A cura di C. Zasso (partecipante del Master in Risorse Umane)

Nel corso degli ultimi anni sono nate delle metodologie differenti che si distinguono dalla tradizionale formazione in aula: l’e-learning, il coaching, il counselling, il teatro d’impresa e tanti altri. Tra questi, a partire dagli anni Novanta, un notevole sviluppo l’ha avuto l’Outdoor training, o formazione outdoor: si utilizza l’esperienza con lo scopo di sviluppare competenze non tecniche e specifiche di ruolo, ma abilità sociali. A differenza della formazione classica, in cui ci si limita all’ascolto passivo del docente che spiega, quello descritto è un metodo innovativo nel quale i partecipanti, inseriti in un contesto giocoso, coinvolti dal punto di vista sia emotivo che fisico, si ritrovano a lavorare insieme per affrontare una sfida, risolvere un problema. In questo modo, tramite il metodo “learning by doing”, l’autoapprendimento, gli individui diventano soggetti attivi del proprio cambiamento.

Si tratta di attività svolte all’aperto, spesso lontano dalla sede di lavoro: è necessario, infatti, distinguere la formazione indoor (che avviene in aula), dalla formazione outdoor (fuori dall’aula).

Le principali caratteristiche della formazione outdoor sono:

  • immersività dei partecipanti in contesti naturali (non manipolati)
  • team work e clima positivo di gruppo
  • sperimentazione e sfide
  • adattamento all’ambiente/situazione

Più in generale ci si serve dell’Outdoor training per il miglioramento di varie soft skills tra cui: problem solving, team building, leadership, decision making. Le competenze trasversali, infatti, sono sempre più richieste in ambito lavorativo e sono indispensabili per raggiungere obiettivi sfidanti e ottenere delle migliori performance. Le prove a cui sono sottoposti i partecipanti devono essere coerenti con i problemi/meccanismi reali riscontrati in azienda, dovuti ad esempio ad una trasformazione organizzativa, alla job rotation, così come ad un tentativo di fusione o acquisizione, situazioni che possono richiedere l’apprendimento di nuove competenze e/o valori.

La formazione outdoor utilizza la metafora come strumento creativo che, rendendo famigliare ciò che è sconosciuto e trattandosi di un linguaggio evocativo, permette ai partecipanti di immedesimarsi. In questo modo si dà più importanza al saper essere, al “qui e ora”, piuttosto che al saper fare. Una peculiarità di questa modalità è il connubio tra divertimento e apprendimento: è dimostrato, infatti, che se facendo qualcosa proviamo un’emozione positiva, associamo quest’ultima all’esperienza vissuta, il che porta le persone a ricordare più facilmente ciò che hanno appreso.

Le sessioni di formazione outdoor hanno una durata che va dai 2 ai 7 giorni, solitamente svolte a tempo pieno e i partecipanti, in genere, sono un numero ristretto di persone (gruppi di 10 persone circa), al fine di garantirne l’efficacia, ma possono anche essere più numerosi. Essi sono chiamati a partecipare attivamente, collaborare tra loro, a mettersi in gioco per raggiungere l’obiettivo prefissato spesso in attività inusuali, di cui non hanno alcuna esperienza. Uscendo dalla zona comfort, i soggetti in questione si distanziano dall’esperienza comune per addentrarsi in un campo inesplorato, che consente loro di non sentirsi minacciati. Questo tipo di formazione accresce l’autostima, il senso di autoefficacia e supporta lo sviluppo del potenziale; inoltre incrementa la fiducia tra colleghi, il senso di appartenenza, rafforza la motivazione e la collaborazione. È bene precisare, che oltre al generico outdoor training, esiste anche un tipo di formazione più specifica, chiamata Outdoor Management Training (OMT) rivolta specificatamente ai ruoli manageriali.

Il ciclo di apprendimento durante l’outdoor training

Solitamente un programma di OT si compone dalla Sezione di apertura, dalle Esperienze OT (azione, rielaborazione, modelli mentali) e dalla Sezione di chiusura. Dopo aver spiegato in cosa consiste il gioco, aver definito l’obiettivo, le tempistiche e le regole, il formatore lancia una sfida: inizia la competizione. In questo contesto, l’esperto si pone non come guida, ma come facilitatore dei gruppi: osserva le dinamiche sociali e relazionali e cerca di indirizzare le persone verso il giusto obiettivo. Particolarmente rilevante, al termine dell’attività è il debriefing, cioè il momento di discussione, di riflessione e di restituzione dell’esperienza, in cui si ridefinisce cosa è successo e si riportano i punti di forza e di debolezza emersi. Si passa così dall’esperienza concreta, dalla sperimentazione in prima persona dei gruppi a un momento di valutazione dei comportamenti nel raggiungere l’obiettivo stabilito. Arrivati al traguardo si fa “il punto della situazione”: è indispensabile richiamare i partecipanti sul nodo centrale dell’argomento e spiegare loro come questa esperienza sia stata utile per poter poi trasferire, in ambito lavorativo, le abilità e le conoscenze apprese. È buona prassi presentare ai membri delle best practise e/o call to action: si creano così nuove abitudini che i membri utilizzeranno in futuro nella loro quotidianità. Questa modalità di gestione dei gruppi permette di “toccare” tutti i punti della teoria dell’apprendimento circolare elaborata da David Kolb, il quale afferma che per apprendere in modo efficace bisogna seguire quattro fasi: esperienza concreta, sperimentazione attiva, di osservazione riflessiva e concettualizzazione astratta.

Progettazione della formazione OT

Come in ogni percorso formativo il formatore deve, innanzitutto, analizzare il fabbisogno formativo dell’azienda, deve quindi raccogliere il più ampio numero di informazioni sull’organizzazione stessa anche in base al problema che si intende risolvere: analizzare l’organigramma, le dinamiche interne, le aspettative, gli obiettivi espressi e non espressi dall’azienda che intende raggiungere, la cultura di riferimento, gli stili di leadership e altri fattori strutturali e culturali. Bisogna, quindi, progettare la formazione in base alla tipologia di impresa, all’età e ruolo dei partecipanti, alle aspettative, agli obiettivi formativi. Dopo aver individuato i destinatari del corso, si identificano l’obiettivo di apprendimento (cosa ottengono dal percorso formativo, in termini di competenze e conoscenze) e l’obiettivo didattico (che cosa avranno imparato a fine giornata); infine nella micro-progettazione si stabilisce il tipo di attività (comprendente il luogo, le tempistiche, gli strumenti ecc), in base all’obiettivo che si vuole raggiungere; i giochi più comuni sono: la vela, il rafting, il team cooking, l’orienteering, il free climbing. Per la realizzazione di questo tipo di attività servono determinate strutture e attrezzature adeguate alle azioni che si andranno a implementare, i luoghi più gettonati sono agriturismi immersi nella natura, centri outdoor e parchi avventura. Ovviamente ogni percorso è personalizzato, costruito ad hoc in base alle esigenze del committente. Progettare e organizzare questa tipologia di formazione ha naturalmente dei costi che variano in base ad alcuni fattori tra cui: docente (o società) a cui è affidata l’erogazione, attrezzatura, trasferte del personale docente e in alcuni casi dei partecipanti, coperture assicurative.

I benefici dell’OT

Come accennato nell’introduzione, l’outdoor training viene utilizzato sempre di più nello sviluppo del personale in azienda; tuttavia in Italia, molte volte, non viene considerato una metodologia di risposta efficace ai bisogni formativi di un’azienda. Questa tecnica è infatti esposta ad alcuni rischi: per esempio le aziende e i dipendenti stessi spesso la vedono come una mera attività di diletto e divertimento, piuttosto che un metodo di formazione creativo, ostacolandone il raggiungimento degli obiettivi formativi.

In realtà l’outdoor training apporta dei benefici all’individuo e al gruppo, tra cui:

  • Focalizzazione sugli obiettivi
  • Attivazione del pensiero critico
  • Valorizzazione individuale e di gruppo
  • Saper affrontare problemi/situazioni critiche
  • Coinvolgimento fisico ed emotivo
  • Coesione e senso di appartenenza
  • Favorisce la condivisione e il confronto

In base a quanto detto, la formazione outdoor è uno strumento efficace per rispondere alle esigenze delle aziende, migliorare il benessere organizzativo, soprattutto se i dipendenti devono migliorare le relazioni interpersonali e la comunicazione. In conclusione, nonostante ci siano dei rischi e dei costi per l’uso di questa metodologia, è bene sapere quanto in realtà, in alcuni casi, possa essere utile perché come scrisse William Glasser: “Apprendiamo il 10% da ciò che leggiamo, il 20% da ciò che ascoltiamo, il 30% di ciò che vediamo, il 50% di ciò che vediamo e ascoltiamo, il 70% di ciò che discutiamo con gli altri, l’80% di ciò che viviamo di persona”.

 

Bibliografia e Sitografia

  • Boldizzoni D. & Quarantino L; (2014), Risorse umane, Logiche e strumenti per la valorizzazione del capitale umano, Cap. 3 I metodi e gli strumenti della formazione, Bologna, Il Mulino, p. 196-197
  • Materiale Master Meliusform
  • https://www.aidp.it/hronline/2010/1/2/il-boom-delle-metodologie-esperienziali-luci-ed-ombre-della-formazione-innovativa-in-italia.php
  • https://www.eclavoro.it/ciclo-kolb-modello-apprendimento-efficace/
  • https://www.virvelle.com/news/outdoor-training-formazione-aziendale/

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Ultima modifica il 11/05/2021

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