A cura di A. Prezioso (partecipanti del Master in Giurista d'Impresa)

Nelle controversie in cui è parte una pubblica amministrazione, il criterio generale per l’individuazione del giudice competente è dato dalla posizione soggettiva azionata in giudizio dal privato[1]; in caso di diritto soggettivo la giurisdizione è del giudice ordinario, in ipotesi di interesse legittimo la giurisdizione spetterà, invece, al giudice amministrativo.

In un primo momento, l’interesse legittimo era definito in dottrina[2] come una posizione di vantaggio non protetta in via diretta, ma solo occasionalmente, laddove riceveva tutela solo se il pregiudizio della sfera privata del titolare fosse conciso con il pregiudizio dell’interesse pubblico; alla stregua di tale interpretazione, l’interesse legittimo veniva considerato un interesse strumentale al perseguimento e alla massimizzazione dell’interesse pubblico. In un’ottica ancora strettamente strumentale di interpretazione dell’interesse legittimo, quest’ultimo è stato poi inteso, da altra parte rilevante di dottrina, come un interesse strumentale alla legittimità dell’azione amministrativa: l’interesse legittimo rinverrebbe la propria fonte nel principio di legalità, sostanziandosi nella pretesa del privato al legittimo esercizio del potere amministrativo.

Entrambe tali teorie erano connotate da non poche criticità, in quanto non consentivano di individuare l’interesse legittimo come un bene della vita sostanziale che il privato intende direttamente conseguire, ma lo interpretavano come un interesse solo indirettamente protetto.

Ai fini del superamento di tali criticità, ha assunto valore decisivo la decisione n. 3/2011 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con cui si è giunti alla definizione dell’interesse legittimo come una situazione giuridica sostanziale direttamente protetta dall’ordinamento, che attribuisce una molteplicità di poteri e di facoltà al titolare da esercitare, sia in sede procedimentale che processuale, allo scopo di condizionare l’esercizio del potere pubblico, per conseguire o tutelare un bene della vita individuale o collettivo, potenzialmente leso dal provvedimento amministrativo. Tale modello è stato poi recepito dal codice del processo amministrativo che, sulla scorta della tendenza inaugurata dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 500 del 22 luglio 1999, oltre a riconoscere la tutela diretta, anche in via risarcitoria, dell’interesse legittimo, ha delineato un sistema di tutela giurisdizionale ampio, al pari di quello riferito dall’ordinamento al diritto soggettivo.

Ciò posto, è fondamentale capire in che modo distinguere diritti soggettivi e interessi legittimi, ai fini della loro rispettiva tutela in giudizio. Sotto tale profilo, assume particolare rilevanza la dicotomia tra carenza e cattivo uso del potere pubblico, che trova la sua espressione massima nella famosa sentenza Ferrari[3] e si fonda sulla teoria della degradazione dei diritti soggettivi ad interessi legittimi per effetto dell’emanazione di un provvedimento amministrativo, quantunque illegittimo. Ed infatti, in tali casi, nonostante l’uso scorretto che la p.a. abbia fatto del potere conferitole, il provvedimento amministrativo ha comunque il potere di degradare la posizione individuale del privato qualificata in termini di diritto soggettivo. La dottrina in parola, infatti, afferma la giurisdizione ordinaria nei casi in cui sia contestata la stessa esistenza del potere della p.a. di disporre del diritto del singolo: non è sufficiente, al fine di escludere una posizione di diritto soggettivo, che la p.a. agisca autoritativamente sul piano formale in una materia retta dal diritto pubblico. È necessario piuttosto verificare, alla luce del dato positivo, che il provvedimento sia esercizio di un potere effettivamente riconosciuto dalla norma. In caso negativo, l’amministrazione non eserciterà alcun potere e, quindi, non sarà identificabile un interesse legittimo. Si radica, invece, la giurisdizione amministrativa tutte le volte in cui si contesta il corretto esercizio del potere da parte della p.a. in relazione al paradigma costituito dalla norma attributiva del potere, ma non la spettanza del potere stesso (cattivo uso del potere).

Fatte tali premesse, può passarsi alla disamina del riparto di giurisdizione nella materia dei contratti pubblici.

Il contratto pubblico della p.a. è un normale atto di diritto privato, con conseguente assoggettamento delle controversie relative alla sua stipulazione e alla sua esecuzione alla giurisdizione esclusiva del giudice ordinario. La stipulazione del contratto è, però, preceduta da un procedimento amministrativo che consta di una pluralità di atti di diritto pubblico adottati a monte della sottoscrizione del contratto, volti a valutare l’interesse pubblico ad un certo contratto e a scegliere il contraente che offre le condizioni migliori. Alla stregua di tale differenziazione sostanziale tra procedimento pubblicistico a monte e contratto privatistico a valle, ne deriva che sono affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie relative alla procedura pubblicistica di evidenza pubblica di scelta del contraente (costituente esplicazione di un potere pubblicistico autoritativo a cui si giustappone un interesse legittimo del privato), mentre le controversie relative alla validità e all’esecuzione del contratto di diritto privato, involgendo posizioni aventi la consistenza di diritti soggettivi di carattere paritetico, sono attratte alla giurisdizione del giudice ordinario.

Sul punto, il Consiglio di Stato[4] ha precisato che “nella tradizionale prospettiva bifasica che caratterizza la formazione dei contratti ad evidenza pubblica, le procedure di affidamento strutturano (nella fase propriamente pubblicistica) peculiari procedimenti amministrativi, che esitano nella determinazione conclusiva, con cui viene disposta l’aggiudicazione a favore dell’offerta selezionata, cui segue – con la stipula del contratto e la formale assunzione degli impegni negoziali – la fase esecutiva, che prefigura situazioni essenzialmente paritetiche, rimesse alla cognizione del giudice ordinario”. La distinzione emerge, con particolare evidenza, dalla lettura dell’art. 30, comma 8, del D. Lgs. n. 50/2016 , dove si contrappongono (ai fini della individuazione, in via residuale, del microsistema normativo operante):

  • le “procedure di affidamento” che, in quanto ricomprese, come specie nel genere, nelle “attività amministrative”, sono assoggettate alle disposizioni, di ordine generale e paradigmatico, di cui alla Legge n. 241/1990;
  • la “fase di esecuzione” che, in quanto attivata dalla “stipula del contratto”, evoca le regole del “codice civile”, in quanto non segnatamente derogate da disposizioni speciali.

A questo punto, occorre specificare che, se in linea generale la stipula del contratto segna il punto di “confine”  ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, vi sono delle fattispecie connotate da peculiarità tali da costituire delle deroghe a tale principio. Si pensi, in primo luogo, agli atti compiuti nella fase tra l’aggiudicazione e la sottoscrizione del contratto in ipotesi di esecuzione anticipata giustificata da ragioni di urgenza. La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che l’instaurazione di un rapporto contrattuale (che trae, comunque, titolo dall’esito della fase selettiva di gara) prefigura, sia pure in termini di anticipazione rispetto alle ordinarie scansioni temporali e agli ordinari adempimenti formali, una fase propriamente esecutiva, che deve considerarsi rimessa alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto le relative vicende si strutturano in termini di adempimento delle obbligazioni contrattuali e di responsabilità conseguente al loro inadempimento.

La sintesi che precede è conforme al diffuso orientamento giurisprudenziale[5] secondo cui, infatti, da un lato, “la delibera di affidamento a titolo provvisorio di un appalto, anche senza stipula del relativo contratto, dà vita ad un rapporto paritetico che attiva la fase di esecuzione delle prestazioni negoziali, come tale rimesso alla cognizione del giudice ordinario” (Cass., SS.UU. 21 maggio 2019, n. 13660; Id. SS.UU. 25 maggio 2018, n. 13191), e dall’altro, per converso, “l’inadempimento all’obbligo di consegnare documentazione rilevante per la stipula rientra – anche ad esecuzione già iniziata – nella giurisdizione del giudice amministrativo”, in quanto attiene al segmento procedimentale pubblicistico ed è collegato all’esercizio di un potere da parte dell’amministrazione (Cons. Stato, sez. V, 29 luglio 2019, n. 5354, nonché Cass. SS.UU., 9 ottobre 2017, n. 23600).

Analoghe considerazioni valgono nelle ipotesi di recesso dal contratto disposto dall’Amministrazione per effetto dell’adozione nei confronti del contraente privato, durante la fase di esecuzione del contratto stesso, di un provvedimento interdittivo antimafia ai sensi degli artt. 84, comma 4 e 91, del D. Lgs. N. 159/2011 (il Codice Antimafia), in relazione alle quali la giurisprudenza amministrativa ha affermato, in applicazione del principio giurisprudenziale sopra richiamato, la giurisdizione del giudice amministrativo “sia in ordine al giudizio di impugnazione sulla informativa antimafia, trattandosi di provvedimento amministrativo a contenuto discrezionale incidente su posizioni di interesse legittimo dell’impresa destinataria, sia sui consequenziali atti di revoca e recesso contrattuali, siccome conseguenti non già all’esercizio di poteri negoziali iure privatorum quanto, per l’appunto, all’adozione di un atto autoritativo costituente espressione di potere di valutazione di natura pubblicistica rimesso al vaglio del giudice amministrativo” (TAR Campania, Napoli, n. 4938 del 4 luglio 2018).

In conclusione, per comprendere il modo concreto in cui opera il criterio del riparto di giurisdizione tra il giudice amministrativo e il giudice ordinario in materia di contratti pubblici, dovrà farsi riferimento, ancora una volta, proprio alla posizione giuridica soggettiva vantata dal privato nei confronti della pubblica amministrazione, così che si configura la giurisdizione del giudice amministrativo ogni qual volta si è in presenza di una controversia inerente all’esercizio da parte dell’amministrazione di un potere pubblicistico previsto dalla legge, cui si contrappone un interesse legittimo del privato, mentre si radica la giurisdizione del giudice ordinario nelle ipotesi in cui la pubblica amministrazione agisce iure privatorum nell’ambito dell’esecuzione delle prestazioni poste a base di gara, con la sussistenza di un diritto soggettivo in capo al contraente privato.

 

[1] Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 14 giugno 1930.

[2] Il primo articolato disegno della figura di interesse legittimo si deve agli autori Oreste Ranelletti e Lorenzo Meucci.

[3] Cassazione, Sez. Un., 4 luglio 1949, n. 1657.

[4] Consiglio di Stato n. 5498 del 2.08.2019.

[5] Cfr. TAR Bari n. 6 del 3.01.2020 e Cassazione, Sez. Un. n. 24411/2018

 

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Business Law.

Ultima modifica il 15/12/2020

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