A cura dell'Avv. S. Mecca, Docente in area Fiscale

compensi corrisposti agli amministratori non sono deducibili se non previamente deliberati, atteso che la specifica delibera assembleare costituisce la fonte dell'obbligazione patrimoniale. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 7329 del 16 marzo 2021, la quale conferma un orientamento che - seppur rigoroso - è ormai piuttosto pacifico nella giurisprudenza di legittimità.

La questione

Accade spesso che, con appositi atti di imposizione, l’Agenzia contesti la non deducibilità dei compensi che la società eroga agli amministratori in carenza di apposita delibera assembleare. In sostanza, secondo l’Amministrazione finanziaria la delibera di approvazione dei compensi agli amministratori costituirebbe la conditio sine qua non per la deduzione degli stessi. A sostegno di tale tesi, l’Ufficio richiama il disposto normativo  contenuto nell’art. 2389 del Codice Civile. In particolare, infatti, tale disposizione prevede che i compensi spettanti ai membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo vengano stabiliti all'atto della nomina o dall'assemblea. Questi possono essere costituiti, totalmente o parzialmente, da partecipazioni agli utili o dall’attribuzione del diritto di sottoscrivere a prezzo predeterminato azioni di futura emissione.

La remunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche in conformità dello statuto viene stabilita dal consiglio di amministrazione, dopo aver sentito il parere del collegio sindacale. Se previsto dallo statuto, l'assemblea può determinare un importo complessivo per la remunerazione di tutti gli amministratori, inclusi quelli investiti di particolari cariche. L’Amministrazione finanziaria, dunque, contesta la corretta deduzione dei compensi corrisposti agli amministratori solo perché una norma civilistica sancisce che l’attribuzione e la determinazione dei compensi da corrispondere agli amministratori di società deve essere contenuta in apposita deliberazione adottata da parte dell’assemblea dei soci e non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio.

A ben vedere, i principi suddetti mal si adattano al settore tributario, ove il presupposto per la deducibilità di un costo – quale quello relativo ai compensi erogati agli amministratori – non è rappresentato dalla preventiva delibera assembleare, ma dal rispetto delle condizioni previste dall’art. 109 del TUIR (Dpr n. 917/86), quali:

  • la “certezza e/o determinabilità” dell’onere da dedurre ossia vale a dire che deve essere certa l’esistenza e determinabile in modo obiettivo l’ammontare (art. 109, comma 1 del Tuir);
  • l’inerenza del costo all’attività esercitata in quanto le “spese…sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi od altri proventi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi” (art. 109, comma 5, cpv. del Tuir);
  • l’imputazione del costo al conto economico dell’attività d’impresa esercitata, in osservanza del principio di competenza in quanto “le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico relativo all’esercizio di competenza” (art. 109, comma 4 del Tuir). Pertanto, verosimilmente, dovrebbe risultare evidente la piena deducibilità dei compensi erogati ad amministratori di società, in base ai tre presupposti appena illustrati.

​La giurisprudenza favorevole al contribuente

Sul punto, si è avuto nel tempo un contrasto giurisprudenziale. A sostegno della deducibilità dei compensi agli amministratori vi sono state alcune pronunce giurisprudenziali di legittimità e di merito. In particolare, sulla tesi secondo cui la deducibilità ai fini fiscali di un costo – quale quello dei compensi erogati agli amministratori - è subordinata solo ai requisiti dell’art. 109 del Tuir, si è pronunciata la stessa Corte di Cassazione (Cass. n. 23872/07), oltre a varie sentenze di merito (si veda ad esempio CTR Milano nr. 36 del 31 marzo 2006, CTR Firenze nr. 170 del 25 novembre 2008, CTP Torino nr. 96 del 23 giugno 2011, CTP Milano nr. 48/21/12 del 2/3/2012). 

La giurisprudenza contraria 

In realtà, con la sentenza n. 17673 depositata il 19 luglio 2013, la Corte di Cassazione ha iniziato ad affermare il principio per cui i compensi erogati agli amministratori della società non sono deducibili se non sono previsti da una delibera assembleare. A nulla rileva che l’assemblea abbia comunque approvato i bilanci nei quali erano contabilizzati tali compensi e che, per effetto della tassazione subita dall’amministratore, non sia stato cagionato alcun danno all’erario. La Cassazione fonda la propria decisione sulla pronuncia a Sezioni Unite n. 21933/2008, ove la sezione civile della Suprema Corte aveva sancito la necessità di una specifica delibera assembleare, in assenza della quale il diritto al compenso non può ritenersi presente. A ben vedere, però, la pronuncia richiamata riguarda prettamente l’ambito civilistico. Dopo la sentenza n. 17673 del 2013, la Cassazione si è pronunciata nuovamente sulla questione con la sentenza n. 20265 depositata il 4 settembre 2013 ed ha ribadito la mancanza di deducibilità dei compensi erogati agli amministratori di società in assenza di delibera assembleare. Tale principio sembra ormai pacifico, tant’è che è stato confermato anche nella recente pronuncia n. 7329/21.

In particolare, i Supremi giudici hanno stabilito che ai fini della deducibilità dei compensi degli amministratori, non basta il pagamento dell’emolumento, ma occorre una specifica delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio. La necessità della preventiva delibera assembleare è funzionale alla certezza del costo. Peraltro, l’adesione alla richiamata impostazione non conduce alla violazione del divieto di doppia imposizione previsto dal DPR n. 600/73, articolo 67. Infatti, tale previsione postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto, condizione che non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, quale quella che si realizza, in caso di partecipazione al capitale di una società commerciale, con la tassazione del reddito sia ai fini dell'IRES, quale utile della società, sia ai fini dell’IRPEF, quale provento dei soci, attesa la diversità non solo dei soggetti passivi, ma anche dei requisiti posti a base delle due diverse imposizioni. 

Conclusioni 

L'orientamento dei giudici di legittimità non sembra tener conto della circostanza che, in ambito tributario, il presupposto per la deducibilità di un costo – quale quello relativo ai compensi erogati agli amministratori – non è rappresentato dalla preventiva delibera assembleare, ma dal rispetto delle condizioni previste dall’articolo 109 del Tuir, quali - come detto - la «certezza e/o determinabilità» del costo da dedurre, l’inerenza all’attività esercitata, nonché l’imputazione al conto economico dell’attività d'impresa esercitata, in osservanza del principio di competenza. Pertanto, il pieno rispetto di tali presupposti dovrebbe legittimare la piena deducibilità fiscale dei compensi corrisposti agli amministratori. Tuttavia, alla luce dell’ormai consolidato orientamento della Cassazione, le società devono porre la massima attenzione per evitare le contestazioni dal Fisco con l’adozione di delibere che stabiliscano l’importo dei compensi spettanti agli amministratori e le eventuali modifiche, salvo che non sia già stato fissato nello statuto societario. E’ dunque opportuno mantenere alta l’attenzione sulla corretta verbalizzazione della delibera di nomina degli amministratori e di definizione dei relativi compensi.

Questi ed altri temi sono affrontati nel Master in Diritto Tributario e Contenzioso.

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