L’esportazione dei beni a duplice uso

A cura di C. Giarratano e G. Zanchetta (partecipanti dell'Executive Master in Giurista d'Impresa)


Un argomento di cui si parla poco ma di grande rilevanza ed attualità è senz’altro quello relativo all’esportazione dei beni a duplice uso (o “dual use”).

Il regolamento CE n. 428/09 li definisce come “i prodotti, inclusi il software e le tecnologie, che possono avere un utilizzo sia civile sia militare; essi comprendono tutti i beni che possono avere sia un utilizzo non esplosivo, sia un qualche impiego nella fabbricazione di armi nucleari o di altri congegni esplosivi nucleari” (art. 2, n. 1 Regolamento). Sebbene la definizione possa far pensare a beni non comuni, in realtà, anche un solvente chimico per lavare i piatti, un carburatore od un semplicissimo bullone possono essere considerati dual use. Per capire se un prodotto è dual use occorre valutare la destinazione d'uso del bene oltre che i requisiti e le caratteristiche tecniche costruttive o di progettazione individuate dalla normativa.

L’esportazione di tali beni all’esterno dell’Unione Europea è soggetta ad un regime autorizzativo, in quanto ciò potrebbe contribuire alla proliferazione delle armi di distruzione di massa, pertanto il mondo delle imprese deve necessariamente porre una scrupolosa attenzione sul tema, sia per contribuire al mantenimento della sicurezza internazionale, sia per non rischiare di incorrere in gravi conseguenze penali.

Ad ulteriore dimostrazione della non marginalità del tema, il sito internet dell’Unione Europea ci fornisce il dato relativo al volume delle esportazioni controllate a duplice uso, il quale ha raggiunto gli 85 miliardi di euro nel 2017.

Nonostante quanto appena detto, soprattutto le PMI italiane sembra non prestino particolare attenzione al tema.

La normativa di riferimento a livello europeo è quella del Regolamento n. 428/2009 che istituisce un regime comunitario di controllo delle esportazioni, del trasferimento, dell’intermediazione e del transito di prodotti a duplice uso. I beni sottoposti ad autorizzazione sono elencati nell’allegato I del medesimo Regolamento, il quale viene aggiornato ogni anno. Tuttavia potrebbero essere soggette a regime autorizzativo anche le esportazioni di beni non ricompresi nella lista di cui all’allegato I.

Ciò può accadere qualora le autorità preposte al controllo sulle esportazioni di uno Stato membro abbiano motivo di ritenere che tali beni vengano impiegati in connessione con un programma di armamenti biologici, chimici, nucleari o di missili balistici, o per un uso militare in paesi soggetti a un embargo sugli armamenti (c.d. clausola catch all – art. 4 regolamento). All’uopo, il regolamento richiede una collaborazione attiva alle imprese, le quali dovranno segnalare alle autorità nazionali eventuali circostanze che possano far sospettare un utilizzo improprio del bene oggetto di esportazione.

Oltre a ciò, è bene tenere presente che i paesi dell’UE potranno addirittura vietare l’esportazione di un determinato bene dual use per motivi di sicurezza pubblica o di rispetto dei diritti umani (art. 8 Regolamento).

Dunque, a ben vedere, l’esportazione di questi beni verso paesi extra comunitari comporta rischi che devono essere attentamente valutati.

A complicare ulteriormente il quadro, vi è il fatto che ogni bene a duplice uso soggetto ad autorizzazione per l’esportazione presenta un differente procedimento autorizzativo ed ognuno di questi richiede requisiti diversi.

Per talune specifiche operazioni di esportazione, il regolamento istituisce un’autorizzazione generale dell’Unione Europea, mentre per tutte le altre operazioni non specificatamente previste, l’autorizzazione è di competenza degli Stati membri ove è stabilito l’esportatore.

 

Le autorizzazioni comunitarie sono di sei tipologie differenti (identificati con le seguenti sigle EU001, EU002 etc). Qualche esempio può essere utile a far chiarezza. Coloro che intendono esportare un qualsiasi bene dual use verso Australia, Canada, Giappone, Norvegia, Nuova Zelanda, Svizzera, Liechtenstein, sono soggetti al regime autorizzativo denominato EU001. Diversamente l’impresa che intenda esportare sostanze chimiche in un qualunque Stato extra comunitario è soggetta al regime EU006, il quale prevede regole più restrittive.

Il Regolamento prevede che ogni Stato debba designare un’autorità competente sul controllo delle esportazioni e lascia agli stessi paesi ampi margini di autonomia in relazione alla scelta dei regimi autorizzativi. Prevede inoltre che ogni singolo paese possa vietare a singoli soggetti esportatori di ricorrere alle autorizzazioni europee “qualora vi sia un ragionevole sospetto circa la sua capacità di rispettare tale autorizzazione o una disposizione della normativa in materia di controllo delle esportazioni” (art. 9, comma 2 Regolamento).

Per quanto riguarda l’Italia, l’atto legislativo di riferimento è il D.Lgs. n. 96/2003, il quale indica come autorità competente in tema di controllo sulle esportazioni il Ministero dello sviluppo economico. Il Decreto Legislativo prevede, anch’esso, differenti tipologie di autorizzazioni in base al tipo di operazione. È inoltre importante prestare attenzione all’articolo 9, che specifica in quali casi è necessaria, anche per i beni duali non ricompresi nell’allegato I del Regolamento CE, un’autorizzazione all’esportazione.

Il controllo sulle esportazioni non avviene solamente sulla base della destinazione d’uso finale del bene (end use) ma anche sull’utilizzatore finale (end user). In particolare rileva lo Stato di destinazione del bene. Infatti vi sono paesi che sono stati colpiti da provvedimenti restrittivi quali ad esempio Russia, Libia ed Iran. Addirittura nei confronti del paese persiano era stato emesso un provvedimento di embargo, che è stato però recentemente revocato (gennaio 2016),  dunque il commercio con l’Iran è tornato sostanzialmente libero, seppure permanga il divieto per determinate operazioni commerciali e sia necessaria l’autorizzazione per altre. Le limitazioni soggettive possono colpire, oltre che gli Stati, anche singoli soggetti o singole imprese, le quali vengono inserite in black lists continuamente aggiornate. Sempre in merito al controllo sull’utilizzatore finale, è bene precisare che l’impresa esportatrice deve verificare che il cliente sia realmente il destinatario finale della merce e non sia un semplice intermediario di un soggetto non autorizzato a ricevere il bene.

Come anticipato, le sanzioni per coloro che non si attengono alla normativa, sono pesanti. L’articolo 16 del D.Lgs. n. 96/03 punisce chiunque esporti beni a duplice uso senza la prescritta autorizzazione ovvero con autorizzazione ottenuta fornendo dichiarazioni o documentazione false, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da € 25.000 ad € 250.000.
Per concludere, si può affermare che l’esportazione di beni dual use soprattutto verso aree geografiche ove il rischio della proliferazione di armi e congegni nucleari è alto, comporta sicuramente dei grossi rischi, oltre che dal punto di vista legale, anche dal punto di vista pratico ed organizzativo. Pertanto un’impresa diligente deve approntare una compliance aziendale all’altezza della sfida ed un attento e continuo monitoraggio della normativa e della situazione internazionale. Di contro, l’aspetto positivo di operare nel commercio di beni dual use, soprattutto in aree ad alta criticità, è sicuramente quello della concorrenza meno elevata.

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>> L'articolo è stato redatto a cura di Carlo Andrea Giarratano, partecipante all'Executive Master in Avvocato d'affari Giulia Zanchetta, partecipante all'Executive Master in Giurista d'Impresa.

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