A cura dell'Avv. S. Mecca, docente in area Fiscale

A seguito del periodo emergenziale dovuto alla pandemia da Covid-19, sono stati previsti una serie di contributi a fondo perduto che i contribuenti, a partire dal 2020, hanno potuto richiedere allo Stato per beneficiare di aiuti concreti.

Tali contributi a fondo perduto vengono erogati direttamente dall’Agenzia delle entrate e hanno come destinatari i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica. Parliamo dei contributi a fondo perduto previsti[1]:

  • dal decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137 (cd. decreto “Ristori”), convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176;
  • dall’articolo 2 del decreto-legge 9 novembre 2020, n. 149, come sostituito dall’articolo 1-bis del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, destinato agli operatori dei settori economici che svolgono come attività prevalente una di quelle riferite ai codici ATECO riportati nell'Allegato 2 al medesimo decreto e che hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nelle aree del territorio nazionale, caratterizzate da uno scenario di massima gravità e da un livello di rischio alto (cosiddette regioni “rosse”);
  • dall’articolo 59 del decreto-legge 14 agosto 2020 n. 104, convertito con modificazioni dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, destinato ai soggetti esercenti attività di impresa di vendita di beni o servizi al pubblico, svolte nelle zone A o equipollenti dei comuni capoluogo di provincia o di città metropolitana ad alta densità turistica straniera;
  • dall’articolo 25, commi da 7 a 14, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (cd. «contributo a fondo perduto COVID-19»); - del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (c.d. decreto “sostegni”), che prevede il riconoscimento di un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti titolari di partita IVA, residenti o stabiliti nel territorio dello Stato, che svolgono attività d’impresa, arte o professione o producono reddito agrario.

L’indebita percezione dei contributi a fondo perduto comporta sanzioni piuttosto serie ed addirittura si potrebbe arrivare, in certi casi, ad avere una triplice sanzione. La normativa di riferimento è l’articolo 25 del D.L. n. 34/2020, poiché anche le successive misure di sostegno rinviano per questi aspetti a tale disposizione. In particolare, tale norma al comma 12 prevede che “Qualora il contributo sia in tutto o in parte non spettante (…) l’Agenzia delle entrate recupera il contributo non spettante, irrogando le sanzioni in misura corrispondente a quelle previste dall’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471 (…)”, nonché i relativi interessi. Inoltre, il comma 14 prevede che “Nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante si applica l'articolo 316-ter del codice penale”.

Vediamo, quindi, nel dettaglio quali sono le sanzioni potenzialmente applicabili.

Sanzioni amministrative

Qualora, per qualsivoglia motivazione, il contributo risulti non spettante in tutto o in parte a seguito della constatazione dei verificatori verrà seguita, ai fin del recupero delle somme, la disciplina vigente per i crediti di imposta. Pertanto, verrà emesso un atto di recupero da notificare, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello della indebita percezione del contributo (nella specie, entro il 31 dicembre 2028 per i contributi percepiti nel 2020, o il 2029 per i contributi percepiti nel 2021). Si applica, poi, la sanzione amministrativa dal 100 al 200% delle somme indebitamente percepite e in nessun caso è possibile la definizione agevolata delle sanzioni mediante il pagamento di un terzo di quanto irrogato. Relativamente a eventuali controversie saranno le commissioni tributarie a decidere, nonostante in alcuni casi si potrebbero trattare questioni estranee alla normativa tributaria (ad esempio, recuperi dei contributi per mancato superamento verifica antimafia).

Sanzioni penali

Nei casi di percezione del contributo in tutto o in parte non spettante, si applica anche l’articolo 316-ter del Codice penale, che disciplina il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Tale fattispecie prevede che, salvo che il fatto costituisca truffa nelle erogazioni pubbliche (articolo 640-bis del Codice penale), chiunque, mediante utilizzo o presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o con l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, o altre erogazioni comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato o da altri enti pubblici, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Qualora la somma indebitamente percepita sia pari o inferiore ad euro 3.999,96, la violazione non costituisce più reato e si applica la sanzione amministrativa da 5.164 a 25.822 euro che non può comunque superare il triplo del beneficio conseguito (articolo 316-ter, comma 2, c.p.).

Sul punto, l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria:

a) ammette la doppia sanzione (penale e tributaria) per le ipotesi di indebita percezione oltre i 3.999,96 euro;

b) applica la sola sanzione tributaria (con esclusione del cumulo con la sanzione pecuniaria prevista dal ripetuto articolo 316-ter, comma 2) in caso di percezioni inferiori ai 3.999,96 euro.

Ne deriva, quindi, che per i contributi fino a 3.999,96 euro è prevista l’applicazione della sola sanzione tributaria dal 100% al 200% della somma indebitamente percepita. Per i contributi oltre i 3.999,96 euro, si avrà invece l’applicazione della doppia sanzione, penale e tributaria.

Sanzioni penali per l’ente ex D.Lgs. 231/2001

Nel caso di indebita percezione di un contributo da parte di un ente (società, enti pubblici, privati, etc.) potrebbe scattare anche la contestazione ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, che disciplina la responsabilità “amministrativa” dell’ente. Infatti, in base all’articolo 24 del decreto 231, nel caso di commissione del predetto reato da parte di un vertice dell’azienda o di un soggetto sottoposto alla vigilanza dei vertici stessi, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, si applica alla persona giuridica la sanzione pecuniaria fino a 500 quote (concretamente da un minimo di 129.000 a un massimo di 774.500 euro). Resta ferma, ovviamente, la possibilità di opporre l’applicazione in azienda di modelli di organizzazione, gestione e controllo e degli altri accorgimenti previsti dal predetto D.Lgs. 231/2001 - quali ad esempio l’istituzione di un Organismo di vigilanza - con la conseguente possibilità di ottenere la non sanzionabilità della società. Ne deriva, quindi, che se l’indebita percezione del contributo si è avuta da parte di un ente e per un importo superiore ad euro 3.999,96, si potrebbe avere l’applicazione di una triplice sanzione: amministrativa, penale e da “231”.

Sanzioni accessorie

Oltre alle predette sanzioni, sono previste poi delle sanzioni c.d. accessorie. In particolare, l’articolo 32-quater del Codice penale prevede l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione nei confronti di chi viene condannato per il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, commesso in danno o a vantaggio di un’attività imprenditoriale o comunque in relazione ad essa. Per quanto riguarda la società, invece, trovano applicazione le seguenti misure interdittive: a) divieto di contrattare con la Pa, salvo che per ottenere prestazioni di pubblico servizio; b) esclusione da agevolazioni, contributi ecc. ed eventuale revoca di quelli già concessi; c) divieto di pubblicizzare beni o servizi. Relativamente alla società è sempre disposta la confisca (diretta o per equivalente) e dunque il preventivo sequestro del profitto del reato ad eccezione per la parte restituita al danneggiato.

Restituzione del contributo

Il soggetto che ha ottenuto il contributo, totalmente o parzialmente, non spettante, anche a seguito di presentazione di istanza di rinuncia, ha la possibilità di regolarizzare l’indebita percezione, attraverso la restituzione spontanea del contributo, dei relativi interessi e versando le relative sanzioni mediante applicazione delle riduzioni del ravvedimento operoso (articolo 13 del decreto legislativo n. 472/1997). Il versamento delle somme deve essere esclusivamente eseguito attraverso il modello F24, senza possibilità di compensazione, utilizzando i codici tributo istituiti con risoluzione n. 37 del 26 giugno 2020.


[1] https://www.informazionefiscale.it/IMG/pdf/risposta_472_12.07.2021.pdf


Questi ed altri temi sono affrontati nel Master in Diritto Tributario e Contenzioso.

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