Indagini finanziarie sfocianti in accertamenti

A cura della Dott.ssa Cristina Apice, partecipante del Master Specialistico in Diritto Penale Tributario


Molto spesso i professionisti sono chiamati a prendere le difese del contribuente che si vede colpito da un accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate. L’avviso di accertamento deriva da un’attività di controllo di tipo sostanziale dell’Amministrazione finanziaria e rappresenta in maniera formale la pretesa tributaria. Sovente l’avviso di accertamento viene notificato anche a seguito di ispezioni e controlli da parte della Guardia di Finanza, che al termine delle verifiche rilascia e fa sottoscrivere al contribuente il c.d. PVC (processo verbale di constatazione) recante il riepilogo dell’attività svolta. È bene sottolineare che in questi casi, al fine di procedere con l’ispezione, è necessario che i verificatori mostrino l’ordine di accesso contenente l’autorizzazione. In mancanza, il contribuente può eccepire la nullità dell’atto impositivo e, di conseguenza, le eventuali prove ottenute. Inoltre, qualora nel corso dell’attività ispettiva emergano indizi di reato, occorre darne indicazione nel PVC che verrà inviato in procura. In tal caso, è obbligatoria la nomina di un difensore in quanto il contribuente diventa a tutti gli effetti un possibile indagato e da questo momento tutte le operazioni compiute per garantire la provenienza delle prove ed eventualmente acquisirne di nuove, devono essere effettuate nel rispetto di quanto previsto dal Codice Penale.

Spesso si sente anche parlare di accertamento bancario, nonostante lo stesso non sia espressamente previsto tra le varie tipologie di accertamento. Questo perché ciò che esiste è l’indagine finanziaria o bancaria che, in base all’esito, può far scaturire un avviso di accertamento. Nonostante ciò, la normativa tributaria attribuisce alla documentazione rinvenuta mediante tali indagini la valenza di presunzioni legali che da sole, trovando fondamento nella legge, sono in grado di rendere legittima la rettifica del reddito imponibile. In particolare si tratta di presunzioni legali relative poiché l’onere della prova è affidato al contribuente. Probabilmente è proprio il fatto, (seppur ancora molto dibattuto ma riconosciuto sia dalla Cassazione che dalla Corte Costituzionale) di ritenere l’indagine finanziaria una presunzione legale, che rende diffuso nella prassi il termine accertamento bancario. Infatti, a seguito di un’indagine di questo tipo l’Amministrazione finanziaria non necessita di ulteriori elementi per poter notificare un avviso di accertamento in quanto ritiene le movimentazioni finanziarie elementi talmente concreti, chiari e forti da non necessitare di altri elementi probatori di supporto.

La normativa di riferimento per le indagini finanziarie è contenuta nell’art. 32 del DPR 600/73 e nell’art. 51 del DPR 633/72. Esse consistono essenzialmente in controlli e ricostruzioni dei movimenti finanziari ai quali l’imprenditore o il lavoratore autonomo non sanno dare giustificazione.

La norma parla di prelevamenti perché alla base vi è la presunzione che gli stessi siano utilizzati per sostenere costi in nero che a loro volta daranno origine a ricavi in nero. La Corte Costituzionale con sentenza n. 228 del 2014 ha ritenuto illegittimo l’art. 32, comma 1, n.2 nel secondo periodo in cui si citavano i compensi e, pertanto, la presunzione riguarda attualmente solo i prelevamenti effettuati dai i titolari di reddito di impresa e non più dai lavoratori autonomi. La sentenza è poi stata recepita dal DL 193/2016 che ha eliminato la parola compensi. La ratio risiede nel fatto che il lavoratore autonomo generalmente ha un unico conto corrente che utilizza sia ai fini lavorativi sia ai fini personali e, chiaramente, dato il mix dei due sarebbe impossibile trovare un riscontro ai sensi dell’art. 32, comma 1, n.2. Questa nuova disciplina più favorevole al contribuente potrebbe, per lo meno in linea teorica, essere applicata anche per controversie sorte anteriormente al 2014, anche se al momento non vi sono pronunce in merito.

Sono state, inoltre, modificate le soglie dei prelevamenti i quali rilevano se superiori ad euro 1.000 giornalieri e, comunque, ad euro 5.000 mensili. Ne deriva che se le operazioni sono al di sotto di tali importi, la presunzione non è valida e l’onere della prova ricadrà sull’Amministrazione finanziaria. In questo caso la modifica opera a partire dal 3 dicembre 2016 e non può riguardare contenziosi già in essere precedentemente.

Vi è la recente sentenza n. 37368 della Cassazione  del 30 novembre 2021 che si è occupata proprio di un avviso di accertamento notificato a due soci amministratori di S.r.l. ai quali, a seguito di indagini finanziarie, venivano contestati movimenti di conto corrente in contrasto con quanto dichiarato. La sentenza si è sostanzialmente occupata di evidenziare il fatto che la disciplina sui prelevamenti è applicabile ai soli imprenditori, i quali non necessariamente coincidono con la qualifica di amministratori, potendo, gli stessi, a determinate condizioni, svolgere anche un lavoro dipendente. Il punto cruciale è, ad ogni modo, l’inquadramento da parte della Corte del rapporto tra i due soci e la società come rapporto di lavoro autonomo professionale con conseguente incostituzionalità della disciplina sui prelevamenti applicata.

Veniamo ora all’iter per effettuare le indagini finanziarie. Come già ribadito, mediante le indagini finanziarie l’Amministrazione può acquisire informazioni sui rapporti tra i contribuenti e gli intermediari finanziari. In particolare, l’art. 7 del DPR 605/73 prevede l’obbligo in capo agli operatori finanziari di comunicare all’Anagrafe tributaria tutti i rapporti intrattenuti, specificandone la natura e fornendo i dati anagrafici del titolare.

Le informazioni fornite all’Anagrafe tributaria devono riguardare il diretto interessato, ma anche eventualmente coloro che possono disporre mediante altri titoli quali, ad esempio, contratti di mandato, rappresentanza o delega. Devono essere comunicati tutti i tipi di rapporto, anche le operazioni extra contabili quali ad esempio la richiesta di cambio di assegni, richiesta di assegni circolari, vaglia, buoni postali.

Tali obblighi di comunicazione devono sempre essere effettuati in quanto vanno ad arricchire la banca dati dell’Amministrazione finanziaria e consentono di elaborare liste per monitorare in contribuenti a rischio di evasione. L’indagine finanziaria, invece, scatta nel momento in cui l’Amministrazione finanziaria, previa autorizzazione, richiede all’intermediario finanziario tutti i dati e le informazioni sui rapporti intrattenuti con un determinato contribuente. L’autorizzazione è fondamentale e deve essere richiesta tramite pec: se la stessa proviene dagli uffici dell’Agenzia delle Entrate, l’autorizzazione deve essere rilasciata dal direttore centrale dell’accertamento o dal direttore regionale, mentre se la richiesta proviene dalla Guardia di Finanza, l’autorizzazione deve provenire dal Comandante Regionale. Entro 30 giorni, prorogabili al massimo di ulteriori 20, gli intermediari devono dare risposta fornendo la documentazione necessaria per le verifiche. In mancanza di autorizzazione l’accertamento non è da ritenersi nullo, però il contribuente potrà eccepire tutti quei documenti che sono stati ottenuti senza l’autorizzazione. La Cassazione n.13353 del 2018 si è espressa in tal senso precisando che la mancanza di autorizzazione non implica l’impossibilità di utilizzare le informazioni ottenute a patto che non sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente o che si leda la tutela dei diritti fondamentali della Costituzione. Si pensi ad esempio all’ottenimento di tutti i movimenti del conto corrente di un contribuente che in assenza di autorizzazione non possono essere utilizzati nel procedimento penale come prova, in quanto hanno creato un concreto pregiudizio invadendo la sfera di libertà del soggetto in maniera ingiustificata proprio perché mancante di autorizzazione.

Potrebbe poi succedere che a seguito di un’indagine finanziaria scaturisca un procedimento penale. In questo caso è fondamentale contestare il fatto che in sede penale le presunzioni non possono essere considerate valide. Infatti, le stesse possono essere dei meri indizi che devono però essere necessariamente supportate da altri elementi in modo tale da fornire una prova concreta. È poi importante verificare che non vengano fatti rilevare prelevamenti non giustificati nel caso in cui ci si trovi in presenza di lavoratori autonomi. Ciò è importante anche perché potrebbe verificarsi il caso in cui andando ad eliminare i prelevamenti (costituzionalmente ormai illegittimi per i lavoratori autonomi) il contribuente scenda al di sotto delle soglie di punibilità previste dall’art 5 del D.lgs. n. 74 del 2000. Pertanto, il reato non potrebbe configurarsi  in quanto manca uno degli elementi costitutivi della fattispecie.

Infine, con sentenza n. 16865 del 2021, la Cassazione ha ribadito il fatto che in presenza di reati tributari (in particolare si fa riferimento al l’omessa dichiarazione ex. art. 5 del D.lgs. 74/2000) ai fini della determinazione dell’imposta evasa, la stessa spetta esclusivamente al giudice penale. Il giudice può, con adeguata motivazione, procedere con le proprie verifiche e può tenere conto degli elementi induttivi rilevati a livello tributario che devono però essere supportati da elementi probatori. Infine, data la differente finalità dell’accertamento tributario da quello penale, il giudice deve tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza di fatti da cui possa trarre certezza o per lo meno il ragionevole dubbio della loro esistenza.

In conclusione, in presenza di indagini finanziarie sfocianti in accertamenti, è bene avere a mente l’iter che deve necessariamente essere seguito per procedere ad un’indagine di questo tipo e considerare preventivamente quali possono essere le conseguenze, soprattutto nel caso in cui da tali operazioni possa derivare un procedimento penale, in modo tale da saper supportare al meglio i propri clienti.


Bibliografia

  • Codice Civile
  • Codice Penale
  • Cassazione n.37368 del 30.11.2021
  • Cassazione n.13353 del 2018
  • Cassazione n.16865 del 2021

Ultima modifica il 19/01/2022