Ius variandi e repechage

Le criticità economiche impongono alle aziende analisi sui propri organigrammi per efficientare i costi della struttura. Come muoversi tra ius variandi e repechage prima di arrivare a soluzioni più drastiche come i licenziamenti collettivi.

L’analisi che si intende proporre nei paragrafi successivi ha l'obiettivo di indurre una riflessione sull'evoluzione dell'equilibrio esistente tra l'esigenza primaria di un'azienda, identificabile con il raggiungimento dei propri obiettivi economici, e il ricorso al capitale umano necessario al raggiungimento di tali scopi, nonché quello di comprendere il ruolo della legislazione italiana, in materia di diritto del lavoro, in un panorama fortemente sotto pressione dal punto di vista economico.

Da considerare, in prima istanza, è sicuramente l'impatto che la crisi economica ha avuto sulle imprese a partire dal 2008. Di particolare rilevanza, per la tematica qui affrontata, risulta essere la frequente revisione degli assetti organizzativi da parte delle aziende, finalizzata prevalentemente al contenimento dei costi, pur con l’obiettivo di mantenere lo stesso livello di efficienza produttiva. E’ risaputo infatti che molte aziende, per effetto di questa crisi, e in taluni casi per effetto di processi di acquisizione, sono intervenute sul costo del lavoro rivedendo spesso in modo drastico il proprio assetto organizzativo. Per contro, anche le aziende più in salute, si sono trovate nella situazione in cui, grazie all’accesso a tecnologia e innovazione, hanno potuto accelerare processi produttivi e/o operativi che non richiedevano più la stessa manodopera in termini numerici, optando per una rivisitazione del proprio organico. Si parla infatti di “Industria 4.0” oppure di “4° Rivoluzione industriale” proprio per identificare, in chiave attuale, il dispiegarsi del progresso in termini di automazione, tecnologia e connessione, i cui cambiamenti costringono le aziende a convogliare le proprie attenzioni sull’apprendimento continuo e innovare in termini di mansioni e attività lavorative. “Nell’epoca della prima e della seconda rivoluzione industriale, fino a ieri, si imparava un mestiere e quello si sarebbe fatto per tutta la vita, si entrava in una fabbrica e lì si sarebbe lavorato fino alla pensione. Oggi non è più così: tutte le ricerche sul lavoro dicono che la maggior parte dei ragazzi che in questo momento stanno studiando faranno lavori che ancora non sono stati inventati, che cambieranno lavoro – non posto di lavoro, non mansioni: proprio tipo di lavoro – almeno cinque o sei volte nella vita. Già oggi forme di lavoro flessibile – o precario, o liquido, fate voi – dominano l’orizzonte delle giovani generazioni. In queste circostanze si può capire perché la domanda su cosa sia il lavoro si ponga in modo drammatico” testimonia Franco Nembrini ne “Il mestiere di essere uomini” pubblicato da GiGroup.

Come si inserisce la Legge in tale scenario?

Partiamo dall’art.41 della Costituzione, in base al quale il principio dell’attività economica privata è libero. La norma pertanto indica come legittima la libertà di iniziativa economica privata, sia al fine di intraprendere un’attività economica, sia al fine di organizzare le risorse umane e materiali necessarie. In questo scenario prevale pertanto in generale l’interesse del datore di lavoro, rispetto a quello del lavoratore. Nello specifico questo interesse può concretizzarsi in estrema ratio, nella rimozione di eventuali risorse non più funzionali alle esigenze dell’impresa, rispetto al tentativo di conservazione del posto di lavoro. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è infatti altrimenti definito licenziamento “economico” e può costituire una delle possibili soluzioni che il datore di lavoro ha a disposizione per riorganizzare la propria impresa, purché sussistano contemporaneamente le seguenti condizioni:

  • effettività e sussistenza delle esigenze aziendali, da richiamare nella lettera di licenziamento;
  • nesso causale tra le esigenze aziendali e la soppressione della specifica posizione lavorativa;
  • impossibilità di ricollocare proficuamente il dipendente all’interno dell’organizzazione aziendale, attribuendogli mansioni diverse, anche appartenenti a un livello contrattuale inferiore rispetto a quello ricoperto (c.d. obbligo di repechage).

Introducendo il concetto di legittimità di un licenziamento vediamo come il regime sanzionatorio, applicato in caso di illegittimità, sia cambiato nel tempo: la rivisitazione dell’art. 18 dello Statuo dei lavoratori ha sostituito la c.d. “tutela reale” con un regime di protezione diversificato per il lavoratore ingiustamente licenziato, all’interno di un’azienda con più di 15 dipendenti. Prima che intervenisse la normativa del Jobs act, in caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore poteva essere reintegrato in azienda e ricevere un’indennità risarcitoria comprensiva del versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, commisurata alla retribuzione globale di fatto. L’art. 3 del D.Lgs 23/2015 ha invece previsto una graduazione della sanzione, per il datore di lavoro, che varia a seconda della gravità dei vizi che caratterizzano il licenziamento, marginalizzando la possibilità del reintegro ma individuando una tutela indennitaria crescente, non assoggettata a contribuzione previdenziale e parametrata all’ultima retribuzione utile per il calcolo del tfr, in ragione della sola anzianità di servizio per un massimo di 24 mensilità, prevedendo inoltre la possibilità preventiva di conciliazione tra datore di lavoro e lavoratore. Il Decreto Dignità confermando l’impianto costruito con la riforma del Jobs act si è limitato ad aumentare, in caso di licenziamento intimato per motivo oggettivo e soggettivo, la misura minima e massima dell’indennità risarcitoria (non assoggetta a contribuzione previdenziale) rispettivamente da 6 a 36 mensilità. L’onere di provare la sussistenza del giustificato motivo grava esclusivamente sul datore di lavoro (ex art. 5, l. 604/1966) sebbene, con riferimento all’obbligo di repechage, spetti al lavoratore dimostrare l’eventuale possibilità di ricoprire posizioni lavorative nelle quali egli avrebbe potuto essere utilmente ricollocato. 

L’obbligo di repechage impone comunque al datore di lavoro l’obbligo di verificare, prima di accedere all’istituto del licenziamento, l’esistenza di posizioni ulteriori cui adibire in alternativa il lavoratore interessato. La disciplina del c.d. ius variandi, ossia quella disciplina relativa al diritto del datore di lavoro di modificare anche unilateralmente la mansione del lavoratore è stata fortemente modificata dall’art. 3 del D.Lgs 81/2015. Prima della riforma, ai sensi dell'art. 2103 cod. civ., vigeva il principio della immodificabilità in peius della mansione nonché della irriducibilità della retribuzione, a pena di nullità. Il decreto legislativo sopraccitato, invece, sostituisce integralmente l'art. 2103 del c.c. e introduce il nuovo criterio della flessibilità funzionale non solo orizzontale ma anche verticale, quest’ultima sia in senso migliorativo che peggiorativo:

  1. E' stato eliminato il riferimento (contenuto nella precedente formulazione della norma) alle mansioni c.d. equivalenti, riconoscendo al datore di lavoro il diritto ad uno ius variandi (unilaterale) più ampio e più flessibile. Nella precedente norma, infatti, in caso di contestazione da parte del lavoratore, il Giudice, per accertare la legittimità della modifica unilaterale (da parte del datore di lavoro), non si limitava a verificare l'eguaglianza retributiva e la riconducibilità delle nuove mansioni al medesimo livello di inquadramento contrattuale, ma anche l'equivalenza professionale (misurata su elementi retributivi, di budget assegnato, organizzativi -poteri di firma, risorse gestite, ..- gerarchici, operativi e di benefit). Con la nuova norma, il datore di lavoro potrà assegnare unilateralmente il dipendente a qualsiasi mansione purché riconducibile allo stesso livello e categoria di inquadramento di quelle ultime effettivamente svolte, avuto (solo) riguardo alle declaratorie ed ai profili professionali stabiliti dal contratto collettivo. Risulta chiaro come non sempre questo raffronto sia facile da effettuare, a causa dell’esistenza di figure professionali non sempre dettagliatamente descritte nei contratti, così come la variazione della mansione sopra rappresentata possa avvenire attraverso una mobilità orizzontale o verticale in senso migliorativo per la posizione del lavoratore.
  2. E’ stata inserita la possibilità di demansionare il lavoratore in caso di "modifica degli assetti organizzativi che incidono sulla posizione del lavoratore" e nelle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva nazionale. Ciò comporta la possibilità del datore di lavoro di assegnare al lavoratore mansioni appartenenti ad un livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale, consentendo quindi una modifica peggiorativa della propria situazione professionale ma con la garanzia di conservare il livello retributivo raggiunto, fatta eccezione per eventuali elementi retributivi strettamente connessi alla mansione in precedenza assegnata (c.d. indennità di ruolo). Allo scopo di conservare lo stato di occupazione, acquisire una nuova professionalità o migliorare la propria condizione di vita, modificando in peius, non solo la mansione ma anche l’inquadramento e la conseguente retribuzione è ammessa inoltre, in estrema ratio, la possibilità di sottoscrivere in sede protetta un accordo, tra datore di lavoro e lavoratore. Nelle ipotesi di cui sopra, il cambiamento di mansione deve essere affiancato da un momento formativo, se necessario. In caso di inadempienza, tuttavia, la suddetta variazione non sarà nulla, se correttamente comunicata per iscritto, e non potrà determinare una diminuzione del trattamento economico ad eccezione della contrattazione in sede protetta.

In ultima istanza, qualora le motivazioni alla base della riorganizzazione da parte del datore di lavoro siano particolarmente gravi, si contempla l’istituto del licenziamento collettivo che si verifica qualora l'imprenditore, che occupi più di 15 dipendenti, intenda licenziare almeno 5 lavoratori, nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività o di lavoro, o quando lo stesso intenda cessare l'attività.

Anche il regime sanzionatorio applicabile in quest'ultima ipotesi per violazione delle procedure previste dalla legge o dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare rispetto a quelli indicati dalla legge -carichi di famiglia, anzianità, esigenze aziendali- ovvero perché intimato senza l’osservanza della forma scritta, è stato oggetto di profonde modifiche negli ultimi anni: la riforma del 2012, prima, e il Jobs Act, poi, hanno significativamente diminuito le tutele offerte ai lavoratori licenziati, attraverso la sostanziale riduzione delle ipotesi in cui al datore di lavoro è fatto obbligo di reintegrare il dipendente licenziato nell’ambito di una procedura collettiva che non abbia rispettato la disciplina dettata dal legislatore. Similmente a quanto sta accadendo per i licenziamenti individuali, dunque, anche in materia di licenziamenti collettivi la tutela reintegratoria sta progressivamente cedendo il passo alla tutela risarcitoria.

In conclusione, come si presenta lo scenario in Italia?

Alla luce di quanto sopra è presumibile ipotizzare che le più recenti normative vadano nella direzione prevalente di tutelare l’interesse economico del datore di lavoro e nell’efficientamento della sua attività produttiva. Tuttavia, al lavoratore vengono offerti maggiori compensi risarcitori nei casi più estremi nonché la possibilità di valutare una maggiore flessibilità nell’adeguare la propria professionalità alle nuove esigenze aziendali. Ma il sistema lavoro è altrettanto pronto a una sempre più richiesta flessibilità in entrata, per accogliere chi non è più funzionale a un precedente contesto lavorativo? Quale sarà il futuro delle risorse meno giovani e abituate a questo contesto in evoluzione, nonché meno forti dal punto di vista di una più recente formazione di aggiornamento professionale? La legislazione prevederà altri strumenti per individuare soluzioni sinergiche efficienti non solo per le aziende, ma anche per i lavoratori? 

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Bibliografia e Sitografia:

  • https://www.eclavoro.it/obbligo-repechage-mansioni-inferiori-novita-normative-recenti-orientamenti-giurisprudenziali/
  • https://www.toffolettodeluca.it/en-gb/news-events/news-and-events/a/il-licenziamento-per-gmo-in-sintesi/Il mestiere di essere uomini (Franco Nembrini) – Gi Group
  • http://www.gruppoarealavoro.it/lavoro-e-previdenza/la-nuova-disciplina-delle-mansioni/
  • http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/avvocatoAffari/mercatiImpresa/2015-06-29/il-nuovo-art-2103-cod-civ-come-e-quando-datore-lavoro-puo-modificare-mansione-dipendente-113649.php
  • https://www.wikilabour.it/Print.aspx?Page=Licenziamento%20collettivo
  • https://www.meliusform.it/art-2103-del-codice-civile.html

A cura di R. De Vito, C. Fiorani, V. Gabbi (partecipanti dell'Executive Master in Direzione del Personale)

Ultima modifica il 06/04/2020

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