Il pegno come uno strumento di tutela a uso del creditore

La natura della quota di società di persone e la sua assoggettabilità al pegno

L’art. 2784 cod. civ. delinea il pegno come uno strumento di tutela a uso del creditore, costituibile su beni mobili, crediti e diritti aventi per oggetto beni mobili. Generalmente, il pegno, si costituisce mediante lo spossessamento del bene, nel caso di bene mobile, o del documento rappresentativo del credito, nel caso di crediti, operato tramite la consegna che di questi il debitore fa al creditore, oppure con la consegna a un terzo designato dalle parti. Il pegno è un diritto reale di garanzia che attribuisce al suo titolare il potere di alienare il bene che ne forma oggetto e di soddisfarsi sul ricavato della vendita con preferenza rispetto ad altri creditori, oppure di ottenere l’assegnazione del bene stesso in luogo del pagamento del credito garantito. Inoltre la disciplina del pegno prevede che se è data in pegno una cosa fruttifera, il creditore, salvo patto contrario, ha la possibilità di fare suoi i frutti, imputandoli prima alle spese e agli interessi e poi al capitale.

Il legislatore, tuttavia, non prende direttamente in esame l’ipotesi del pegno su quote di società di persone ma solo del pegno su azioni (art. 2352 c.c.) e su quote di s.r.l. ( 2471-bis c.c.). La dottrina anteriore al codice del 1942 aveva escluso aprioristicamente l’ammissibilità del pegno di quota di società di persone, proprio perché questa non veniva fatta rientrare nella categoria dei beni mobili o universalità di mobili, né in quella dei crediti e altri diritti aventi ad oggetto beni mobili[1]. Negli anni seguenti all’approvazione del nuovo codice si è assistito in Dottrina ad una maggior apertura verso l’applicazione dell’istituto del pegno anche alle società di persone[2] che ad oggi, con le cautele ed eccezioni che verranno descritte in seguito, appare unanimemente ammesso se pur in base a variegate ricostruzioni teoriche.

Alla base di tali differenze vi è ovviamente il problema preliminare riguardo la natura della società di persone che in Dottrina si sono registrate ed ancora si registrano. Particolare seguito ha avuto la teoria che individua nella quota di s.n.c. un quid attributivo del c.d. status socii[3]. Il socio, acquistando tale status, diventa titolare di una pluralità di diritti, obblighi e doveri che si accompagnano inscindibilmente all’acquisto della quota stessa. Tale ricostruzione, tuttavia, non permette di elevare in automatico tale situazione complessa di diritti/doveri ad autonomo bene giuridico. Taluno, al contrario, ha in passato proposto di interpretare in senso estensivo il principio, a suo tempo, statuito dalla Corte di Cassazione sulla quota di s.r.l. quale bene immateriale[4]; ma se pur suggestiva, tale ipotesi, si scontrava inevitabilmente con due insormontabili problemi, ovvero:

a) l’impossibilità di configurare nelle società di persone il momento dell’iscrizione nel libro soci;

b) la sostanziale differenza tra il carattere intimistico e personalistico che caratterizza le quote di società di persone rispetto al carattere fluido e maggiormente circolatorio delle quote di società di capitali[5].

In senso negativo rispetto all’identificazione della quota di società di persone va poi ricordata una ulteriore sentenza della Corte di Cassazione secondo cui la quota di società di persone “non rappresenta un bene a sé stante, suscettibile di formare oggetto di diritto e del quale si possa disporre come qualsiasi altro bene mobile e suscettibile perciò di proprietà e possesso”. Tale impostazione porta a considerare la società come una comunione di beni e di conseguenza la partecipazione del socio viene assimilata alla partecipazione del comunista alla gestione dei beni sociali. Secondo la Giurisprudenza più recente, invece, la quota di società di persone può formare oggetto di diritti si sensi dell’art. 810 c.c., e rientrerebbe nella categoria residuale dei beni mobili immateriali di cui all’art. 812, III comma, c.c.[6] Si può, in conclusione, osservare che, così come la quota sociale è alienabile, allo stesso modo essa può diventare oggetto di atti di disposizione “minori”, quali la costituzione di diritti reali minori poichè la partecipazione in società di persone è considerata res mobile[7].

Di recente, la Cassazione ha ribadito che le quote sociali, sia delle società di capitali che delle società di persone, rappresentano posizioni contrattuali obiettivate, suscettibili, come tali, di essere negoziate poichè dotate di un autonomo valore di scambio che consente di qualificarle come beni giuridici.[8] Nonostante tali discussioni di ordine classificatorio, tuttavia, indubbia è l’idoneità delle quote a essere oggetto di atti dispositivi: vendite, donazioni, permute, e ciò a prescindere dal fatto che le si voglia inquadrare o meno come beni mobili, in quanto si prestano ad essere oggetto seppur mediato di contratto. Per tale ragione il pegno, e allo stesso modo l’usufrutto, su quota di società di persone sono generalmente ammessi da Dottrina e Giurisprudenza.[9]

Modalità di costituzione del pegno

Assodata l’astratta configurabilità del pegno su quote di società di persone assume maggiore importanza il problema inerente la modalità con cui tale pegno vada costituito. In dottrina sono ravvisabili due principali correnti di pensiero.

  1. Una prima teoria, sostenuta anche dalla Giurisprudenza di merito[10], partendo dal presupposto che le quote di s.n.c. (e società di persone in genere) non sono un mero diritto di credito ma un complesso di diritti ed obblighi che, non incorporati in un documento circolano con le modalità previste dall’art. 1406 c.c., sostiene che queste sarebbero suscettibili di pegno nelle forme dell’art. 2806 c.c.[11] Ciò significa che il pegno verrebbe a costituirsi nelle medesime forme previste per il trasferimento della quota ovvero previo il consenso di tutti i soci o con le maggioranze eventualmente previste nei patti sociali. La responsabilità illimitata dei soci di s.n.c. e dei soci accomandatari di s.a.s., unita al carattere intimistico e personalistico di tali modelli societari, impongono infatti - in virtù del disposto degli artt. 2315, 2293 e 2252 - l’assoluta unanimità dei consensi deli altri soci, salvo il caso in cui non siano stati gli stessi soci, in sede di costituzione, a prevedere maggioranze specifiche in casi simili. Al contrario, nel caso in cui il pegno dovesse essere costituito sulla quota di un socio accomandante, sarebbe sufficiente il consenso dei soci che rappresentano la maggioranza del capitale[12], visto il disposto dell’art. 2322 II comma c.c.
  2. Una seconda teoria ritiene, invece, sufficiente la costituzione del pegno mediante atto scritto con notifica o accettazione del legale rappresentante della società in applicazione dell’art. 2800 c.c., assimilando il pegno alla quota rispetto al pegno di credito.[13] Tale teoria, tuttavia, presta il fianco all’obiezione che in tali casi si permetterebbe l’ingresso all’interno della società a terzi estranei senza il consenso dei soci, sia esso previsto nello statuto che prestato in occasione della costituzione del pegno stesso.

Ad avviso dello scrivente tale ultima tesi non è sostenibile proprio in ragione del carattere tipico delle società di persone e dell’insieme delle norme che le disciplinano. Il pegno sulla quota sarà dunque possibile solo nel caso in cui ciò sia stato preventivamente previsto nello statuto, o mediante le maggioranze previste a tal fine dallo statuto o, in caso di assenza di una simile previsione, mediante consenso unanime di tutti i soci.

Diritti del creditore pignoratizio

Per quanto riguarda la diversa questione dell’esercizio dei diritti sociali andrà distinta l’ipotesi in cui vi sia un dettagliato accordo tra tutte le parti (socio debitore, creditore pignoratizio e altri soci), con il quale vengano individuati con precisione i poteri spettanti al socio e al creditore pignoratizio, da quella in cui la costituzione in pegno della quota sia stata stipulata solamente con il consenso degli altri soci.

In questa ultima ipotesi si ritiene, in maniera quasi unanime in Dottrina,[14] che tra i diritti principali spettanti al creditore pignoratizio vi siano:

  • il diritto agli utili;
  • il potere di controllo sulla gestione e la verifica del rendiconto degli affari sociali;
  • il diritto sulla liquidazione della quota, per cui egli potrà soddisfarsi del credito per il quale si è dato origine al pegno.

Per quanto riguarda il primo punto ogni decisione volta a destinare al futuro la distribuzione degli utili dovrebbe ritenersi priva di efficacia, stante il trasferimento in capo al creditore pignoratizio di quel diritto a pretendere l’assegnazione degli utili che è principio peculiare e fondamentale delle società personali[15]. In merito, invece, ai poteri di controllo esercitabili dal creditore pignoratizio devono ritenersi applicabili le norme previste dagli artt. 2261 e ss. del c.c. inerenti il diritto di informazione e accesso agli atti del socio, applicabili anche al creditore pignoratizio. Per quanto attiene, infine, al diritto alla liquidazione della quota si ritiene che questo sia fondato sul principio statuito dall’art. 2803 c.c., che disciplina la riscossione del credito dato in pegno.

Maggiormente contestato è invece il diritto del creditore pignoratizio di partecipare attivamente alla vita sociale mediante l’esercizio del diritto di voto. Non può ritenersi applicabile tout court il principio previsto dal legislatore in tema di pegno su azioni (art. 2352 c.c.), secondo cui al creditore pignoratizio spetta il diritto di voto in assemblea. Come, giustamente, affermato dal F. GRADASSI “se si ammettesse l’esercizio del diritto di voto da parte del creditore pignoratizio si giungerebbe alla dissociazione fra direzione e rischio di impresa”, potendo tutt’al più sostenersi che il creditore pignoratizio possa partecipare a taluni atti di straordinaria amministrazione se potenzialmente pregiudizievoli della sua garanzia creditoria.

Pubblicità e iscrizione nel Registro delle Imprese

Va da ultimo valutato che ne sia del terzo acquirente di buona fede della quota oggetto di pegno e se il creditore pignoratizio possa opporre a questi la precedente costituzione del pegno in suo favore. Nel caso di un pegno su un bene mobile materiale il problema non si porrebbe in virtù dello spossessamento, allo stesso modo nel caso di un credito basato su un titolo idoneo alla materiale apprensione.

La risposta a tale quesito non può che dipendere dalla tipologia di regime pubblicitario applicabile. Una volta ammessa la costituzione del pegno su quote nelle forme dell’art. 2806 c.c., ovvero con il consenso di tutti i soci, ove non diversamente stabilito dal contratto sociale, trattandosi di una modificazione del contratto sociale[16], si conclude che tale modificazione non potrà che avvenire mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata da iscrivere nel Registro delle Imprese[17]. A ciò si aggiunga che col pegno si costituisce un diritto reale di garanzia sulla quota e che a nulla osterebbe una interpretazione estensiva della disciplina che consente l’iscrizione in Registro dell’usufrutto. A favore di tale teoria si pone chi ritiene la tassatività degli atti soggetti a trascrizione interpretabile non in base al nomen iuris ma agli effetti che questo pone in essere o è idoneo a porre in essere.

Dalla disposizione dell’art. 2300 c.c., il quale dispone che: “gli amministratori devono richiedere nel termine di trenta giorni all'ufficio del registro delle imprese l'iscrizione delle modificazioni dell'atto costitutivo e degli altri fatti relativi alla società, dei quali è obbligatoria l'iscrizione” infatti, deriverebbe l’obbligo di iscrivere nel Registro delle imprese anche “gli altri fatti relativi alla società” che incidono sugli elementi di cui all’art. 2295 c.c., i quali possono consistere in provvedimenti giurisdizionali, in atti unilaterali o, ancora, in meri fatti[18].

Altra Dottrina[19], invece, negando la possibilità che l’atto istitutivo del pegno determini una modifica del contratto sociale nega la possibilità di sua iscrizione. Tale teoria, tuttavia, si scontra con la possibilità che il debitore non adempia alla propria obbligazione creditoria determinando la necessità di vendita forzosa della quota ed un mutamento della compagine sociale. Ad avviso dello scrivente è corretta la prima interpretazione tesa a garantire ampia pubblicità a tutela dei terzi. Infatti, così come il consenso all’istituzione del pegno da parte della compagine sociale tutela i soci, non essendo per altro previsto un libro soci per tale categoria di società, così l’iscrizione nel Registro delle Imprese tutela i terzi di buona fede e garantisce il mantenimento di un elevato grado di certezza giuridica che, in assenza, verrebbe visibilmente meno. Non si ritiene di aderire alle teorie di coloro i quali ritengono iscrivibile solamente l’atto finale della procedura espropriativa, che da solo determinerebbe il mutamento della compagine sociale ed una, correlata, necessità pubblicitaria, poiché in tal modo sarebbero svilite le esigenze di tutela dei terzi.

Nell’ipotesi di iscrizione di pegno, pertanto, dovrebbe trovare applicazione l’art. 11, comma IV del D.P.R. 581/1995, secondo cui: “L'atto da iscrivere è depositato in originale, con sottoscrizione autenticata, se trattasi di scrittura privata non depositata presso un notaio. Negli altri casi è depositato in copia autentica. L'estratto è depositato in forma autentica ai sensi dell'art. 2718 del codice civile”.

In definitiva si può concludere affermando che la costituzione del pegno su di una quota di società di persone è effettivamente possibile a patto che tale evento giuridico non sia idoneo a determinare mutamenti del contratto sociale non autorizzati dagli altri soci. Sarà, pertanto, necessario acquisire il voto favorevole di tutti i soci o sarà necessario il voto favorevole della maggioranza dei soci prevista dalla Statuto. Da un punto di vista formale tale atto andrà redatto mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata soggetta poi all’obbligo di registrazione presso il Registro delle Imprese.


[1] G. VENEZIANI, Dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione, II, Torino, 1913, 454; F. FERRARA, Usufurutto dei crediti nel diritto civile italiano, in Scritti giuridici, II, Milono, 1954, 230

[2] A. Asquini, «Usufrutto di quote sociali e di azioni», in Riv. Dir. comm., 1947, I, pag. 12; G. Cottino, Diritto Commerciale in Commentario del codice civile a cura di Sialoja e Branca, Bologna, 1968

[3] V. DI SABATO, Manuale delle società, Napoli, 1989, 96

[4] Cass. Civ. sent. n. 7409 del 1986

[5] F. GRADASSI, Contratto e impresa, Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale, Padova, 1992, 38

[6] Cass. Civ., sent. n. 934/1997

[7] D BOGGIOLI A. RUOTOLO, Op. Cit., 2

[8] Cass. Civ. Sent. n. 15605/2002;

[9] M. GHIDINI, Società personali, Padova, 1972; A GRAZIANI, Usufrutto di quota di società in nome collettivo, in Dir. E Giur. 1945, 104 e ss.

[10] Trib. Di Trento, sent. del 14.01.1997.

[11] BULLO, Il pegno nei rapporti commerciali, Milano, 154 e ss. L. ZAMPAGLIONE, L’iscrizione nel registro delle imprese del pegno su quote di società di persone, Riv. Notariato, n. 2/2007, GRADASSI, Op.Cit., 1131

[12] V. PROPERSI – ROSSI, Le Società di Persone, Il Sole 24 Ore, 174

[13] M. GHIDINI, Op.Cit., 684 e ss.

[14] A. SALONNA, Pegno su quote di s.a.s. aspetti civilistici e pubblicitari, In Diritto e Pratica delle Società, Milano, 2010, 74, L.ZAMPAGLIONE, Op.Cit., 6,

[15] F. GRADASSI, Op.Cit. 1135.

[16] BUONOCORE, CASTELLANO, DI CHIO, Società di persone, Milano, 1978.

[17] ZAMPAGLIONE, Op. Cit., 187.

[18] BOGGIALI, RUOTOLO, Op cit., 7.

[19] GRADASSI, Op.cit., 1128.


A cura di R. Tofani (partecipante del Master in Diritto Tributario e Contenzioso

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