Il licenziamento del lavoratore divenuto inidoneo alla mansione 

Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è quello determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento della stessa.Tra queste motivazioni non possono essere aprioristicamente e pregiudizialmente escluse quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale o produttiva, ovvero anche quelle dirette ad un aumento della redditività dell’impresa, purché il licenziamento sia sorretto da motivazione reale e non pretestuosa. Il licenziamento può essere determinato anche dalla mera soppressione della posizione cui è addetto il lavoratore ma il datore di lavoro deve provare l’inutilizzabilità del lavoratore in altre mansioni analoghe a quelle precedentemente svolte (repêchage). Nella nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo rientra non solo l’esigenza della soppressione del posto di lavoro, ma anche l’impossibilità di ricollocare il lavoratore nelle mansioni precedentemente svolte a causa di inidoneità lavorativa. Il recente orientamento giurisprudenziale[1] in tema di licenziamento del lavoratore divenuto inidoneo alla mansione, amplia la nozione di disabilità al fine di rendere i principi nazionali coerenti con la normativa comunitaria. Infatti, mentre il diritto del lavoro italiano pone al centro della propria attenzione la legge 68/99, la normativa comunitaria, alla luce della Direttiva 2000/78/CE[2], amplia il novero dei soggetti da considerare “disabili”, in cui ricomprende anche il personale divenuto inidoneo o parzialmente inidoneo. La natura operativa della presente nota non permette di soffermarsi sull’esame particolareggiato delle disposizioni normative in materia, dovendo qui privilegiare gli adempimenti che il datore di lavoro deve mettere in atto nella gestione del rapporto di lavoro in caso di giudizio di inidoneità sopravvenuta alla mansione di un lavoratore. A seguito del progressivo ampliamento della concezione di disabilità per i motivi sopra esposti, deve quindi considerarsi disabile non solo chi presenta i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla legge 68/99, ma anche chi presenta “una limitazione risultante in particolare da durature menomazioni fisiche, mentali o psichiche che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori[3]”.È compito del giudice stabilire - caso per caso e sulla scorta delle valutazioni della CTU medica - se la menomazione di cui è affetto il lavoratore può rientrare nel concetto di disabilità, a prescindere dal giudizio espresso dal medico competente in sede di visita aziendale. In particolare, sotto il profilo giuridico-processuale, da un lato il lavoratore non disabile ai sensi della legge 68/99 deve dimostrare di essere affetto da una menomazione “duratura” che ha impedito e/o limitato lo svolgimento della sua vita professionale, dall’altro lato il datore di lavoro deve fornire la prova[4] di aver adottato tutti gli “accomodamenti ragionevoli[5]” previsti dalla normativa comunitaria al fine di escludere un giudizio di discriminatorietà del licenziamento del lavoratore portatore di handicap e di reintegra del lavoratore all’interno dello stabilimento produttivo. Per tale ragione, nella consapevolezza dell’esistenza di un rigido sistema di garanzie in favore dei disabili, il tratto saliente della questione è rappresentato dalla portata del concetto di “ragionevoli accomodamenti” che, secondo la definizione giurisprudenziale, comporta l’eventuale adozione di modifiche della struttura organizzativa e produttiva dell’azienda al fine di conservare il posto di lavoro del lavoratore divenuto inidoneo alla mansione e, quindi, disabile. 

Dalla disamina delle misure che il datore di lavoro potrebbe adottare per rendere l’ambiente di lavoro funzionale alla condizione del lavoratore inidoneo derivano le seguenti esemplificazioni:

  • sistemazione dei locali o delle attrezzature;
  • adattamento dei ritmi di lavoro (cambio turno e/o diminuzione dell’orario di lavoro);
  • fornitura di mezzi di lavoro idonei (specifici D.P.I.);
  • ripartizione dei compiti;
  • inquadramento dei lavoratori.

I provvedimenti del datore di lavoro saranno ritenuti ragionevoli allorquando siano in grado di consentire lo svolgimento dell’attività lavorativa compatibilmente con le condizioni di salute del lavoratore e fermo restando il rispetto dell’art. 2087 c.c. Il limite dei comportamenti esigibili è dato dalla proporzione tra la modifica organizzativa ed il relativo onere finanziario. In siffatte ipotesi, quindi, occorre procedere ad un’analisi della fattibilità delle modifiche organizzative/strutturali in relazione alle dimensioni dell’azienda e al mantenimento degli equilibri finanziari. 

Si configura, pertanto, la necessità, per avere un quadro complessivo dello stato aziendale, di una perizia ad opera di un professionista che illustri tecnicamente la sostenibilità/insostenibilità di misure attuabili ai fini della conservazione del posto del lavoratore in relazione a:

  1. produttività ed efficacia delle mansioni da assegnare;
  2. costi aziendali da sostenere per le modifiche del layout;
  3. possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni.

Con riferimento al punto sub 3), deve tenersi conto del fatto che sono molteplici gli incentivi previsti in favore delle imprese. E, per quanto concerne il rientro dopo infortunio o malattia professionale, l’INAIL[6] ha previsto finanziamenti riconosciuti sia nell’ipotesi della conservazione del posto che di nuova occupazione. Questo aspetto si rileva ai fini della necessaria completezza della valutazione operanda, presupposto di cui il Magistrato terrebbe sicuramente conto.

Contributi a fondo perduto pari a 150.000 euro di cui fino ad un massimo di 135.000 euro per:

  • superamento e abbattimento delle barriere architettoniche nei luoghi di lavoro (interventi edilizi, impiantistici e domotici: rampe; piattaforme sollevatrici; modifica dei servizi igienici o inserimento di nuovo servizio igienico accessibile dalla postazione di lavoro)
  • opere di adeguamento e adattamento delle postazioni di lavoro (arredi, ausili e disposizioni tecnologici);
  • fino ad un massimo di 15.000 euro per attività di formazione con interventi personalizzati di addestramento all’utilizzo delle postazioni di lavoro e delle attrezzature; di formazione e tutoraggio per lo svolgimento di stessa o di altra mansione. Per gli interventi di cui a i punti a) e b), il contributo INAIL arriva fino al 100% dei costi ammissibili, mentre per gli interventi di cui al punto c), l’aiuto copre sino al 60% dei costi.

Rimborso del 60% per il reinserimento dei disabili:

La misura è stata prevista dalla Legge di Bilancio 2019 e prevede il rimborso del 60% della retribuzione effettivamente corrisposta alla persona con disabilità destinataria di un progetto di reinserimento mirato alla conservazione del posto di lavoro. Ciò posto, le determinazioni aziendali in ordine al lavoratore divenuto inidoneo alla mansione dovranno, preventivamente, tenere in considerazione la normativa richiamata e misurare, tramite se del caso l’intervento di un tecnico esperto, la capacità tecnica e la forza economica dell’impresa di riorganizzare e/o modificare il layout aziendale per verificare l’esistenza di mansioni compatibili con la residua capacità lavorativa, vagliando – tra le concepibili soluzioni– anche possibili modificazioni tecniche-gestionali, quale - ad esempio - una turnazione oraria ad hoc del lavoratore in esame. Tanto poiché, in ipotesi di intimazione e conseguente impugnativa del licenziamento, detta analisi sarà – in ogni caso – effettuata dal Magistrato che valuterà, secondo la propria discrezionalità, se il datore di lavoro abbia o meno verificato la possibile riallocazione del lavoratore e, pertanto, se la soluzione aziendale adottata sia conforme ai principi normativi in tema di antidiscriminatorietà del recesso datoriale del contratto di lavoro del soggetto disabile.

In sintesi, durante il tempo necessario per l’accertamento medico tendenzialmente definitivo della idoneità del lavoratore (fatte salve le verifiche di eventuale CTU nominato dal giudice), la Società dovrà valutare, alternativamente e nell’ordine:

  • le possibilità di riallocare il lavoratore in mansioni compatibili, se del caso previa effettuazione di modifiche tecniche o gestionali;
  • accertata l’impossibilità di quanto sub a), servirsi di relazione tecnica che illustri le ragioni industriali e finanziarie circa l’impossibilità di “ragionevoli accomodamenti” perseguibili.

[1] Cass. Civ., sez. lav., 12/11/2019, n. 29289; Cass. Civ., sez. Lav., 21/05/2019, n. 13649, Cass. Civ., sez. Lav., 19/03/2018, n. 6798.

[2] La Direttiva 2000/78 è un autentico pilastro del diritto antidiscriminatorio dell’UE che rivolge una particolare attenzione ai disabili.

[3] Commento alla sentenza Cass. Civ. sez. lav., 12 novembre 2019, n. 29289, “l’accomodamento ragionevole tra la roccaforte della tutela antidiscriminatoria e gli effetti indesiderati” in “Il lavoro nella Giurisprudenza” pag. 970 e ss.

[4] La Dir. 2000/78 prevede che, nel caso di discriminatorietà e successiva attivazione di un rimedio per la difesa dei diritti, ricade sul datore di lavoro l’onus probandi di dimostrare il principio della parità di trattamento.

[5] L’art. 5 della Direttiva 2000/78 prevede che il datore di lavoro adotti, se non comportano oneri finanziari sproporzionati, “soluzioni ragionevoli” in relazione alle situazioni concrete, atte a consentire ai disabili l’accesso al lavoro, la possibilità di svolgerlo e di avere una promozione o di ricevere una formazione. Un esempio è fornito dalla riduzione dell’orario di lavoro, laddove tale soluzione consenta al lavoratore disabile di svolgere il proprio lavoro, in “Giurisprudenza italiana” edizione Novembre 2020, a cura di Mattia Persani, pag. 2500 e ss.

[6] Regolamento approvato con determinazione presidente INAIL n. 258/2016 (modificato con determinazione n.    527/2018) e dalle circolari n. 51 del 30/12/2016, n. 30 del 25/07/2017, n. 6 del 26/02/2019 e n. 34 dell’11/09/2020.


A cura di F. Montanari (partecipante dell'Executive Master in Amministrazione del Personale e Consulenza del Lavoro)

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Gestione del Personale.

 

Ultima modifica il 14/01/2021

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