio di non iscrivere nel Registro delle Imprese la delibera societaria di aumento del capitale a pagamento, con parte del conferimento eseguito mediante una criptovaluta.

Il Tribunale di Brescia ha evidenziato che:

non è in discussione l’idoneità della categoria dei beni rappresentata dalle c.d. “criptovalute” a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l., bensì se il bene concretamente conferito nel caso di specie (la valuta virtuale denominata OneCoin) soddisfi il requisito di cui all’art. 2464, comma secondo, c.c.” che recita “possono essere conferiti tutti gli elementi dell'attivo suscettibili di valutazione economica”.

Per affrontare la questione, il Giudice ha considerato la funzione storica primaria del capitale sociale, in chiave di garanzia nei confronti dei creditori ed ha elencato i requisiti fondamentali dei beni adatti al conferimento, ossia: “- l’idoneità a essere oggetto di valutazione, in un dato momento storico … - l’esistenza di un mercato del bene … - l’idoneità del bene ad essere bersaglio dell’aggressione da parte dei creditori”.

Detti requisiti sono stati esclusi dal Tribunale con riguardo alla specifica criptovaluta del caso trattato e dalla Corte d’Appello con riguardo in astratto a tutte le criptovalute.

Di fatto, però, si registrano conferimenti in sede di costituzione di s.r.l. e di aumento di capitale sociale, oltre che la disponibilità delle professioni a dar seguito a queste operazioni valutando e dimostrando l’idoneità delle criptovalute sotto i profili descritti in relazione alla funzione storica del capitale sociale.

Già nel 2015 era stata costituita la prima società a responsabilità limitata unipersonale con conferimento di capitale sociale in bitcoin, fatto oggetto di perizia di stima dal Dottor commercialista Stefano Capaccioli (https://www.coinlex.it).

Più di recente, il Notaio Remo Maria Morone di Torino ha dichiarato:

ho notarizzato l’aumento di capitale come sottoscritto in natura, come se fossero stati conferiti dei beni quali mattoni o barre di acciaio. Perché questo fosse legittimo ho però richiesto una perizia del valore dei Bitcoin, di fatto il valore al quale i principali exchange quotavano il Bitcoin in quel periodo, e, in ogni caso, le parti hanno fatto in modo che questi fossero resi pignorabili, cioè aggredibili da un tribunale in caso di fallimento, proprio come i prodotti in un magazzino di una azienda” (https://forbes.it).

Merita, così, un cenno l’aspetto della idoneità delle criptovalute ad esser bersaglio dell’aggressione da parte dei creditori e cioè oggetto di esecuzione forzata.

Le criptovalute sono conservate nei cosiddetti wallet e si è ipotizzato di sottoporle a pignoramento mobiliare presso il debitore o presso terzi a seconda che si trovino in hardware o software wallet, oppure in wallet detenuti tramite intermediario. È comunque necessario, nel primo caso, che le caratteristiche del wallet consentano di ricondurlo univocamente al soggetto esecutato e, nel secondo caso, che il gestore della piattaforma sia in grado di identificarne il titolare.

Il vero problema è la reperibilità della criptovaluta che è un compendio immateriale la cui esistenza nel mondo reale è ancorata a due stringhe di codici alfanumerici; pertanto, rimane difficile risalire al possessore in assenza di collaborazione dello stesso o del terzo; ciò viene chiaramente evidenziato da Maria Giulia Canella in “Esecuzione forzata su criptovaluta: qualche idea nessuna certezza” in “Criptoattività, criptovalute e bitcoin” cit., che evidenzia come sia più semplice il caso in cui il creditore sia certo della detenzione di criptovaluta da parte del debitore, presupposto che nelle operazioni di conferimento di criptovalute in società è soddisfatto dall’atto pubblico.

Alle domande iniziali si può, pertanto, rispondere positivamente tenendo presente che è necessario strutturare l’operazione almeno ancorando il valore delle criptovalute e garantendone la realizzabilità.

Ultima modifica il 10/02/2022