I nomi a dominio

A cura di Emanuele Cretaro, Chiara Ferrauti, Roberto Priolo, Mariangela Romeo  (partecipanti agli Executive Master in Giurista d'Impresa e Avvocato di Affari - RM)


Il Caso UNOSAC

 

Utile alla trattazione affrontata in  I nomi a dominio (Parte 1) è il caso c.d. Unosac.

Con atto di citazione,  in data 22 dicembre 2004,  la Unosac s.r.l. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma, la Lasac Group s.r.l. e la Tinia s.r.l. per accertare l’illegittimo uso del marchio della propria impresa, “unosac”, da parte delle società convenute, e ciò anche come nome a dominio nel sistema internet, quindi per sentirle dichiarare responsabili solidalmente della violazione del diritto al nome, alla ditta ed alla denominazione sociale, oltre che dei diritti sul marchio e di atti di concorrenza sleale in suo danno e conseguentemente per sentirle condannare ex art. 2043 e 2598 cod. civ. al risarcimento di tutti i danni subiti nell’ammontare da accertare in corso di causa[1].

A sostegno di tale domanda, esponeva l’attrice di operare come impresa nel settore della produzione e commercio di buste e sacchetti per imballo in plastica e carta di ogni tipo, e di aver investito in tale attività notevoli risorse economiche nonché di aver speso e utilizzato marchio dell’impresa “unosac” che grazie a tali investimenti aveva assunto presso i clienti il significato di qualità dei prodotti commercializzati nell’ambito sopra citato. In collegamento con tali obiettivi commerciali precisava di aver aperto ed utilizzato un proprio sito internet corrispondente alla denominazione sociale dell’impresa, ossia “unosac.it”, per divulgare e commercializzare anche col mezzo informatico i propri prodotti, riscontrando però l’esistenza di un altro sito e nome a dominio assolutamente uguale al proprio e registrato successivamente[2], giacché rilevava l’esistenza ed operatività del sito “unosac.com” risultato in uso alla convenuta Lasac Group s.r.l..

Lamentava esattamente che tale sito conteneva un sistema informatico funzionale all’esclusivo reindirizzamento del collegamento dell’utente ad un ulteriore sito denominato “lasac.com” corrispondente alla medesima società, sicché la stessa, in buona sostanza, aveva adottato un sistema fraudolento per deviare i potenziali visitatori e clienti del sito “unosac.it” su un altro sito finale, e ciò evidentemente costituiva violazione dolosa - dato che si trattava di un sistema appositamente ideato per ottenere un siffatto risultato - dei diritti sull’uso esclusivo del nome, della ditta e in specie della denominazione sociale ex. Art. 2564 cod. civ., sia dei diritti di uso esclusivo dei segni distintivi dell’impresa, ossia marchi, trattandosi di denominazione usata anche come marchio.

La Lasac Group s.r.l. si costituiva contestando le domande attrici e chiedendone il rigetto. Preliminarmente eccepiva l’incompetenza per territorio del tribunale adito in favore del Tribunale di Perugia, sede dell’impresa convenuta e luogo in cui l’illecito aquiliano contestato aveva avuto origine. Nel merito osservava che nessuna ipotesi di contraffazione del marchio ovvero di concorrenza sleale sussisteva nel caso di specie, dato che il nome a dominio altro non era che un indirizzo telematico assimilabile ad ogni indirizzo materiale tradizionale, sicché non poteva ravvisarsi alcuna violazione dei diritti connessi al marchio. Per altro verso precisava che l’uso del termine lessicale “sac” era dovuto al fatto che lo stesso faceva parte anche della propria denominazione sociale e richiamava inoltre l’attività di vendita. Nessuna ipotesi di concorrenza sleale poteva sussistere rispetto alle contestazioni mosse dall’attrice tenuto conto che i fatti lamentati erano interamente riconducibili alla violazione del marchio, pertanto nessuna delle ipotesi delineate dall’art. 2598 cod. civ. ricorreva nella specie. Nessuna attività confusoria, infatti, era stata posta in essere da essa convenuta, né si era realizzato alcun sviamento di clientela in danno all’attrice, anche in relazione al diverso ambito territoriale di operatività delle due imprese, ossia Lazio e Umbria.

Il Tribunale di Roma si espresse sulla controversia, preliminarmente disattendendo le eccezioni di incompetenza per territorio sollevate dalle società convenute in comparsa di risposta. Tali eccezioni infatti, sono state ritenute infondate sia in base ai criteri ordinari di determinazione della competenza territoriale, vertendo in materia di lesione di diritti soggettivi della persona giuridica ( nome, ditta, e denominazione sociale), che di lesioni di diritti connessi alla libertà e correttezza dell’attività imprenditoriale.

Nel merito il Tribunale ha appurato che la convenuta Lasac Group s.r.l., ha realizzato un sito internet strumentale all’usurpazione del marchio dell’attrice e dello stesso nome a dominio di quest’ultima. In particolare, risulta registrato nell’agosto 2002 ed anche attivato e reso operativo, il sito internet “unosac.com” rispondente alla Lasac Group s.r.l., identico quindi al nome a dominio appartenente all’attrice, ed alla ragione sociale di quest’ultima, ossia Unosac s.r.l..

Tale rilievo rende dunque palese la violazione di diritti primari della persona giuridica, quali appunto il diritto al nome, ex. Art. 6 e 7 cod. civ. estensibile anche ai soggetti formali, ed il diritto all’uso esclusivo del marchio, in base al principio dettato dall’art. 2563 e 2564 cod. civ.

Analizzando nello specifico il rapporto tra nome a dominio e marchio, possiamo affermare che la convenuta lede il marchio di fatto utilizzato dall’attrice sopratutto in funzione divulgativa dei propri prodotti tramite la rete internet, come dimostra la presenza anteriore in tale ambito del sito a dominio “unosac.it” da questa registrato e utilizzato per reclamizzare e commercializzare i prodotti. Tale preuso del marchio di fatto da parte dell’attrice è insito proprio nella combinazione tra la pubblicizzazione dei prodotti tramite la rete internet e la coeva indicazione della ditta in funzione di marchio per la commercializzazione dei medesimi prodotti. Consegue quindi da ciò la rilevanza della condotta sopra evidenziata anche sotto il profilo della lesione al corrispondente marchio di fatto della cui tutelabilità non può dubitarsi.

In virtù di quanto detto fino a questo momento il Tribunale ha ritenuto dimostrato l’illecito comportamento della Lasac Group s.r.l..

Va considerato inoltre che la volontarietà dimostrata della condotta lesiva riveste anche i caratteri dell’illecito concorrenziale ex art. 2598 n. 1 e 3 cod. civ. In particolare, la natura illecita del comportamento è data dall’aver usurpato un nome a dominio corrispondente a quello dell’impresa concorrente, sul presupposto non dichiarato ma non di meno evidente che tale denominazione e marchio d’impresa rivestisse un maggiore pregio di quello proprio, dato il maggior livello di conoscenza sul mercato della denominazione sociale della Unosac s.r.l..

Da ciò discende l’illecito ex n.1 dell’art. 2598 cod. civ. per aver usato nomi e segni distintivi dell’altrui impresa, comportamento non conforme ai principi della correttezza professionale.

In conclusione il Tribunale ha convenuto di condannare la Lasac Group s.r.l. al risarcimento dei danni patiti dall’attrice per effetto delle condotte che abbiamo descritto[3].

 

Il Caso F.LLI T. S.R.L.

 

Altro caso ritenuto interessante ed appropriato per l’approfondimento del tema di cui stiamo discutendo, è stato deciso dal Tribunale di Bari ed ha ad oggetto una controversia nella quale, anche in questo caso, si presumeva l’illegittimo utilizzo di segni distintivi e nella specie anche del marchio. In questo caso però, come vedremo, il Tribunale ha ritenuto di non accogliere la domanda in questione.

Il 5 aprile 2005 la F.lli T. s.r.l., con sede in Bardolino (VR), ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari, la M. & A. s.n.c., con sede in Martano (LE) esponendo che:

  1. essa attrice era un’azienda che da circa cinquant’anni si dedicava all’ovicoltura ed alla produzione di olio extravergine di oliva;
  2. in tale qualità, essa utilizzava il marchio “T.” quale denominazione sociale e marchio d’impresa, ed era titolare di numerose registrazioni di marchio in Italia ed all’estero;
  3. l’oleificio T. era citato sulle principali guide relative agli oli, e l’olio T. era riportato in numerose e prestigiose pubblicazioni;
  4. nell’anno 2001 la T. s.r.l. partecipava al Salone Internazionale dell’Olio d’Oliva Vergine ed Extravergine (SOL) di Verona e in detta occasione veniva a conoscenza della F.lli T. M. & A. s.n.c., di Martano (LE), e delle bottiglie di olio extravergine di oliva a marchio T.;
  5. nel maggio 2001 essa attrice diffidava la convenuta ad utilizzare il segno T., chiedendo la variazione della ragione sociale;
  6. la T. s.n.c. stava agendo in violazione dei diritti di privativa dell’attrice, nonché dei principi di buona fede e correttezza professionale e della normativa in materia di concorrenza sleale;
  7. in particolare, il marchio “T.” utilizzato dalla convenuta era estremamente somigliante con il marchio “T.”, e tali marchi erano suscettibili di confusione, stante anche l’identità dell’oggetto dell’impresa; vi era inoltre una violazione dei diritti di ditta dell’attrice;
  8. ancora, la condotta della convenuta integrava un’ipotesi di concorrenza sleale.

Tutto ciò esposto, pertanto, la T. s.r.l. ha concluso, chiedendo che fosse accertato e dichiarato che l’utilizzo da parte della convenuta del suddetto segno, come marchio, ditta, insegna, nome a dominio, ragione sociale costituiva violazione dei diritti di esclusiva vantati da essa attrice, nonché atto di concorrenza sleale, e conseguentemente che fosse inibito alla convenuta l’utilizzo del segno, che fosse ordinata la modificazione della ragione sociale.

Il Tribunale si è espresso nel merito della controversia andando a rigettare la domanda dell’attrice per i seguenti motivi: la società convenuta, in quanto società in nome collettivo, deve agire, ai sensi dell’art. 2292 cod. civ., con una ragione sociale costituita dal nome di uno o più soci, in osservanza di un generale principio di verità ed affidamento dei terzi che, come è noto, possono agire per la tutela dei loro diritti nei confronti di tutti i soci illimitatamente responsabili[4].

L’utilizzo del nome “T.” da parte della convenuta, pertanto, appare pienamente legittimo. Per quanto riguarda poi l’asserita confondibilità dei prodotti va osservato che, dal punto di vista grafico, i due marchi appaiono comunque diversi, in quanto quello dell’attrice contiene la scritta “T.” inserita in un ovale con un disegno sovrastante raffigurante degli olivi e, sopra l’ovale, delle foglie d’olivo, mentre il marchio della convenuta è limitato alla scritta “Fratelli T.” contenuta in un quadrato e con la scritta “Oleifici” sovrastante il quadrato.  Il marchio della società attrice, peraltro, non può essere considerato un marchio forte, in quanto, pur essendo privo di aderenza concettuale con il prodotto rappresentato, non appare avere uno specifico potere individualizzante del prodotto medesimo, non potendosi certo ritenere che il consumatore medio associ il termine “T.” al prodotto “olio d’oliva” ( come potrebbe avvenire, invece, per altri marchi come “Carapelli”, “Bertolli”. Ecc.).

Orbene, a differenza delle ipotesi di marchio forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandone la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte[5].

Nel caso di specie, il marchio utilizzato dalla T. s.n.c. è comunque diverso da quello utilizzato dalla T. s.r.l., dal punto di vista grafico e, anche se più lievemente, dal punto di vista fonetico, il che, data la natura debole del marchio dell’attrice, porta comunque ad escludere un giudizio di confondibilità tra gli stessi, stante anche i diversi e lontani contesti territoriali nei quali le società parti in causa operano[6]. Quanto, poi, alla asserita violazione dei diritti di ditta dell’attrice, ed all’asserito comportamento di concorrenza sleale denunciato, va rilevato che l’utilizzo del nome “T.” da parte della convenuta è imposto dalla legge, ragion per cui non può configurarsi, per ciò solo, la violazione ed il comportamento scorretti lamentati.

Per queste motivazioni il Tribunale sopra richiamato ha deciso di rigettare la domanda condannando alle spese l’attrice[7].

 

Osservazioni conclusive

 

Abbiamo visto che il principio di unitarietà dei segni distintivi risolve la questione dell'esatto inquadramento giuridico del nome di dominio usato in commercio: quale segno distintivo atipico esso è idoneo a determinare situazioni di contraffazione di marchio oltre che di concorrenza sleale.

Situazioni risolvibili secondo i criteri dell'attuale normativa sui segni distintivi[8]. La legge si rivela certamente insufficiente a risolvere tutti i conflitti possibili derivanti dalla diffusione globale della Rete: il nome di dominio, per la sua caratteristica tecnica di indirizzo telematico, funzionale a Internet, soffre la limitazione di carattere territoriale e merceologica della tutela del marchio[9]. Sul piano pratico e operativo sappiamo che la tutela del nome di dominio è resa più efficace qualora si provveda alla registrazione del corrispondente marchio. In tale modo è possibile prevenire il fenomeno del domain name grabbing, e della registrazione come nome di dominio del marchio altrui[10] .

 

[1] Interessante ricognizione delle prime controversie giudiziarie instauratesi, negli stati uniti e in germania, si trova in Mayer, I domain name ed i diritti sui segni distintivi:una coesistenza problematica.

[2] In data, 1 agosto 2002.

[3] Trib. Roma, 13 luglio 2007, n. 14398.

[4] Sia pure con il benificium excussionis ex art. 2304 cod. civ.

[5]Cass. 26 giugno 2007, n. 14787; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19436.

[6]  Nel Salento la convenuta, in Veneto la società attrice.

[7] Trib. Bari, 3 marzo 2010, n. 756.

[8]Bonomo, Il nome di dominio e la relativa tutela. Tipologia delle pratiche confusorie in internet, Riv. dir. ind., fasc.6, 2001, p. 247.

[9]La diffusione globale della rete è certamente idonea ad aprire la strada a nuovi conflitti a causa della limitazione territoriale della tutela del marchio. Basti pensare all'ipotesi di una società spagnola che registri un nome di dominio corrispondente ad un marchio anteriore e validamente registrato in Italia per gli stessi beni o servizi. La conseguenza è che il nome di dominio della società spagnola potrà essere visualizzato, per l'estensione mondiale della Rete, da un numero elevato di utenti di Internet in tutto il mondo, e quindi anche in Italia. Ci si chiede se in tale ipotesi il titolare del marchio italiano sia legittimato a proibire l'uso del corrispondente nome di dominio alla società spagnola, dal momento che la tutela accordata con la registrazione del marchio esplica efficacia limitatamente al territorio italiano. La soluzione implica ovviamente una regolamentazione sull'uso dei nomi di dominio che avvenga a livello internazionale. L'esempio viene spiegato da Spada, cit., p. 723, che “La sperimetrazione della privativa per marchio ad un territorio nazionale o regionale resta ferma anche in caso di uso del segno in rete. Ciò significa che l'uso da parte di terzi di un marchio altrui registrato in Italia sarà apprezzabile come contraffazione in Italia e in Italia soltanto, senza che la percezione ubiquitaria del segno, da parte del «popolo di Internet», moltiplichi la contraffazione per quanti sono i territori dai quali l'accesso è possibile.(...). Il carattere ubiquitario della percezione, tuttavia, rende irrilevante - sul piano oggettivo della contraffazione - il territorio nel quale il segno contraffattivo è stato immesso in rete: c'è contraffazione in un prescelto territorio anche se il sito Web, in cui il segno è immesso, è gestito da un intermediario straniero e/o si avvale di hardware dislocato all'estero. (...) la giurisdizione non può che attribuirsi secondo il criterio, di generale applicazione in materia di proprietà intellettuale, dello Schutzland, cioè dello Stato nel quale si assume verificatasi la violazione dell'esclusiva e si chiede la tutela dell'interesse leso”.

[10]Bonomo G., Il nome di dominio e la relativa tutela. Tipologia delle pratiche confusorie in internet, Cit.

Riferimenti Bibliografici

  • Cesare Galli, I marchi: dal diritto dei segni distintivi al diritto della comunicazione d’impresa, 2010, http://www.filodiritto.com.
  • Come viene tutelato il nome a dominio, http://www.studiolegale-online.net.
  • Marco Bellezza, Il domain grabbing e le pratiche commerciali sleali., 2012, http://www.medialaws.eu.
  • Paolo Vicenzotto, Registrazione illecita di nomi a dominio e concorrenza sleale,http://www.webdieci.com.
  • Il sito internet dell’azienda: la tutela del nome di dominio, 2015, http://business.laleggepertutti.it
  • Laura Turini, Le procedure di recupero dei nomi a dominio.I nuovi .tld, opportunità e rischi, 2015,http://www.fi.camcom.gov.it
  • Paola Stefanelli, Inquadramento giuridico dei nomi a dominio e loro interferenza con i marchi d’impresa, http://www.fi.camcom.gov.it
  • Camera arbitrale di Milano, Procedura di riassegnazione dei nomi a dominio, 2015, http://www.camera-arbitrale.it
  • Internet e Tutela del Marchio di Impresa, Seminario “Software & Internet Tutela nella Proprietà Industriale” Reggio Emilia – Camera di Commercio, 2012, http://www.ar.camcom.it
  • Rosamaria Ferorelli, «Domain names», natura e disciplina giuridica, 2001, http://www.diritto.it
  • Antonio Chirico, La tutela dei DOMAIN NAMES, http://www.solfano.it
  • Federico Costantini, Corso d’informatica giuridica: i nomi a dominio, 2015, http://www.slideshare.net/FedericoCostantini

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