A cura dell' Avv. G. Vozzolo, Junior Associate EXP Legal

Nella fase di negoziazione di un contratto, le parti contraenti possono predisporre due tipologie di documenti preparatori: le lettere di intenti (LOI), per chiarire le intenzioni che li hanno condotti all’avvio delle trattative, e i memorandum of understanding (MOU), per sancire taluni impegni reciproci più o meno vincolanti.

Diffuse prettamente nel commercio internazionale, le LOI e i MOU hanno la sostanziale funzione di:

  • esplicitare le ragioni che hanno condotto le parti all’avvio delle trattative;
  • cristallizzare i principali punti su cui le parti hanno raggiunto un primo accordo;
  • disciplinare gli obblighi di riservatezza e non divulgazione delle informazioni confidenziali oggetto di scambio nel corso delle trattative;
  • disciplinare le conseguenze in caso di interruzione non giustificata delle negoziazioni;
  • scandire le varie fasi delle successive negoziazioni prima di giungere al closing dell’operazione.

Il contenuto delle LOI e dei MOU può essere, dunque, molto vario e gli eventuali impegni ivi previsti più o meno vincolanti, sebbene in origine tali documenti fossero stati concepiti come atti non vincolanti. Tali accordi precontrattuali possono essere ricompresi nella più ampia categoria delle puntuazioni. Con il termine puntuazione si identificano le intese precontrattuali non vincolanti siglate nella fase delle trattative e finalizzate esclusivamente a tener traccia delle medesime (Cass. civ., sez. I, sentenza n. 23949 del 9/6/2008; Cass. civ., sez. III, sentenza n. 8404 del 28/7/1993).

Nelle ipotesi di LOI o MOU contenenti disposizioni vincolanti per le parti, ci si è chiesti a lungo quale fosse il regime di responsabilità da applicare in caso di violazione di tali obblighi nonché nelle ipotesi – più frequenti – di improvvisa interruzione delle trattative. 

Sul punto sono intervenute, nel 2015, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Nell’ambito di un giudizio relativo alla configurabilità del contratto preliminare di preliminare, la Suprema Corte, cercando di razionalizzare i punti di congiunzione degli orientamenti sviluppatisi sino ad allora sull’istituto della puntuazione, ha abbracciato quello tra questi più moderno e liberale e dettando, altresì, principi innovativi e più largamente tutelanti per la parte che subisce la violazione.

La giurisprudenza maggioritaria più risalente era, da un lato, concorde nel ritenere che un accordo precontrattuale che vincolava le parti a concludere un secondo contratto preliminare fosse nullo per difetto di causa, dal momento che: (i) si limitava sostanzialmente a riprodurre il contenuto del successivo contratto, non ritenendosi meritevole di tutela il mero interesse “di obbligarsi ad obbligarsi” (Cass. civ., sez. II, sentenza n. 8038 del 2/4/2009; Cass. civ., sez. II, sentenza n. 19557 del 10/9/2009) e (ii) difettava di un’attuale volontà delle parti di vincolarsi.

Un secondo orientamento, invece, era più incline a riconoscere la configurabilità del cd. “preliminare aperto”: le parti avrebbero potuto stabilire un regolamento definitivo, seppur parziale, del rapporto e sarebbe stato poi il giudice, in caso di controversia, con il suo intervento interpretativo ex artt. 1362 c.c., ad indagare la loro reale volontà a fissare un assetto negoziale vincolante al di là del nomen iuris utilizzato (Cass. civ., sez. I, sentenza n. 2720 del 4/2/2009). In primo luogo, la Suprema Corte ha escluso che un preliminare di preliminare potesse ritenersi nullo per difetto di causa qualora recasse già gli estremi del contratto preliminare, poiché semmai l’assenza di causa poteva ravvedersi in quest’ultimo, che ricalcava meramente l’accordo precedente come una sorta di bis in idem. In secondo luogo, ha espressamente riconosciuto l’esistenza e la validità delle forme precontrattuali “atipiche”, nelle quali poteva ravvisarsi una “causa concreta” degna di tutela.

Tanto è vero che, in presenza di una pattuizione finalizzata alla conclusione di successivi accordi ma già recante un contenuto obbligatorio, qualora una delle parti opponesse un ingiustificato rifiuto a contrattare, la Corte ha chiarito che tale condotta darebbe luogo ad una responsabilità da inadempimento contrattualeIn tale ultimo caso, la disposizione violata sarebbe sorta non propriamente ex contractu, ma nel corso della formazione del contratto, e sarebbe da ricondursi alla categoria di quelle nascenti da “ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico” ex art. 1173 c.c.

Invero, in presenza di un siffatto accordo, i giudici di merito dovrebbero in primo luogo valutare se questo possa qualificarsi, nonostante la denominazione assegnata dalle parti, come contratto preliminare completo, suscettibile pertanto di esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. In mancanza, l’accordo inadempiuto in violazione dei doveri di buona fede e correttezza darebbe in ogni caso luogo ad una responsabilità di tipo contrattuale e risarcitoria per interruzione del rapporto obbligatorio sorto nella fase delle trattative (Cass. civ., SS. UU., sentenza n. 4628 del 6/3/2015).

Il risarcimento accordato al contraente danneggiato coprirebbe dunque:

  • l’interesse negativo, nella sua duplice forma del:
    • danno emergente, ovvero delle spese sostenute nel corso delle negoziazioni dalla parte che subisce la violazione, e del
    • lucro cessante, cioè del pregiudizio per la mancata conclusione di altre trattative cagionato al contraente coinvolto nella negoziazione non conclusa;
  • l’interesse positivo, ovvero l’interesse alla disponibilità del vantaggio che si sarebbe conseguito con la conclusione del contratto.

Qualora, poi, la puntuazione dovesse essere qualificata come vero e proprio contratto preliminare, il giudice potrebbe altresì disporre un ristoro in forma specifica, pronunciando una sentenza ex art. 2932 c.c. che dia luogo agli effetti del contratto non concluso.

In attesa, comunque, di indicazioni più chiare dalla giurisprudenza di legittimità sui criteri da adottare per definire la misura del risarcimento in caso di violazione di puntuazione vincolante, può sostenersi, in definitiva, che quanto più ampio sarà il contenuto dello scritto e quanto più emergerà la volontà delle parti di obbligarsi, tanto più vincolante sarà l’accordo. Ci si sposterà, pertanto, dal piano della responsabilità precontrattuale, in caso di ingiustificata interruzione delle negoziazioni e violazione dei soli doveri di buona fede e correttezza, a quello della responsabilità contrattuale, per l’inadempimento di specifici obblighi assunti durante il procedimento di formazione contrattuale. Ne discenderà, di conseguenza, l’applicazione del diverso regime in tema di onere della prova, prescrizione e danni risarcibili.

I margini dell’autonomia privata sono quindi ampi, potendo le parti, in fase di trattative, concludere accordi intermedi pienamente validi, purché corrispondenti ad interessi connessi all’operazione negoziale. In caso di vertenza tra le parti medesime per inadempimento dell’accordo precontrattuale, il giudice indagherà la volontà di queste di obbligarsi alla luce del complesso delle disposizioni dell’accordo violato e del comportamento tenuto, anche successivo alla stipula, e darà l’appropriata qualificazione allo scritto e alla responsabilità nascente dal medesimo.

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Business Law.

Ultima modifica il 15/04/2021

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