A cura di A. Micheletti (partecipante del Master in Risorse Umane)

Prima di addentrarsi in qualsiasi dibattito relativo a quanto in oggetto è opportuno definire cosa si intende con la nozione di “luogo di lavoro”. Una prima definizione può essere rintracciata nel Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, anche noto come Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, il quale, al Titolo II, rubricato “luoghi di lavoro”, esordisce con l’art. 62 in cui, al primo comma, si legge che con tale nozione si identificano quei “luoghi destinati ad ospitare posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda o dell’unità produttiva, nonché altro luogo di pertinenza dell’azienda o dell’unità produttiva accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro”. Detto in altri termini, il T.U. definisce tale luogo come quel contesto, nel complesso aziendale, nel quale viene svolta la prestazione lavorativa. Pertanto, da una prima lettura, sembrerebbe essere escluso il domicilio del lavoratore. Inoltre, va precisato che l’indicazione del luogo in cui deve eseguirsi tale prestazione dovrebbe rintracciarsi contrattualmente in modo esplicito. Quest’ultima affermazione è avvalorata dalla disciplina contenuta nell’art.1182 c.c, il quale, rubricato “luogo dell’adempimento” (dell’obbligazione), identifica alcuni parametri (in ordine di prevalenza) per individuare il preciso luogo in cui il debitore deve eseguire la prestazione, qualora le parti non vi abbiano provveduto convenzionalmente. Rispetto a tale norma va tuttavia specificato, e per quanto qui in oggetto non è utile addentrasi ulteriormente, che la dottrina e la giurisprudenza prevalente sono concordi nel ritenere che tale ultima norma non sia però interamente applicabile alla disciplina del rapporto di lavoro in ragione della sua specificità.

Senza addentrarsi ulteriormente in argomentazioni giuridiche, quello che risulta fondamentale avere ben a mente, e che emerge dalla combinazione delle norme citate, è che la prestazione di lavoro può essere eseguita non soltanto presso la sede/i dell’impresa ma anche in un luogo esterno alla stessa (luogo che però deve essere indicato dal datore di lavoro) e che si determina in funzione delle esigenze produttive. Volendo, e per una maggiore completezza argomentativa, anche l’art. 2094 c.c. nel definire il rapporto di lavoro subordinato fa riferimento al luogo di lavoro proprio nelle parole “collaborare nell’impresa”. Quanto detto, si può anche riassumere affermando che la definizione del luogo di lavoro è compito demandato unilateralmente al datore di lavoro, in quanto rientrante nel cosiddetto potere direttivo (per alcuni anche detto potere organizzativo) e che tale luogo può anche non coincidere con un solo ed unico spazio fisico di lavoro ma può anche doversi espletare in più sedi o addirittura all’interno di un territorio più o meno vasto ed indeterminato come proprio avviene con lo Smart working.

In generale, parlando di “luogo di lavoro” si va ad identificare uno spazio nel quale viene collocato il lavoratore ai fini dell’espletamento della propria mansione e, specie nei mesi più recenti connotati dall’emergenza sanitaria legata al diffondersi del Covid-19 non solo a livello nazionale ma anche a livello globale, il dibattito intorno allo Smart working è tornato di attualità, ma che cos’è lo Smart working o, per usare il termine italiano, il lavoro agile?

Una risposta esaustiva ce la dà l’Osservatorio Smart working del Politecnico di Milano il quale lo definisce come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alla persona di flessibilità ed autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”. Detto in altri termini, con la nozione di Smart working si identifica non solo un metodo alternativo di lavoro ma anche e soprattutto un nuovo modo di pensare al rapporto tra il dipendente e l’azienda. Va però detto, ed è utile chiarire fin da subito, che Smart working e Telelavoro, sebbene spesso siano intesi come sinonimi, sono, invece, due diversi approcci al modo di lavorare. Se il primo identifica il passaggio da un luogo di lavoro connotato dalla “presenza” e dal controllo gerarchico ad un contesto che si caratterizza per fiducia reciproca, delega di compiti, collaborazione, flessibilità e responsabilizzazione in termini di risultati, viceversa, il secondo (il Telelavoro) è una semplice traslazione del luogo di lavoro dall’ufficio aziendale al domicilio del lavoratore, laddove la prestazione resta invariata in termini di orario e modalità di svolgimento. Pertanto, se da un lato lo Smart working (o “lavoro agile”) identifica una modalità di lavoro caratterizzata da assenza di vincoli spazio-temporali, dall’altro lato, il telelavoro è semplicemente la traslazione del luogo di lavoro dal perimetro delle mura aziendali alle proprie mura domestiche.

Come sottolineato le differenze riguardano principalmente il luogo e l’orario di lavoro e il ricorso a tali modalità di lavoro, generalmente intese come “lavoro da remoto” vede le prime tracce agli inizi degli anni 2000 da parte di alcune multinazionali britanniche senza però avere alcun tratto normativo. Per avere una prima disciplina normativa bisognerà attendere il 2014 (sempre in riferimento all’esperienza del Regno Unito) o il 2016 in Italia con il cosiddetto “Decreto Madia”, dove si inizia a strutturare una disciplina più dettaglia del lavoro agile all’interno della Pubblica Amministrazione, in quanto si riteneva (e spesso, specie, nei mesi più recenti, è stato proprio così) che tale modalità di lavoro avrebbe contribuito, da un punto di vista organizzativo, a migliorare l’efficacia e l’efficienza nel conseguimento di risultati, grazie ad un approccio più flessibile, ad una maggiore collaborazione tra i soggetti coinvolti e ad una maggiore autonomia organizzativa.

Indipendentemente dal nome o dalla definizione, il lavoro da remoto si connota per l’impiego della tecnologia e il lavorare a distanza, ma soprattutto si caratterizza per l’essere un modo innovativo e per l’identificare un nuovo e diverso modo di organizzare il lavoro. Lo schema è così risultato fondamentale perché ha permesso di continuare a lavorare anche nei recenti mesi di lockdown, pur non essendo sempre applicabile come nel caso, ad esempio, di chi svolge un lavoro pratico-operativo (operai) o nel caso di quegli impiegati il cui ruolo implica uno stretto contatto con il cliente/pubblico (attività di c.d. front office). Nonostante ora ci troviamo in una fase di progressivo ritorno alla normalità, il lavoro da remoto sembra essere entrato nelle menti di tutti e sembra stia diventando una pratica sempre più diffusa.

A questo punto, la domanda da farsi è la seguente: ci sono solo aspetti positivi? La prestigiosa rivista Forbes sottolinea come il lavoro da remoto abbia riscosso un notevole successo, tanto che il 37% dei lavoratori intervistati sarebbe addirittura disposto ad accettare una riduzione del proprio stipendio pur di continuare a lavorare da remoto, mentre uno studio condotto dalla società americana Korn Ferry ha rivelato che solo un lavoratore su cinque vorrebbe tornare in ufficio. I lavoratori, pertanto, pare si siano adattati velocemente al “nuovo” modo di pensare all’organizzazione del lavoro soprattutto a fronte dei numerosi vantaggi riscontrati, tra cui il risparmio di tempo (normalmente calcolato per recarsi sul luogo di lavoro e, successivamente, fare rientro al proprio domicilio), la maggiore flessibilità oraria e, di conseguenza, il maggior tempo a disposizione per dedicarsi ai propri affetti. Anche se, in realtà, i più hanno confessato di prediligere il lavoro da remoto per la paura di essere contagiati. Tuttavia, sono stati evidenziati anche diversi aspetti negativi, uno su tutti quello del rischio si vedere offuscato il confine tra vita professionale e vita privata.

Per tirare le somme di quanto detto si qui, è evidente che il tornare in ufficio rappresenta l’inizio del superamento dell’emergenza sanitaria sul presupposto che però cambi il tradizionale modo di pensare all’ufficio. Il Covid-19 ed il conseguente lockdown hanno imposto dei cambiamenti radicali e repentini imponendo distanziamento sociale e Smart working come parole d’ordine. Proprio quest’ultimo aspetto sta diventando la normalità per molte realtà perché garantisce una maggiore sicurezza rispetto alla salute personale ed anche meno costi per le aziende, ma è altresì una scelta da determinarsi caso per caso in funzione delle specificità di ciascuna realtà.

Tra favorevoli e contrari al lavoro da remoto è sempre la via di mezzo a riscuotere il consenso dei più, per cui si sta diffondendo il concetto di team/ufficio “ibrido” (sotto forma di rotazione o in maniera permanente) quale compromesso, forse, migliore per tornare a lavorare e farlo in sicurezza, ma anche per contenere le ripercussioni negative dello Smart working sull’economia in generale fortemente condizionata dagli effetti pratici del lavoro da remoto. Quello che è evidente è che la tecnologia rappresenterà sempre di più il perno su cui ruoterà il successo delle aziende, le quali dovranno attuare processi di riorganizzazione e formazione ad hoc. Pur non avendo ancora sperimentato la vera essenza dello Smart working, il lavoro da remoto ha dato talvolta riscontri positivi e talvolta negativi in funzione dell'esperienza e delle caratteristiche personali dei soggetti coinvolti. Nella speranza che l'emergenza Covid-19 possa rimanere solo un brutto ricordo, l'esperienza ci ha insegnato che per “sopravvivere” nel mondo del lavoro serve apertura al cambiamento e capacità di rinnovarsi senza dimenticare che il lavoro del futuro non potrà far a meno della tecnologia.

 

Bibliografia e sitografia

  • ACKERMAN B., BALTZLEY D.R., Do I really have to return to the office?, in www.kornferry.com.
  • ALESSANDRO P., Lo smart working del futuro deve avere orizzonti più ampi, in www.ilsole24ore.com, 21 Luglio 2020.
  • D’AMBROSIO D., Perché e come ci stiamo sbagliando sullo Smart Working, in www.risorseumane-hr.it, 15 Aprile 2020
  • GAVI T., Smart working e telelavoro: quali sono le differenze? La guida e le informazioni utili, in www.informazionefiscale.it.
  • Hays Viewpoint, Che cos’è un team ibrido e come gestirlo, in www.hays.it
  • Hays Viewpoint, Come rendere il tuo team più flessibile al cambiamento, in www.hays.it.
  • MACALUSO C., La nozione di luogo di lavoro nella normativa prevenzionistica, in Igiene e sicurezza del lavoro, 2012, p. 203 ss.
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  • PAOLO DE V., Tante aziende pensano di fare smart working, ma in realtà è solo telelavoro, in www.ilsole24ore.com, 9 Settembre 2020.
  • RUSCONI G., Rientrare in ufficio o proseguire in Smart working? Per ora vincono i timori, in www.ilsole24ore.com, 31 Agosto 2020.
  • SEPE G., Smart working: tutti ne parlano, molti lo guardano, ancora pochi lo sposano, in www.risorseumane-hr.it.
  • SOLCO s.r.l., Implementare lo Smart working: 8 consigli per applicare il lavoro agile, in www.risorseumane-hr.it, 17 Gennaio 2017
  • VANUXEM R., How to stop yourself from overworking when in lockdown, in www.hays.com.
  • Lavoratori smart? Un terzo degli italiani rinuncerebbe a parte dello stipendio pur di continuare a lavorare da casa, in www.forbes.it, 15 Aprile 2020
  • D.Lgs. 9 Aprile 2008, n.81 - Testo Unico in materia di tutela della salate e della sicurezza sul lavoro.
  • Smart working: cos’è e perché ha rivoluzionato il lavoro, in www.michaelpage.it .
  • Smart working - Osservatori Digital Innovation - Politecnico di Milano
  • Coworking, ingressi scaglionati e app anti-assembramento: come cambiano gli uffici dopo il Coronavirus, in www.morningfuture.com, 12 Giugno 2020.

 

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Gestione del Personale.

Ultima modifica il 06/10/2020

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