Controllo sul grado di "affidabilità" del dipendente 

Premessa

L’utilizzo delle agenzie investigative è un tema che si colloca nel novero delle modalità con le quali si esplica il potere di controllo del datore di lavoro. Potere che deve contemperarsi con il correlativo diritto alla tutela della persona del lavoratore. Scopo della presente nota è quello di fare chiarezza sul discusso tema della legittimità degli incarichi assegnati dal datore di lavoro alle agenzie investigative e, segnatamente, agli agenti investigativi, al fine di effettuare controlli sul grado di “lealtà” ed “affidabilità” del dipendente.

Le pronunce della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6174/2019, è nuovamente intervenuta sul tema relativo alla legittimità dei controlli operati sui dipendenti tramite le agenzie investigative. La Corte, nel respingere il ricorso proposto dal lavoratore, ha ribadito l’orientamento secondo cui i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore medesimo, non potendo, invece, avere ad oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione.

Dai fatti di causa, infatti, è emerso che il lavoratore si era ripetutamente allontanato dal posto di lavoro durante l’orario di servizio, rimanendo assente per diverso tempo, senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la regolare presenza in servizio. L’illecito, dunque, consisteva nell’aver dolosamente creato una situazione apparente al fine di indurre in errore il datore di lavoro sulla presenza sul luogo di lavoro. Secondo i giudici, infine, in tema di privacy, non sussiste violazione se le condotte contestate sono emerse dall’attività investigativa su ordine del datore, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento.

Nell’argomentare la legittimità dell’operato aziendale, la Corte di Cassazione richiama i propri orientamenti consolidatisi sul tema.

Innanzitutto viene citata la sentenza n. 8373 del 2018: essa, oltre a stabilire che la garanzia dettata dall’art. 2 Stat. Lav. non preclude al datore di lavoro di ricorrere alle agenzie investigative per tutelare il patrimonio aziendale, ha affermato che detto intervento deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione. In un’altra pronuncia, la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso del lavoratore, ha chiarito che il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vige anche nel caso in cui le prestazioni siano svolte fuori dai locali aziendali. Ferma restando l’eccezione al divieto, nel caso in cui il controllo sia finalizzato a verificare comportamenti illeciti o da cui possa derivare un’ipotesi penalmente rilevante (ordinanza n. 15094 del 2018). L’attività investigativa, inoltre, è possibile solo per accertare illeciti extracontrattuali.

Ed infatti, nella sentenza n. 21621 del 2018, la Corte ha precisato che il rispetto dell’orario lavorativo attiene strettamente all’adempimento della prestazione e, pertanto, può essere accertato dal solo datore di lavoro in via diretta o attraverso la propria organizzazione gerarchica, non potendo essere oggetto di indagine da parte di soggetti terzi.

Applicazione in azienda dei principi giurisprudenziali

La giurisprudenza, quindi, ha costruito un argine di legittimità sui controlli occulti che, cercando di tradurre in principi operativi, possono essere così classificati:

  1. Il controllo non deve essere teso all’accertamento del mero adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa, anche quando questa sia svolta all’esterno del perimetro aziendale;
  2. prima di intraprendere un controllo investigativo, è necessario che sussista il concreto e/o fondato sospetto che il lavoratore stia ponendo in essere un atto illecito;
  3. il controllo deve essere svolto mediante modalità non eccessivamente invasive, ovvero rispettose della libertà e dignità dei dipendenti e, comunque, improntate al rispetto dei principi di correttezza e buona fede;
  4. il controllo investigativo non può essere diretto ad accertare l’osservanza dell’orario di lavoro;
  5. le indagini effettuate dagli investigatori devono operare riferimento ad archi temporali specifici e ben individuabili nella relazione investigativa;
  6. all’esito dei risultati acquisiti dall’agenzia investigativa, è fondamentale accertare che non vi sia stata violazione della privacy con particolare riferimento ai “dati sensibili” del dipendente descritti dalla normativa vigente in materia di privacy, ove trattati.

Normativa Investigatori Privati e valore probatorio del report investigativo

Per completezza espositiva, appare opportuno soffermarsi brevemente sulle regole deontologiche relative ai trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per fare valere un diritto in sede giudiziaria pubblicate ai sensi della nuova normativa assunta dal Legislatore Italiano, il quale, in applicazione del c.d. GDPR  - REG. UE 2016/679, ha regolamentato la riservatezza (c.d. privacy) delle persone fisiche e giuridiche, introducendo notevoli limiti all’utilizzo dei dati personali.

Più in particolare e per quanto qui di interesse, quando l’investigatore si avvale di altri investigatori privati, muniti di licenza ex art. 134 T.U.L.P.S. approvato con R.D. N. 773/1931 e previamente segnalati alla Prefettura di competenza, questi ultimi devono risultare nominativamente all’atto del conferimento dell’incarico, ovvero successivamente in calce ad esso, distinguendo tra investigatori privati autorizzati dipendenti e collaboratori, specificando per questi ultimi la tipologia contrattuale. Nel rispetto dell’art. 5 – Reg. UE 2016/679, i dati personali trattati dall’investigatore privato possono essere conservati per un periodo di tempo non superiore a quello strettamente necessario per eseguire l’incarico ricevuto.

A tal fine, è consigliabile in sede di conferimento del mandato, consentire all’agenzia investigativa la conservazione temporanea del materiale strettamente personale dei soggetti che hanno curato l’attività svolta, a dimostrazione della liceità, trasparenza e correttezza dell’operato. Se è stato contestato il trattamento, il soggetto che ha conferito l’incarico può anche fornire all’investigatore il materiale necessario per dimostrare la correttezza della propria condotta. Tanto poiché la sola pendenza del procedimento al quale l’investigazione è collegata non costituisce giustificazione valida per la conservazione dei dati da parte dell’investigatore.

Un aspetto peculiare, infatti, che ruota attorno all’utilizzo delle agenzie investigative, afferisce alla possibilità o meno di utilizzare in giudizio le prove e le testimonianze raccolte durante le indagini da parte degli investigatori privati. Anche in questo caso, seguendo il ragionamento della Cassazione (Cass. n. 12489/2011), il datore di lavoro che ricorre ad agenzie investigative per verificare la commissione di illeciti da parte dei propri dipendenti, può allegare legittimamente nei giudizi relativi alle impugnazioni delle sanzioni disciplinari le relazioni effettuate dalle agenzie o utilizzare in giudizio le dichiarazioni degli investigatori che hanno effettuato i controlli. In mancanza, pertanto, di espressa autorizzazione dell’azienda all’archiviazione temporanea del report, l’agenzia investigativa, al termine della specifica attività, dovrà cessare ogni tipo di trattamento del materiale raccolto. In termini pratici, l’effetto diretto si risolve, per i singoli investigatori chiamati a testimoniare in un eventuale giudizio, nella difficoltà di ricostruire e/o ricordare lo svolgimento dei fatti dinanzi al giudice.

In sintesi, per ricorrere alla collaborazione di un’Agenzia investigativa a tutela dell’Azienda avverso comportamenti illeciti dei dipendenti, risulta necessario:

  • avere fondato sospetto che il dipendente abbia posto in essere un atto illecito o che quest’ultimo sia in corso di esecuzione;
  • conferire mandato ad un’Agenzia investigativa, munita di regolare licenza, con indicazione specifica dell’oggetto dell’indagine al fine di raccogliere informazioni utili da far valere in sede giudiziaria;
  • stabilire specifici archi temporali di controllo del dipendente;
  • autorizzare l’Agenzia investigativa ad archiviare temporaneamente il report al fine di poter recuperare il materiale raccolto a distanza di più tempo;
  • evitare di estendere i controlli sui “dati sensibili” del dipendente (origine razziale o etnica, condivisioni religiose, filosofiche, politiche, appartenenza sindacale, dati relativi alla salute o alla vita sessuale)

A cura di F. Montanari (partecipante dell'Executive Master in Amministrazione del Personale e Consulenza del Lavoro)

​Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Gestione del Personale.

 

 

Ultima modifica il 16/04/2021

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