A cura del Dott. Astolfi e del Dott. Cruciano, docenti in area Finanza

Il 20 ottobre scorso il CNDCEC ha pubblicato un documento con cui ha dato seguito alla delega contenuta nell’art. 13 del decreto legislativo 14/2019, e con il quale ha individuato gli indicatori precoci di crisi. Il documento è ben fatto e insiste sulla scelta di un approccio basato sul rigore scientifico che mettesse al riparo il gruppo di lavoro da mediazioni e interferenze politiche e/o di categoria; in effetti la prima parte del documento illustra gli aspetti metodologici (analisi multivariata) e descrive il campione di riferimento (molto vasto) dei bilanci sottoposti ai test, al fine di individuare i sette rapporti di valore e le rispettive soglie di congruità che limitassero al minimo il rischio dei falsi positivi; gli indicatori individuati sono per lo più di natura consuntiva, con l’eccezione del D.S.C.R. che, invece, “interiorizza l’ottica forwardlooking”. Il lavoro è così scrupoloso che arriva ad individuare persino le situazioni al limite della computabilità, dando istruzioni precise per gestire le “divisioni per zero”. Per un po’ si è diffuso il panico fra gli stakeholders (aziende e consulenti in primis) in quanto gli indici in sé sono percepiti come fiato sul collo, e le procedure per calcolarli come un aggravio di costi e fatica. In realtà, come sempre avviene in occasione di novità del genere, si è capito che basta un minimo di organizzazione ed una piccola virata culturale. Tuttavia ci è venuta in mente una similitudine, e siamo certi che il CNDCEC ci perdonerà se in questo “pezzo” la esprimiamo con delle osservazioni a metà strada fra il serio e il faceto, assolutamente non irriverenti e intenzionalmente costruttive.

Nella mitologia greca la figura di Cassandra è considerata portatrice di sventure, nata con lo sfortunato dono degli Dei della preveggenza e detestata dal popolo; ebbene in questa circostanza il CNDCEC è una Cassandra dei tempi nostri: assegnataria di un “dono” (individuare i segnali) da parte di un Dio (il Legislatore), costretta a disseminare divinazione (forward looking) di eventuali catastrofi (crisi d’impresa) e invisa da tutti (aziende e consulenti). In effetti gli indici scelti sono, in un certo senso, i soli Arcani negativi del mazzo, in quanto tengono conto per nulla o solo marginalmente degli aspetti virtuosi della gestione aziendale come la redditività, la variazione nel tempo dei rapporti di valore e soprattutto le fasi di investimento, dando invece grande prevalenza agli aspetti più infausti; vediamo nel dettaglio:

  • Patrimonio netto non negativo e non inferiore al limite legale.

Nulla quaestio, chiunque abbia la sventura di un PN negativo  è certamente in crisi, e probabilmente è già nella fase dell’accettazione del lutto, avendo infruttuosamente superato le fasi del rifiuto, della rabbia e del patteggiamento.

  • DSCR >=1.

Tecnicamente ineccepibile, in quanto se l’avanzo monetario operativo futuro non supera le uscite finanziarie l’azienda lavora solo per pagare e remunerare i debiti: l’elettroencefalogramma piatto è vicino. L’unico grande limite è che si tratta di un indice prospettico e, se non serve scienza per calcolare il denominatore (le uscite finanziarie), serve certamente molto più della coscienza per “indovinare” il numeratore essendo questo assoggettato alla puntualità di pagamento dei clienti. Ma c’era proprio bisogno di chiamarlo DSCR? Non sta creando troppa confusione nella determinazione di calcolo, diversa dal DSCR noto come “indice di bancabilità”?

  • Indice di sostenibilità degli oneri finanziari: Oneri finanziari / Ricavi <= Soglia.

Certamente quando l’azienda paga troppi interessi in rapporto ai ricavi c’è qualcosa che non va… A meno che la stessa azienda non stia investendo e solo per questo si è dotata di debito “buono”. In questo indice i Ricavi fungono solo da freno per non superare la soglia, e non si tiene in debito conto che quando l’azienda investe i dolori (gli interessi) arrivano sempre prima delle gioie.

  • Indice di adeguatezza patrimoniale: Patrimonio Netto / Debiti >= Soglia.

In un Paese sottocapitalizzato come l’Italia è giusto mettere un limite al rapporto di composizione delle fonti, ma in questo sistema di indicatori della crisi, nelle fasi di investimento i Debiti (che alimentano il denominatore) sono visti solo come zavorra? Il denominatore è composto da tutti i debiti (voce D del passivo dello SP, art. 2424 c.c.), indipendentemente dalla loro natura “funzionale” o “finanziaria”, e dai “ratei e risconti passivi” (voce E del passivo dello SP); di conseguenza anche se l’impresa dovesse avere maggiore forza contrattuale con i propri debitori, accrescendo proporzionalmente nel passivo la composizione del debito “funzionale”, per effetto del calcolo di questo indice verrebbe penalizzata? Sembra proprio di si. E perché se sono stati considerati tutti i “debiti”, insieme ai “ratei e risconti passivi”, sono stati invece esclusi, dal denominatore, i “fondi imposte” (voce B del passivo dello SP) ed il TFR (voce C del passivo dello SP)? Forse non considerati altrettanto “debiti”?

  • Indice di liquidità: Attivo Circolante / Debiti a breve >= Soglia.

Ancora, vade retro Debiti! Senza distinzione tra “buoni” e “meno buoni”, colpa dell’eccessiva (ahinoi!) inspiegabile e diffusa importanza che viene data a questo quoziente (anche tra le stesse istituzioni creditizie), noto come “current ratio” nei paesi anglosassoni (da cui trae origine), ma lì stesso destituito come indicatore di corretta informazione finanziaria. Con questo indice siamo davvero vicini al paradosso, in quanto, a dispetto della rigorosità matematica del calcolo e delle sue leggi teoriche e interpretative, a valori bassi degli indici spesso non corrispondono stati reali di crisi finanziaria o condizioni vicine al default; pertanto un’impresa potrebbe continuare a vivere e generare stati di efficienza finanziaria nonostante che questo “ratio” presenti valori assai più bassi di quelli teorizzati1. Le ragioni di questa apparente incoerenza trovano una esplicita risposta nelle due considerazioni successive, che ne determinano i limiti stessi di questo indicatore.

Il Primo limite è connesso al principio stesso della “continuità dell’attività aziendale” (going to concern), che il codice della crisi intende tutelare, ovvero si dovrebbe tener conto dei valori di bilancio nella prospettiva della loro continuità aziendale (dinamica) e non statica al momento della rilevazione. Infatti l’indice, rispetto ad altri, presenta maggiore criticità interpretativa in quanto entrambi gli elementi del quoziente (numeratore e denominatore) provengono da valori iscritti nello Stato Patrimoniale, che per loro natura sono i più rigidi e statici dell’intera struttura contabile, essendo espressione finanziaria dell’impresa “in quel momento” e non nella sua evoluzione (come meglio raccontano le voci del conto economico). L’indice, quindi, potrebbe produrre dei dinamismi completamente opposti all’evoluzione delle voci presenti nell’Attivo Circolante (AC) e nel Passivo Circolante (PC), senza che peraltro si avverta il contrastante andamento delle due situazioni finanziarie.
Il secondo limite (che poi è una conseguenza del primo) risiede nella differente velocità di monetizzazione che potrebbero avere le due componenti del quoziente (AC e PC). Perché si generi questo diverso dinamismo è sufficiente che l’impresa acquisti nel tempo una maggiore forza contrattuale commerciale sia verso i clienti che verso i fornitori, oppure migliori la logistica e la gestione del suo magazzino. In virtù di questo rafforzamento si potrebbe produrre: a) un accorciamento dilatorio dei termini di incasso, nel credito; b) un allungamento dei termini di pagamento, nel debito; c) una migliore efficienza nel magazzino. Tecnicamente questo si traduce in un rafforzamento dell’indice di rotazione del credito e delle rimanenze (che passano a valori più alti) e del debito (che passa a valori più bassi), senza che questi effetti benefici si riscontrino sull’indice, anzi aggravandolo in quanto (a parità di ricavi e costi) rispettivamente si produrrebbe formalmente una diminuzione dell’AC ed un aumento del PC, facendo emergere, in modo paradossale, un peggioramento dell’indice anziché un progressivo e virtuoso avviamento dell’impresa verso un miglioramento dell’equilibrio finanziario e della solvibilità, frutto della maggiore efficienza nella gestione delle componenti dell’AC di trasformarsi in liquidità.

  • Indice di ritorno liquido dell’attivo: Cash Flow Operativo (CFO)/ Impieghi>= Soglia.

Anche qui la questione appare delicata. Il CFO suggerito dal CNDCEC è dato dall’utile rettificato dei componenti non monetari. Pesano su di esso, quindi, sia gli oneri finanziari (che non vengono stornati) sia le variazioni di crediti e debiti operativi, che non vengono considerate e che solitamente costituiscono la parte più rilevante del CFO; ciò rende irrilevanti la propensione di pagamento verso i fornitori e le attitudini di pagamento dei debitori. Di fatto questo non può essere definito propriamente un Cash Flow in quanto è costituito solo da elementi reddituali senza tener conto delle frizioni finanziarie.

  • Indice di indebitamento previdenziale e tributario: Debiti Tributari e Previdenziali / Totale Attivo<= Soglia.

Per la serie date a Cesare… Questo indice sembra un po’ troppo di parte (Fisco e INPS) e forse come segnale di crisi non è un granché. Potendo scegliere, quindi, è meglio pagare il Fisco che i fornitori? Inoltre come si concilia questa scelta con il fatto che sia stato ignorato - nel numeratore dell’indice - il Fondo Imposte (B2 dello SP), ovvero quelle passività per imposte probabili derivanti, ad esempio, da accertamenti non definitivi o contenziosi in corso ed altre fattispecie similari (OIC 31: “una passività è probabile quando il suo accadimento è ritenuto più verosimile del contrario”)

Naturalmente siamo consapevoli che l’investigazione filosofica su ogni singolo indice risulta del tutto accademica se non tiene conto delle inevitabili interrelazioni fra essi e delle conseguenze, anche a breve termine, degli squilibri che si genererebbero per favorire la congruità di un indice solo per scongiurare la procedura di crisi. Ed in effetti il CNDCEC tiene a sottolineare che gli indici di settore devono essere usati in modo combinato e che “debbono allertarsi tutti congiuntamente”.

Infine, la delega legislativa prevede che il sistema degli indici possa essere sottoposto a revisione con una frequenza almeno triennale, e siamo certi che questo primo triennio servirà a tutti per apprezzarne le doti e scoprirne le criticità; nel frattempo non ci resta che applicarli fiduciosi anche perché, per citare altre latitudini e parafrasare altri profeti, Also sprach CNDCEC.

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1. Oppure la situazione opposta, ovvero l’azienda presenta un indice soddisfacente sebbene si stia avviando verso cronici stati di illiquidità.

Ultima modifica il 03/03/2020

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