A cura di F. Mastropaolo e A. Valisa (partecipanti in area Legale)

La disciplina del licenziamento ha subìto nel corso degli anni non poche riforme e trasformazioni. Il licenziamento rappresenta una delle cause di estinzione del rapporto di lavoro. Con il termine licenziamento, in particolare, si fa riferimento all'atto con cui il datore di lavoro recede unilateralmente dal contratto di lavoro con un proprio dipendente (situazione opposta alle dimissioni quali,quest’ultime, fenomeno di recesso da parte del lavoratore). Tale istituto giuridico è assoggettato a numerosi limiti ispirati ad esigenze di tutela della parte debole del rapporto, ovverosia il lavoratore, garantendo, così, la stabilità del posto di lavoro.

La disciplina del licenziamento è trattata all’interno del Codice Civile agli articoli 2118 e 2119 che rappresentano i capisaldi della materia oltre alla Legge 604/1966. La normativa del licenziamento prevista dal Codice Civile prevedeva originariamente, come regola generale, la libera recedibilità dal rapporto di lavoro sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. L'unica forma di tutela per le parti era rappresentata dal preavviso, peraltro sostituibile con un'apposita indennità economica. Un'eccezione, però, era rappresentata, e lo è tutt’oggi, dal licenziamento nel rapporto a tempo determinato. Con riferimento ad esso, la disciplina è contenuta nel Codice Civile nell’art 2119 e non presenta alcuna distinzione tra licenziamento e dimissioni. Infatti, ad entrambe le parti, lavoratore e datore, non è consentito recedere dal rapporto prima del termine stabilito, a meno che si verifichi giusta causa. Diverso discorso, invece, va fatto con riferimento al rapporto a tempo indeterminato: numerosi interventi legislativi negli anni, infatti, hanno limitato in maniera netta l'area della libera recedibilità, vincolando il recesso datoriale al rispetto di stringenti limiti sostanziali e formali. I requisiti sostanziali sono individuati nella causa giustificatrice che è posta alla base del licenziamento.

Dall’analisi dei requisiti sostanziali si possono classificare due tipologie di licenziamento:

  • licenziamento economico (per giustificato motivo oggettivo);
  • licenziamento disciplinare (per giusta causa e giustificato motivo soggettivo). 

Con giusta causa si intende qualsiasi fatto di oggettiva gravità riferibile tanto alla sfera contrattuale quanto a quella extracontrattuale che impedisca la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro. Proprio l'impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro fa sì che il licenziamento per giusta causa sia svincolato dall'obbligo di preavviso. Con giustificato motivo oggettivo il riferimento è a fatti inerenti l’attività produttiva e la riorganizzazione del lavoro.  Infine, con giustificato motivo soggettivo si intende la cessazione del rapporto per inadempimenti degli obblighi contrattuali da parte del prestatore di lavoro. Come sopra anticipato, oltre ad i requisiti sostanziali, è necessario che vengano rispettati anche i requisiti formali. Questi riguardano essenzialmente la forma e il contenuto dell'atto di recesso. In particolare, come sancito dall'articolo 2 della legge numero 604/1966, il datore di lavoro, sia esso imprenditore o non imprenditore, deve innanzitutto comunicare il licenziamento al prestatore di lavoro per iscritto e la comunicazione deve inoltre contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato. In mancanza di tali requisiti, il recesso datoriale è inefficace. È bene precisare come in tutti questi casi l’onere della prova ricada sul datore di lavoro il quale deve dimostrare la sussistenza di tali condizioni affinchè il licenziamento sia valido. Infatti, nel caso di violazione dei requisiti formali e sostanziali, il licenziamento risulterebbe invalido. 

Come precedentemente anticipato vaste sono le riforme concernenti l’evoluzione legislativa dell’istituto giuridico del licenziamento. Nell’iter che ripercorre tutta la normativa è fondamentale ricordare dapprima la riforma Fornero nel 2012 (L. 92/2012), per proseguire poi con la riforma Renzi “Jobs Act” del 2015 (D.lgs. 23/2015), per giungere poi al 2018 con il Decreto Dignità (D.L. 87/2018). Attualmente a causa della pandemia da Covid-19 il licenziamento ha subìto delle ulteriori deroghe e limitazioni apportate dapprima dal decreto “Cura Italia” e successivamente dal decreto “Rilancio”, i quali hanno disposto il blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. A tale novità si cercherà di fornire risposte esaustive di seguito, ma prima è bene iniziare con un’analisi sulla normativa straordinaria al fine di comprendere la ratio di tale blocco e al fine quindi di individuare la volontà del legislatore. Il 31 Gennaio 2020 l’Italia ha dichiarato lo stato di emergenza a causa della rapida diffusione del Coronavirus, minaccia invisibile che ha, e sta continuando a provocare gravi conseguenze sanitarie ed economiche. Tuttora, un anno dopo, l’Italia si trova ancora in questa tragica situazione. Tra le tante novità introdotte dal legislatore uno dei primissimi obiettivi postosi dallo stesso è stato quello di comprendere come preservare il posto di lavoro di un ingente numero di lavoratori salvaguardando in aggiunta il ciclo vitale e la continuità operativa delle imprese. Tale previsione normativa, con la finalità di sostegno per i lavoratori, è stata originariamente introdotta con il Decreto Cura Italia (D.L. n. 18/2020) il quale all’articolo 46 prevedeva che il datore di lavoro non potesse recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo per un periodo di sessanta giorni intendendo applicabile la disciplina sia al licenziamento collettivo sia al licenziamento individuale.

L’articolo 46 viene rubricato “Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti” e dispone che: “1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e' precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020.Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro,indipendentemente dal numero dei dipendenti, non puo' recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n.604.”
Il decreto Rilancio (D.lgs. 34/2020) ha successivamente modificato tale disposizione dal punto di vista temporale ampliando il termine a 5 mesi. Modifiche e proroghe sono state apportate inoltre con il Decreto n.104 Agosto e con il Decreto Ristori (D.lgs.137/2020). Da ultimo la Nuova Legge di Bilancio 2021 (Legge 178/2020) ha prorogato ulteriormente i termini fino al 31 Marzo 2021. Notevoli sono state le proroghe che hanno portato tuttora alla vigenza della normativa straordinaria. 

Qual è la ratio sottostante tale straordinaria previsione normativa? Al fine di fronteggiare la situazione emergenziale pandemica il legislatore ha optato per il blocco dei licenziamenti. Tale blocco evita che un ingente numero di lavoratori possa perdere il proprio posto di lavoro a causa della pandemia che ha costretto un gran numero di imprese a ridurre e/o interrompere la propria attività produttiva. Dunque, il datore di lavoro non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo, ossia per ragioni economiche. Al contempo vengono però concessi al datore di lavoro la possibilità di utilizzare ammortizzatori sociali, quali ad esempio cassa integrazione con causale Covid-19. L’obiettivo, quindi, è di salvaguardare il posto di lavoro dei lavoratori nonostante la riduzione di attività delle imprese.  Oltre al blocco dei licenziamenti, è stato disposto l’utilizzo di ammortizzatori sociali Covid-19 quali ad esempio accordo aziendale di risoluzione incentivata con accesso alla Naspi che, in condizioni ordinarie, può essere richiesta solo nel caso di cessazione involontaria del rapporto di lavoro e la cassa integrazione in deroga “causale Covid-19”.

È bene però precisare che non tutti i licenziamenti sono caratterizzati da tale blocco. Vi sono delle categorie di licenziamenti che restano escluse dal blocco e dunque nelle situazioni che si riportano qui di seguito è ammessa la risoluzione del rapporto di lavoro. Tali situazioni sono: 

  • cessazione definitiva dell’attività produttiva;
  • fallimento;
  • risoluzioni per accordo collettivo nazionale.

Sono comunque consentiti licenziamenti per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo in quanto rientranti nella categoria di licenziamento disciplinare, restando applicabile il blocco quindi solo ai licenziamenti con causale oggettiva. Nel caso di violazione del blocco del licenziamento ovviamente il lavoratore dovrà essere reintegrato nel posto di lavoro. Ma degli interrogativi rimangono: cosa accadrà dopo il 31 Marzo 2021? Scatteranno altre proroghe?
Il governo si trova di fronte a due possibilità. La prima possibilità sarebbe quella di eliminare tale blocco ma in maniera graduale applicandolo, dunque, solo ad alcuni settori o solo per determinate aziende in base al criterio della loro dimensione e, certamente, in base al criterio della gravità o meno della situazione in cui versa la singola impresa. La seconda possibilità, quella per cui al momento il nuovo Governo Draghi sembra propendere, è di prorogare il blocco dei licenziamenti fino al 30 giugno 2021. Nell’attesa di un nuovo provvedimento a riguardo, l’auspicio è che la ripresa dell’economia sia quanto più rapida possibile e non a discapito di aziende e lavoratori.


Bibliografia e Sitografia

  • Camera Roberto, Divieto di licenziamento fino al 31 marzo 2021: in quali casi e con quali deroghe, in ipsoa.it, (https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/12/30/divieto-licenziamento-31-marzo-2021-casi-deroghe#:~:text=La%20legge%20di%20Bilancio%202021,e%20la%20reintegra%20del%20lavoratore), 2020. 
  • Massi Eufranio, Accordo sindacale per “superare” il divieto di licenziamento: vantaggi e costi per le aziende, (https://www.ipsoa.it/documents/lavoro-e-previdenza/amministrazione-del-personale/quotidiano/2020/09/11/accordo-sindacale-superare-divieto-licenziamento-vantaggi-costi-aziende), 2020. 
  • Melis Valentina, Stop ai licenziamenti: 45 giorni per decidere, in ilsole24ore.com, (https://www.ilsole24ore.com/art/stop-licenziamenti-45-giorni-decidere-ADoqTZJB), 2021. 
  • Riva Severino, Compendio di diritto del lavoro, Napoli: Edizioni Giuridiche Simone, 2016. 

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Business Law


 

Ultima modifica il 13/04/2021

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