A cura del Dott. Salvatore Liguori, partecipante all’Executive Master in Amministrazione Del Personale e Consulenza del Lavoro

Il trattamento di fine rapporto (da ora T.F.R.) è la somma che riceve il prestatore di lavoro subordinato alla cessazione del rapporto di lavoro1: in linea generale, detta somma è pari alla retribuzione annuale, divisa per il coefficiente 13,5, per ciascuna annualità lavorativa.

Oltre a tale importo, sommariamente ricostruito, è prevista una rivalutazione del T.F.R.2, calcolata mensilmente ed utilizzata per incrementare il trattamento al 31/12 dell’anno precedente.

Detta rivalutazione si fonda sulla somma di un tasso fisso pari a 1,5% e il 75% di tasso dell’aumento dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati, accertati dall’ISTAT. 

Appurato ciò, sino al 31/12/2006, la normativa prevedeva che l’impresa accantonasse mensilmente, per ciascun lavoratore subordinato, una somma a titolo di T.F.R. maturata da confluire nel cd. “Fondo accantonamento T.F.R.” (oppure al “Fondo Tesoreria INPS” nei casi in cui l’organico aziendale contasse più di 50 dipendenti) sino alla corresponsione al lavoratore, al termine del rapporto di lavoro.

Con la Finanziaria 20073 la disciplina del T.F.R. è stata rivisitata: dal 01/01/2007, infatti, è stata data facoltà ai lavoratori di poter scegliere la destinazione del proprio T.F.R. entro 6 mesi dalla data di assunzione.

In linea di massima, tuttavia, sono molti gli interrogativi che orbitano intorno al concetto di previdenza complementare e dei relativi fondi pensioni, spesso dovuti semplicemente a scetticismo e mancanza di informazioni.

Pertanto, partendo dal principio: cosa significa previdenza complementare? La previdenza complementare4 è un sistema pensionistico integrativo rispetto alla previdenza di base o obbligatoria, concorrendo ad assicurare al lavoratore un adeguato tenore di vita futuro.

 

Quali sono le principali tipologie di fondi che operano nella previdenza complementare? Le principali tipologie sono distinguibili come di seguito:

  • Fondi pensione aperti5: fondi istituiti da banche, imprese di assicurazioni, società di gestione del risparmio (SGR) e società di intermediazione mobiliare (SIM) accessibili indipendentemente dal tipo di impiego;
  • Fondi pensione chiusi o negoziali6: fondi pensioni aperti esclusivamente a determinate categorie di lavoratori, istituiti principalmente da accordi o contratti collettivi di lavoro;
  • Piani pensionistici individuali (cd. PIP)7: fondi destinati, come si evince, al singolo lavoratore. Gli stessi sono gestiti esclusivamente da compagnie assicurative sotto forma di polizza sulla vita con finalità previdenziale, disciplinati ugualmente secondo la normativa di previdenza complementare.

Ci sono, inoltre, contratti collettivi nazionali che prevedono obbligatoriamente l’adesione ad un fondo di previdenza complementare. Un esempio è dato dal CCNL Edilizia (sia Edilizia-Industria che Edilizia-Artigianato) dove è previsto obbligatoriamente il versamento di un contributo contrattuale mensile8 a carico del datore di lavoro (variabile tra 10 e 20 euro, a seconda del livello) al Fondo Prevedi, con la possibilità di versare sia il T.F.R. sia contributi aggiuntivi.

 

Cosa si versa e cosa accade alle somme versate ad un fondo di previdenza complementare? Attraverso la scelta di destinazione e il versamento del T.F.R. (e, su base volontaria, anche di ulteriori contributi aggiuntivi) ad un fondo pensione, dette somme vengono investite nei mercati finanziari, in base anche alla propria propensione al rischio e al potenziale orizzonte temporale prima del pensionamento.

Inoltre, il lavoratore può optare per versare contributi, ulteriori al T.F.R.: gli stessi saranno deducibili sino al limite di € 5.164,57 annuo. Tuttavia, l’eventuale eccedenza a tale importo, non dedotta, se comunicata al fondo entro il 31 dicembre dell’anno successivo, sarà ugualmente esente da tassazione al momento della prestazione da parte del fondo.

Chi vigila su detti fondi? Sui fondi pensione vigila la CO.V.I.P.9 (Commissione di vigilanza sui fondi pensione) che, sinteticamente: verifica la trasparenza e la prudenza gestionale dei fondi, controlla la loro solidità, autorizza e revoca l’esercizio da parte di nuovi o già esistenti fondi, verifica gli investimenti delle risorse finanziarie.

Ma un fondo pensione può fallire e quindi essere soggetti alla perdita di tutte le somme accumulate? No, la normativa vigente prevede che un fondo pensione possa essere soggetto esclusivamente ad amministrazione straordinaria o a liquidazione coatta amministrativa. È fondamentale sottolineare che le somme versate ai fondi pensioni non sono gestite direttamente da questi ultimi per finanziare la propria attività ma venga detenuto separatamente secondo un meccanismo di cd. “Separatezza patrimoniale”.

 

Da ciò ne discende che, anche nei peggiori casi sopra prospettati, l’amministrazione straordinaria mira a proseguire l’attività del fondo normalmente mentre la liquidazione coatta amministrativa mira a cessare l’attività ma senza alcuna conseguenza economica per gli aderenti.

Esposte le indicazioni fondamentali, a questo punto è piuttosto lecito domandarsi se effettivamente sia conveniente investire in un fondo pensione e sotto quale punto di vista.

Proviamo a confrontare la differenza tra la scelta di versare in un fondo pensione e lasciare il T.F.R. in azienda, sotto il profilo economico, fiscale e di rischio.

 

Su fronte economico:

  • Lasciare il T.F.R. nel fondo d’azienda si traduce nella citata rivalutazione, sopra meglio riportata, soggetta all’imposta sostitutiva: a titolo puramente esemplificativo, la rivalutazione netta a dicembre 2024, rispetto al 2023, è stata pari a 1,9256%. 
  • Investire il T.F.R. in un fondo pensione presuppone, invece, che lo stesso sia investito da quest’ultimo in strumenti finanziari con rendimenti (e rischi connessi) anche molto diversi: dalla relazione CO.V.I.P. del 2024, ad esempio, emerge che i rendimenti netti medi generali siano stati pari a 6,0% 6,5% e 9,0%10 a seconda che si tratti rispettivamente di fondi chiusi, aperti o P.I.P.;


Sul fronte fiscale:

  • Il T.F.R. in azienda, al momento della corresponsione, viene tassato separatamente seguendo gli scaglioni IRPEF ben noti, dando vita ad una tassazione minima del 23% fino a € 28.000,00; inoltre la rivalutazione ha un’imposta sostitutiva del 17%;
  • Il T.F.R. nel fondo pensione, al momento della restituzione, è tassato con un’aliquota agevolata del 15% che può ridursi dello 0,3% annualmente per ogni anno di permanenza al fondo oltre il quindicesimo (sino al limite massimo del 9% di tassazione); la tassazione della rendita prodotta dal fondo pensione è tassata, sempre in aliquota agevolata, al 20% ridotta al 12,5% se trattasi di investimenti in titoli di Stato. 

 

Vi sono, tuttavia, degli aspetti da tenere conto quando si decide di aderire ad un fondo di previdenza complementare che non vanno sottovalutati:

  • le somme accantonate sono, di norma, accessibili al momento del pensionamento salvo casi di anticipazioni e riscatti, disciplinati dalla normativa. Ad esempio, per le richieste di anticipazioni dovute ad esigenze personali o acquisto di prima casa, generalmente, occorrerà attendere almeno 8 anni per poterne fruire, oltre a non avere diritto alla tassazione agevolata ma a tassazione “piena”, minimo al 23%;
  • sebbene, nel medio-lungo termine, i risultati economici dei fondi siano superiori alla rivalutazione del T.F.R., gli stessi potrebbero ugualmente subire fluttuazioni, con rendimenti anche molto negativi;
  • una volta configurata l’adesione ad un fondo pensione, la scelta sarà irrevocabile salvo i casi di riscatto totale o licenziamento (da cui discende una perdita di requisito per fondi negoziali); 

Per definire un quadro completo, occorre considerare che ai vantaggi fiscali ed economici (seppur potenziali) per il lavoratore, sono da segnalare anche i potenziali vantaggi per la stessa impresa.

In caso di versamento a fondi pensione del T.F.R. dei lavoratori, l’azienda – oltre a non dover versare più l’imposta sostitutiva del 17% - ha la possibilità di dedurre tale costo in misura maggiore11 del 6% (se trattasi di imprese con meno di 50 dipendenti) o 4% (se trattasi di imprese con più di 50 dipendenti).

Oltre a tale indubbio vantaggio fiscale vi è un ulteriore beneficio, di natura contributiva: i versamenti ai fondi pensione consentono l’esenzione dei contributi, rispettivamente per il fondo di Garanzia pari allo 0,20% del monte retributivo e dello 0,28% a titolo di oneri sociali o impropri (atti a coprire istituti come malattia, assegni nucleo familiari, maternità ecc.) entrambi dovuti all’INPS.

 

Si evince immediatamente che un’azienda, con un numero importante di dipendenti, potrà beneficiare di diverse esenzioni contributive oltre ad una maggiorazione della deduzione fiscale.

Alla luce di quanto esposto, si può generalmente asserire che il versamento del T.F.R. ad un fondo pensione è una scelta che può permettere di ripagare il lavoratore in un orizzonte temporale piuttosto ampio (35-40 anni sarebbe l’ideale) con rendimenti, in linea di massima, superiori alla mera rivalutazione.

Oltre ai rendimenti economici, potenzialmente positivi ma comunque volatili in quanto connessi ai mercati finanziari e alla singola propensione al rischio, sono maggiormente “tangibili” e particolarmente vantaggiose le agevolazioni fiscali (e contributive) non solo per il lavoratore ma anche per le stesse imprese.

 

 

 

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1. Art. 2120 del Codice civile.

2. L. 297/1982

3. L. 296/2006

4. D.lgs. 252/2005

5. Art. 12 D.lgs. 252/2005;

6. Art. 3 D.lgs. 252/2005;

7. Art. 13 D.lgs. 252/2005;

8. Accordo del 18/07/2018 Edilizia-Industria e accordo 30/01/2020 Edilizia-Artigianato;

9. D.lgs. 124/1993

10. https://www.covip.it/sites/default/files/documentazionestatistica/agg_stat_dic24.pdf

11. Art. 105 D.P.R. 917/1986;

12. Art. 24 L. 88/1988


FONTI: