A cura di F. Mastropaolo e A. Valisa (partecipanti in area Legale

L’istituto giuridico del contratto assume una diversa accezione a seconda dell’ordinamento giuridico in cui si colloca. Due sono i modelli di ordinamento giuridico: civil law e common law. Tali modelli presentano divergenze fra loro sin dalla fase della loro formazione. Il civil law è un modello che ha al centro il momento legale ossia un diritto generale e astratto che il giudice applica nel decidere le sentenze. Diversamente, il common law è la massima affermazione del momento giurisprudenziale. In quest’ultimo sistema ricopre un ruolo centrale il giudice e il diritto da questo creato. La fonte del diritto nel common law è rappresentata dai precedenti giurisprudenziali. È bene precisare però che il common law non è completamente slegato dall’aspetto legale infatti, l’attività legislativa non è assente e si rapporta all’attività giurisprudenziale osservando un principio di sussidiarietà. Inoltre, sebbene le decisioni del giudice si basino e si vincolino a precedenti giurisprudenziali, tali decisioni sono assunte con la ratio decidendi che si colloca a fondamento della soluzione del caso.

Tornando alla figura del contratto, si osserva come tale istituto venga disciplinato diversamente nei due modelli di ordinamento esposti.Quando si cerca una definizione di contratto in common law, si sconta fin dall’inizio uno scarto rispetto all’approccio continentale. L’ordinamento giuridico italiano, quale sistema di civil law, fornisce nell’articolo 1321 del codice civile una nozione precisa di quello che è il contratto. Il common law inglese non fornisce una nozione di contratto in quanto diffidente verso una possibile concettualizzazione e generalizzazione di contratto. Ciò che si può evidenziare in ambito di common law è la distinzione fra deed e simple contracts:

  • il deed è una promessa scritta o un insieme di promesse valide per la loro particolare forma.
  • il simple contract è invece un contratto per il quale sono previsti dei requisiti, sul modello del nostro art. 1325 c.c.

Un’ulteriore differenza che si può incontrare nel diritto anglosassone è quella tra bilateral contracts (promessa scambiata con un’altra promessa) e unilateral contracts (promessa scambiata con un atto od omissione della controparte). Notata questa prima differenza rispetto al concetto formale di contratto, prima di entrare nel vivo dell’istituto, è bene sottolineare come anche i principi che sottendono il contratto trovano delle differenze nel caso in cui si parli di common law o civil law. Come ben noto, i principi che reggono il contratto nel diritto italiano sono differenti rispetto a quelli di common law. I contratti seguono una serie di principi etico-giuridici generali, tra cui pacta sunt servanda. Tuttavia, questo principio conosce un limite: Rebus sic stantibus. Occorre cioè che le circostanze si mantengano compatibili con quelle che hanno fornito il contesto in cui il patto è stato stretto. Tale aspetto sopra presentato non trova medesima applicazione nella common law. Infatti, in tale sistema vigono altri principi quali: freedom of contract, sanctity of contract e strict liability. Con l’espressione freedom of contract si intende la libertà del contratto, ossia la libertà delle parti di stipulare un contratto (made by the parties) senza che vi sia l’intervento del giudice (made by the courts). Di rilievo è il caso “Paradine vs Jane”, nel quale si evidenzia l’idea di freedom of contract e di strict liability (responsabilità assoluta da contratto).[1]

Un ulteriore principio fondamentale per la formazione del contratto nel sistema di civil law è la buona fede. La buona fede viene classificata quale clausola generale che viene in rilievo già nella fase delle trattative. Si intende dunque con buona fede oggettiva, quella norma di condotta disciplinata espressamente nell’articolo 1337 c.c.. Tale principio si concretizza anche nell’obbligo per le parti di informare e comportarsi correttamente già nella fase delle trattative. Tale principio non assume un ruolo rilevante nel sistema di common law, anzi lo diventa solo se le parti espressamente decidano di introdurlo. I giudici inglesi infatti sono molto scettici nei confronti della buona fede essenzialmente per due motivi:

  • il primo motivo riguarda una non conformità di tale principio con la libertà di iniziativa delle parti che devono essere completamente libere di negoziare senza alcuna limitazione dall’esterno;
  • il secondo motivo è la diffidenza verso una possibile concettualizzazione di tale principio perché troppo incerto ed equivocabile.

Nonostante nel common law, nella fase delle trattative, non sia presente un principio di buona fede e un obbligo di informare le parti, vi sono comunque dei limiti che queste devono rispettare. Tali limiti sono: non dichiarare il falso, non utilizzare violenza e non commettere frode. Ossia gli inglesi parlano propriamente di no misrepresentation dunque “non rilasciare false dichiarazioni”. È vero che non vi è un obbligo di informare, ma questo prevede che piuttosto che dichiarare il falso meglio tacere.

Entrando ora nella fase di formazione del contratto si può analizzare in primis come l’elemento della proposta e della accettazione siano analoghi per entrambi i sistemi giuridici. Dunque, è fondamentale che vi sia un accordo tra le parti che le vincoli. Per quanto concerne invece la revocabilità della proposta, sorgono delle divergenze. Nell’ordinamento giuridico italiano l’articolo 1328 c.c. prevede la revoca della proposta e all’articolo 1329 c.c. l’irrevocabilità della stessa nel caso di presunzione di un termine. Il diritto inglese invece prevede che la proposta sia sempre revocabile. La ragione di questa revocabilità si ritrova nel fatto che una proposta unilateralmente revocabile è vista come l’assunzione di un vincolo senza corrispettivo e quindi senza causa. Tale concetto è però relativizzato nel caso degli unilateral contracts. Infatti, nell’ipotesi degli unilateral contracts la proposta diventa irrevocabile nel momento in cui si realizza una change of position e quindi un affidamento nella controparte a seguito della proposta del proponente. Tale concetto si ricollega al principio dell’estoppel e alla detrimental reliance. Per quanto concerne l’elemento dell’oggetto deve essere lecito, possibile e determinabile quanto per il civil tanto per il common law. 

Proseguendo con la causa, l’ordinamento italiano la colloca come elemento essenziale disciplinandola tra i requisiti del contratto nell’articolo 1325 c.c. In parte diversa è la disciplina nel common law in cui gli inglesi parlano di consideration. La consideration è la ragione giustificatrice che vincola le parti. Due sono i pilastri della consideration[2]: da una parte vi è l’aspetto della sinallagmaticità e dall’altra la detrimental reliance correlata al concetto di affidamento prima trattato. Un caso tipico dell’affidamento è rappresentato dal caso “Carlill v. CarbolicSmoke Ball[3]. Infine, per quanto concerne l’elemento della forma, per il common law si può parlare di forma libera in quanto vige il principio, seppure ora temperato, della freedom of contract e il principio del made by the parties. Per l’ordinamento di civil law si può parlare di libertà con limiti imposti dalla legge. Ulteriori divergenze tra common law e civil law sono individuate nella figura dell’inadempimento. Per il diritto italiano vige il primato dell’adempimento in natura seguito poi, eventualmente, dal risarcimento del danno solo nel caso di impossibilità del primo; al contrario per il diritto britannico vige solo risarcimento del danno. Un’ultima distinzione può essere svolta in tema di sopravvenienze ed estinzione del contratto

Il codice civile italiano guarda alla prospettiva delle sopravvenienze, organizzando tre tutele fondamentali previste nella parte riguardante le risoluzioni del contratto che sono:

  1. la risoluzione per inadempimento;
  2. la risoluzione per impossibilità sopravvenuta;
  3. la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta.

In tutte queste situazioni l’evento sopravvenuto fa venir meno anche la responsabilità delle parti. Come precedentemente visto con il caso "Paradine vs Jane", gli inglesi ritenevano che le parti fossero vincolate al contratto anche in presenza di sopravvenienze a loro non imputabili. Uno sviluppo di tale disciplina per il common law si ha con la tecnica degli implied terms intesi come condizione implicita considerata all’interno del contratto che rileva un’impossibilità sopravvenuta. Concludendo, una sentenza che inverte il caso “Paradine vs Jane” è “Taylor v. Caldwell[4] nella quale il giudice applica quella che è la “Doctrine of Frustration”. Tale dottrina[5] prevede che vi possono essere dei casi in cui il contratto risulti frustrato oggettivamente nella sua funzione da eventi esterni che ne hanno mutato la sostanza e tali per cui non sono imputabili alle parti. È bene però osservare come la doctrine of frustration lasci senza tutela i casi in cui, per effetto di una circostanza sopravvenuta, una prestazione divenga molto più onerosa di quanto originariamente previsto.


[1] Caso Paradine vs Jane[1647] EWHC KB Jin URL=https://www.bailii.org/ew/cases/EWHC/KB/1647/J5.html. Si tratta di un caso di impossibilità sopravvenuta. Per la Common Law trattandosi di una sopravvenienza non prevista all’interno del contratto essa non poteva giustificare un mancato pagamento del contraente ma anzi, Jane, citato in causa per mancato pagamento del canone, dovette risarcire il danno nonostante la prestazione fosse divenuta impossibile per causa a lui non imputabile.

[2] P.S. Atiyah, An Introduction to the Law of Contract, Oxford: Clarendon Press, 5th Edition, 1995.

[3] Caso Carlill v. Carbolic Smoke Ball Co. [1892] EWCA Civ 1, in URL= https://www.bailii.org/cgi-bin/format.cgi?doc=/ew/cases/EWCA/Civ/1892/1.html&query=(carlill)+AND+(smoke)+AND+(ball). Si tratta di un caso che fa da precedente al detrimental reliance in quanto si è generato un affidamento determinato dalla change of position. 

[4] Caso Taylor v. Caldwell [1863] EWHC QB J1in URL = https://www.bailii.org/cgi-bin/format.cgi?doc=/ew/cases/EWHC/QB/1863/J1.html&query=(Taylor)+AND+(v.)+AND+(Caldwell)+AND+(.1863.)+AND+(EWHC)+AND+(QB)+AND+(J1). Si tratta di un caso che fa da precedente alla frustration. Tale frustration ha reso il contratto impossibile per le parti per causa a loro non imputabile.

[5] La “Doctrine of Frustration”contenuta nella Law Reform (Frustrated Contracts) Act 1943.

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Business Law.

Ultima modifica il 05/02/2021

Torna indietro