I 3 pilastri della formazione: Sapere, Saper fare, Saper essere

Nell’elaborare una propria strategia didattica, il formatore farà riferimento inizialmente ai tre pilastri della formazione, le cosiddette 3S (Sapere, Saper fare, Saper essere) da cui attinge le tecniche adatte al tipo di formazione richiesta. Poi, dovrà scegliere il modello di apprendimento che ritiene più adatto. In sintesi, la ricetta ideale sarà costituita dalla combinazione delle metodologie in grado di creare alto interesse, impegno ed energia nei partecipanti e che sia complementare agli obiettivi formativi e allo stile del formatore stesso. Lo stile del formatore, infatti, dipende proprio dal modello di apprendimento utilizzato. Due modelli a cui solitamente ci si riferisce sono quelli elaborati da Kolb e da Dee Fink.

Le fasi del modello Kolb sono le seguenti:

  • Esperienza concreta;
  • Osservazione riflessiva;
  • Concettualizzazione astratta;
  • Sperimentazione attiva.

Nel modello Dee Fink, si crea una spirale di apprendimento basata sulla ripetizione di tre step:

  • Apprendere informazioni, cioè ricevere informazioni tramite lezione frontale;
  • Sperimentare, fare/osservare qualcosa collegato alla tecnica didattica;
  • Riflettere, cioè analizzare quanto imparato/sperimentato nelle fasi precedenti.

A ogni fase dei modelli di apprendimento corrispondono alcune tecniche didattiche, che il formatore sceglie considerando le 3S e le diverse metodologie, che comprendono:

  • Sapere (comprensione e memorizzazione dell’argomento):
    • Lezione, Istruzione programmata, Spiegazione di casi, E-learning;
  • Saper fare (sperimentazione in aula):
    • Esercitazioni, Role Playing, Business games, Studio di casi, Project work;
  • Saper essere (stimolare la riflessione e il confronto per favorire il cambiamento):
    • Discussioni libere, Training group, Action learning, Outdoor training, Indoor training.

Ad oggi, la formazione aziendale si concentra sempre di più sul lavoro di gruppo; in questo articolo approfondiremo perciò due di queste tecniche adatte ai gruppi: lo Studio di Caso e il Role Playing. Sono entrambe due tecniche di sperimentazione ma con caratteristiche e obiettivi differenti.

Lo Studio di Caso è una tecnica di discussione incentrata sull’analisi del problema e sulla comprensione delle cause degli eventi e dei comportamenti agiti. Le fasi per strutturare uno studio di caso sono:

  • definire l’obiettivo, la tipologia di caso;
  • rilevare i quesiti a cui lo studio deve rispondere;
  • raccogliere i dati relativi al sistema da analizzare;
  • ricercare un caso reale o scrivere un caso con i dati raccolti;
  • consegnare il caso e il rapporto di ricerca al gruppo di lavoro.

Il ruolo che riveste il formatore sarà quello di attivare e organizzare il confronto finale e di porre attenzione ai feedback che emergono. Questa tecnica stimola non solo la capacità di analisi e problem solving ma, sensibilizza anche i componenti del gruppo all’ascolto e al reciproco confronto. In sintesi, l’obiettivo dello studio di caso è quello di arrivare a costruire una visione d’insieme del problema analizzato partendo dall’indagine di un sistema complesso.

Nel Role Playing invece, i partecipanti del gruppo sono chiamati a interpretare un ruolo mettendo in campo le proprie soft skills e competenze trasversali. Questa tecnica è basata sul concetto di cooperazione, sul superamento di grandi sfide che un singolo, rispetto al gruppo, non potrebbe affrontare; solitamente è strutturata in tre fasi:

  • Briefing: consegna chiara e precisa di tempi e presupposti ai partecipanti;
  • Simulazione: i partecipanti si mettono in gioco interpretando il ruolo attribuito;
  • Debriefing: fase di feedback in cui emergono le riflessioni e valutazioni sull’accaduto.

La modalità giocosa, che è propria di questa metodologia, permette ai partecipanti di agire in un contesto a basso rischio mentre, la flessibilità che la caratterizza, la rende adatta a vari contesti e ambiti di business, in particolare agli ambiti in cui è richiesto il lavoro di team. Questa tecnica è ideale per testare l’efficacia lavorativa di un team di lavoro poiché, può capitare che all’interno di un gruppo si innescano delle dinamiche che danneggiano la collaborazione, ostacolano la performance e impediscono infine il raggiungimento degli obiettivi. Noi tutti possediamo delle peculiarità che possono essere sfruttate in modo ostacolante o agevolante all’interno di un team; per cui un soggetto potrebbe agire come membro agevolante in diversi team e come ostacolante in uno solo di questi. Ciò non significa non essere un team player ma, semplicemente che “qualcosa” o “qualcuno” ci fa agire come membro ostacolante.

Studiando il comportamento dei team player, P. Lencioni ha rintracciato tre virtù fondamentali:

  • l’umiltà: atteggiamento teso al supporto dell’operato degli altri piuttosto che alla mera esaltazione del proprio lavoro;
  • la passione lavorativa: caratteristica di una persona attiva e motivata nello svolgere le proprie mansioni e che la trasmette anche alle persone che la circondano;
  • l’essere brillante: caratteristica di un individuo che si rapporta in modo corretto, usa il buonsenso, non mette a disagio i compagni e risolve i conflitti in modo civile.

Il Role Playing permette al singolo di riflettere sui propri atteggiamenti all’interno del team e di prendere esempio da quelli che sono già degli efficienti team players. Il debriefing post attività è utile a far riflettere i partecipanti sui risultati e le conseguenze dei comportamenti emersi: ciò può portare a un confronto arricchente sui punti di forza e debolezza del team. In questa fase il formatore deve guidare la discussione, decidendo se un intervento sia utile da dibattere in plenaria o privatamente, avendo cura che i feedback rimangano sempre sul piano dei comportamenti e mai sulla critica del singolo membro. È importante far capire come nella dinamica del team le parole possano essere pericolose e come il sostegno e l’incoraggiamento dei colleghi sia uno degli stimoli più forti per la crescita personale e il desiderio di miglioramento. Perché il debriefing sia efficace è importante che i feedback siano:

  • espressi in modo chiaro e su aspetti modificabili;
  • resi su osservazioni oggettive e non su impressioni e giudizi.

Inoltre, è importante instaurare un buon clima d’aula, basato sulla fiducia e la partecipazione di tutti i componenti. L’aula deve essere un ambiente sicuro dove i partecipanti devono sentirsi stimolati a intervenire e a dare liberamente il loro contributo. Un’ultima qualità riconosciuta alla fase di debriefing è quella di attivare la riflessione e la consapevolezza che porta al cambiamento; quanto più si avvicina all’obiettivo che l’azienda dà al formatore tanto più l’intero percorso sarà valutato positivamente.

Ma come si valuta un percorso formativo?

La valutazione cerca di misurare il più oggettivamente possibile il cambiamento post-formazione e di ottenere un ritorno di informazioni capaci di influenzare i processi decisionali. La valutazione è complessa, poiché i benefici della formazione sono spesso diluiti e discontinui nel tempo e, talvolta difficili da percepire in termini qualitativi. D’altronde è necessario un feedback valutativo capace di migliorare l’efficacia, l’efficienza e la profittabilità dell’intervento formativo. Il più conosciuto e utilizzato modello di valutazione dell’efficacia di un percorso formativo è quello elaborato da D. Kirkpatrick che prevede quattro livelli di valutazione:

  • Reazione: sonda il gradimento dei partecipanti per obiettivi, utilità futura e aspettative;
  • Acquisizione: testa le competenze-obiettivo post-formazione in termini di conoscenze, capacità pratiche e intellettuali e abilità comportamentali;
  • Trasferimento: indaga le competenze-obiettivo nel lavoro a distanza di tempo;
  • Risultati finali per organizzazione: misura il cambiamento prodotto in termini di performance, qualità e/o d’impatto a favore dell’azienda e stimolato dal percorso formativo.

Alla base c’è l’idea che l’azione formativa provoca delle reazioni nei partecipanti; tali reazioni a loro volta generano apprendimento che, a sua volta produce cambiamenti comportamentali sul lavoro, che si rifletteranno all’interno dell’organizzazione. Tale modello prevede tre tempi di misurazione:

  • A termine del percorso formativo (liv.1 e 2);
  • Nel breve-medio periodo (liv. 2 e 3);
  • Nel medio-lungo periodo ( liv. 4)

Il modello di Kirkpatrick, e le sue rivisitazioni, hanno offerto al mondo della formazione un contributo importantissimo, fungendo per molto tempo da unico sistema di riferimento per la valutazione.

Ai quattro livelli elaborati da Kirkpatrick, se ne aggiunge un altro: il R.O.I. della formazione. Il R.O.I. (Return Of Investiment) è un indice mutuato dall’economia che indica il ritorno economico dell’investimento effettuato; quindi la formazione è intesa come strumento di miglioramento dell’attività aziendale e fortemente legata ai risultati di business. Si valutano perciò i risultati provenienti da apprendimenti, capacità, e comportamenti individuali organizzativi appresi all’interno della formazione, considerando costi diretti e indiretti sostenuti. Il calcolo del R.O.I. parte dai costi totali della formazione e considera i vantaggi tangibili ottenuti. A monte della valutazione è perciò necessario definire i fattori da valutare e creare una scala di valutazione di base.

Di seguito due possibili formule calcolare il ROI:

  • ROI = Benefici della formazione / Costi della formazione
  • ROI = [(Benefici - Costi) / Costi della formazione] x 100

Questo calcolo sarà molto più difficile se gli indicatori scelti sono intangibili nell’immediato, come il miglioramento della soddisfazione del cliente.

Per concludere, per essere certi che la formazione venga valutata nel modo corretto occorre che: 

  • la formazione e il miglioramento delle performance siano integrati nella struttura strategica dell'azienda; 
  • venga predisposto un sistema di misurazione e valutazione che comprenda i contributi forniti dalla crescita professionale delle persone.

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Bibliografia

  • Dessler G.,  Solari L., (a cura di), Virili F. (a cura di); Gestione delle risorse umane, Pearson Italia, 2017
  • Lencioni P.; Il team player ideale, Franco Angeli 2017
  • Luperini R.; Giochi d'aula. Giochi per cambiare la formazione e favorire il cambiamento, Franco Angeli, 2006
  • Maciocca Massimo L., Massimo R.; Gestione e valorizzazione delle risorse umane, II ed., Maggioli Editore, 2019
  • Muzzarelli F.; Formatori in azione, Clueb, 2011
  • Penati V., Girard A., Ferrari G., Sinibaldi F.; Il libro dei giochi psicologici vol.1, Ed. Ferrari Sinibaldi, 2012

A cura di F. Sbrogiò, G. Mastrangelo ed E. Bianchi (partecipanti dell'Executive Master in Risorse Umane)

Le strategie, le tecniche e i temi dedicati alla Formazione del Personale sono affrontati nei Master in Gestione del Personale di MELIUSform Business School

Ultima modifica il 27/04/2020

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