A cura di A. Canteri, (partecipante del Master in Risorse Umane)

Per individuare le competenze tecniche e trasversali che costituiscono il perno del buon selezionatore è necessario fare prima un passo indietro e definire insieme di che cosa si parla quando si utilizza il termine “competenze”. Il sostantivo competenza deriva dal verbo competere, derivante dall’originario termine latino cum petere e sta ad indicare l’azione di “andare insieme, far convergere in un medesimo punto”. Rimanendo su questa accezione, ma volendo ricercare una definizione di competenza contestualizzata nell’ambito lavorativo, Michele Pellerey nel 1983 scriveva che “le competenze finali si presentano come un insieme integrato di conoscenze, abilità, atteggiamenti, insieme necessario ad esplicare in maniera valida ed efficace un compito lavorativo”. Le competenze possono dunque essere definite come l’insieme delle conoscenze, del sapere, delle capacità, del saper fare e delle qualità, intese come doti personali, che permettono ad un individuo di far fronte a un determinato compito e/o raggiungere un determinato obbiettivo. Accingendosi sempre di più nel contesto lavorativo è possibile effettuare un’ulteriore suddivisione in hard skill e soft skill.

Le prime includono le competenze tecniche, che dipendono dal bagaglio formativo e dalle esperienze lavorative della persona. Le seconde, invece, sono costituite da tutte quelle abilità trasversali, di tipo comportamentale e relazionale, che integrano le hard skill nella costruzione di un profilo professionale. Ciò premesso, quali sono dunque le competenze, o skill, che dovremmo mettere nero su bianco nei requisiti richiesti, laddove ci trovassimo a redigere un annuncio relativo alla ricerca di un esperto in selezione del personale? Per rispondere velocemente basterebbe digitare sui principali canali di recruiting le seguenti parole “offerte di lavoro recruiter specialist”. Da una rapida lettura degli annunci pubblicati, il panorama che ci si presenterebbe davanti sarebbe il seguente.

Competenze tecniche o hard skill richieste:

  • Laurea, preferibilmente in materie umanistiche e Master di specializzazione in Human Resources;
  • Pregressa esperienza di ricerca e selezione;
  • Ottima conoscenza delle tecniche di selezione;
  • Buona conoscenza della lingua inglese.

Competenze trasversali o soft skill richieste:

  • Ottime capacità relazionali e capacità comunicative;
  • Empatia e orientamento alla persona;
  • Predisposizione al lavoro in team;
  • Orientamento agli obbiettivi.

Se fossimo noi i recruiter incaricati di ricercare a nostra volta un altro recruiter specialist, a partire dai requisiti sopra indicati, procederemo quindi allo screening dei curricula ed individueremo come idonei i profili che possiedono tutte queste caratteristiche. Ma finita questa prima fase, quali altre competenze dovremmo indagare nei colloqui frontali per individuare il nostro candidato ideale, colui che più di tutti gli altri potrebbe dirsi un “buon selezionatore”? Per rispondere è utile far riferimento alla Finestra di Joahary, proposta dagli psicologi Joe Luft e Harry Ingham nel 1955. Secondo tale costrutto quando ci poniamo di fronte ad una persona siamo disposti a rivelare alcune cose di noi (so e dico), ma non altre (so ma non dico). Posso inoltre serbare dentro di me cose di cui non sono consapevole (non so e non dico) o rivelare cose di cui in realtà non sono pienamente consapevole (non so ma dico). Ora partendo dal presupposto che ogni persona che si propone per un colloquio di lavoro è portatrice della propria finestra, il selezionatore seduto dall’altra parte del tavolo dovrebbe iniziare a valutare il candidato partendo dalle informazioni che il candidato sa di sé e decide di condividere, informazioni che rientrano in quella piccola parte di finestra che egli stesso decide di aprire e che solitamente coincide con quanto si ritrova sul curriculum stesso. Tuttavia un buon recruiter non potrebbe dirsi tale se si accontentasse di sapere solo quanto gli viene spontaneamente raccontato e non cercasse di esplorare quell’area privata, ma rilevante ai fini del colloquio, che il candidato sa, ma che non vuole comunicare. Il selezionatore deve essere quindi in grado di mettere in campo quell’arte d’indagine fondata sul dialogo che Socrate definiva maieutica, dal greco propriamente μαιευτική (τέχνη), ossia "(arte) ostetrica" “levatrice”, nel senso che permette di far nascere, di estrarre, di tirar fuori la verità e i pensieri personali dall’interlocutore, così come la levatrice porta alla luce un bambino. Per raggiungere tale scopo Socrate non imponeva ai suoi discepoli le proprie idee, ma li aiutava a far emergere le proprie opinioni procedendo con brevi domande e risposte. Domande che dovranno essere il più possibile aperte e non indirizzate, in modo da evitare risposte compiacenti, facilitare la relazione e spingere il candidato a portare sempre più argomentazioni ed esempi concreti a sostenimento di quanto afferma. Il recruiter ideale è quindi colui che agendo tale arte è in grado di aprire tutte le finestre, che non si limita a prendere atto di quanto gli viene detto, ma che tramite continue domande riesce ad estrarre, a rendere esplicite, a far emergere da quell’area di non detto quante più informazioni possibili. Affinché si conosca non solo quanto il candidato ha trascritto sul suo curriculum, ma anche le sue aspirazioni, i suoi punti di crescita, i suoi valori, la sua mission, tutto ciò quindi che può aiutarci nella definizione di quel candidato e nella scelta della cosiddetta “persona giusta al posto giusto”. Ma perché ciò sia possibile, affinché il selezionatore possa incalzare l’emergere di tutto questo, è necessario che egli stesso esca dalla sua comfort zone e cominci a dubitare, non del candidato che ha davanti a sé in quel momento, ma di sé stesso e di come egli interpreta quello che il candidato gli sta dicendo. Perché è proprio quando si perdono le proprie certezze che si è portati a fare le domande migliori. Quando infatti non so una cosa, posso fare domande per approfondire, domande per verificare, domande che mi permettono di guardare le cose da più prospettive, abbattendo ogni limite e con la massima apertura. La stessa apertura a cui quel famoso selezionatore ideale dovrebbe tendere quando si pone davanti alle finestre dei propri candidati.

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Bibliografia:

  • Progettazione formativa: teoria e metodologia - M. Pellerey - ricerca ISFOL - CLISE - 1983
  • Dinamica delle relazioni interpersonali. La finestra di Johari – J. Luft – 1969
  • Socrate Vita, Pensiero, Testimonianze – A. Massarenti – ed. Il Sole 24 ore - 2006

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Ultima modifica il 28/02/2020

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