Il presente contributo si concentrerà esclusivamente sulle pronunce del Tribunale di Brescia e della Corte di Appello di Brescia in tema di conferimenti in società di capitali attraverso una criptovaluta.

A cura dell'Avv. Tommaso Togni, partecipante dell'Executive Master in Giurista d'Impresa & General Counsel.


Con il precedente contributo al Blog Legale abbiamo tentato di offrire un quadro completo sugli odierni assesti in merito al tema “natura giuridica delle criptovalute”, sottolineando la difficoltà di risolvere in maniera univoca tale quesito.

Da tale ricognizione è però possibile prendere le mosse per comprendere ulteriormente il fenomeno e tentare, prendendo le mosse dai casi concreti, di vagliare nuove prospettive. Com’è immaginabile, infatti, è la quotidianità a metterci ineluttabilmente dinanzi a scelte. Lo stesso vale per i Giudici che, dinanzi ad una domanda giudiziale, non possono esimersi dal prendere posizione e motivare la loro scelta in un senso o nell’altro. In particolare il presente contributo si concentrerà esclusivamente sulle pronunce del Tribunale di Brescia e della Corte di Appello di Brescia in tema di conferimenti in società di capitali attraverso una criptovaluta.

Nonostante le anzidette pronunce risalgano al 2018, rimangono le uniche sul tema e le prime salite agli onori della cronaca giuridica per aver dovuto necessariamente far interagire gli istituti civilistici tradizionali con lo strumento “criptovalute”. Dinanzi al Tribunale di Brescia era proposto un ricorso avverso il rifiuto da parte di un notaio della città lombarda dell’iscrizione al Registro delle Imprese di una delibera assembleare con ad oggetto un aumento di capitale sociale mediante il conferimento da parte dei soci. Lo scoglio, a parere del notaio, era rappresentato dalla circostanza che uno dei soci era intenzionato a provvedere al conferimento mediante criptovalute. In particolare attraverso la comunicazione di credenziali (c.d. transaction password1) era intenzionato la somma di € 728.523,00 con tanto di perizia di stima allegata.

Partiamo dal dire che sia Tribunale prima, che Corte di Appello poi, rigettavano il ricorso condividendo il rifiuto opposto dal notaio ma, a conferma dell’incertezza in tema, la prima qualificava detta tipologia di conferimento come conferimento in natura, la seconda come conferimento in denaro. 

Rapidamente ricordiamo, più a chi scrive che ai lettori, che il nostro codice prevede l’ammissibilità di conferimenti con diverse tipologie di bene, anche a secondo del modello sociale prescelto dai soci:

  • conferimenti in denaro (2342 C.c.);
  • conferimenti in natura [compresi i crediti] (2343 e 2364 C.c.);
  • servizi/prestazioni socio (2464 C.c.).

I conferimenti sono necessari alla costituzione del capitale sociale che ha tra le sue principali funzione quella "storica" in chiave di garanzia nei confronti dei creditori. Infatti la disciplina dettata in materia è molto rigida, proprio al fine di evitare che tramite storture avvengano c.d. conferimenti “fittizi”, idonei a frustrare la natura stessa del capitale sociale. Da ciò si evince la previsione dell’obbligo di depositare una perizia di stima di tutti quei conferimenti che non siano fatti in denaro. Come anticipato il Tribunale di Brescia qualificava il conferimento eseguito con criptovalute del tipo “in natura”, muovendo dall’assunto che con “conferimento in denaro” si intende quello eseguito con moneta avente corso legale e, pertanto, in Euro. Ciò evidentemente in linea con l’idea dello stesso socio conferente, che aveva appunto allegato una perizia sulla valutazione del bene oggetto di conferimento. Proprio su tale punto il Tribunale incentra la propria argomentazione di rigetto, che si intrecciano con quanto abbiamo anticipato nello scorso contributo e ci portano ad ulteriori considerazioni. In particolare la valuta utilizzata non erano le famosissime “BitCoin” o “Ethereum”, bensì la molto meno famosa (allora) “OneCoin”. All’epoca della pronuncia tale criptovaluta era presente su un solo sito di Exchanger2 , riferibile agli stessi creatori della moneta.

Da ciò i Giudici di primo grado facevano discendere l’impossibilità di essere suscettibile di valutazione economica della criptomoneta in questione e, dunque, ai sensi della normativa in vigore, l’impossibilità per la stessa di poter essere oggetto di conferimento.  Nonostante la pronuncia contraria è importantissimo sottolineare come il Tribunale non escludeva a priori la possibilità di tale operazione assumendo che:

“in questa sede non è in discussione l’idoneità della categoria di beni rappresentata dalle c.d. “criptovalute” a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l.”3;

limitandosi a ribadire che non era suscettibile di applicazione l’art. 2464, comma secondo C.c. nel caso giudicato ed aggiungevano che una tale valutazione debba essere compiuta caso per caso. Ciò facendo il Tribunale esaltava il ruolo della alla perizia di stima che, nel caso concreto, mancava di alcuni elementi essenziali come l’indicazione delle metodologie utilizzate per esprimere il valore del bene non illustrava le possibilità concrete di aggressione del bene oggetto di conferimento da parte dei creditori sociali.

La decisione che non soddisfava i ricorrenti e veniva impugnata in Corte d’Appello. Nonostante il medesimo esito del primo grado, i Giudici della Corte argomentavano il loro rigetto in maniera completamente diversa. Infatti la Corte di Appello di Brescia parte dall’assunto che è

“indiscussa la sua [delle criptovalute N.d.R.] funzione di pagamento[...] è chiaro che la “criptovaluta”deve essere assimilata, sul piano funzionale, al denaro, anche se, strutturalmente, presenta caratteristiche proprie dei beni mobili ”4.

Il successivo approdo del ragionamento della Corte di Appello è che la criptovaluta serve per fare acquisti in un determinato mercato operando come “marcatore” idoneo ad attribuire valore, quale contropartita di scambio, a beni e servizi, oaltre utilità, negoziate in detto mercato. La Corte argomentava pertanto che il valore non può essere determinato con la procedura di cui al combinato disposto degli artt. 2264 2265 C.c., non essendo possibile attribuire valore di scambio ad un’entità che è essa stessa elemento di scambio nella negoziazione. Aggiungeva altresì che ad oggi [2018 N.d.R.] non è dato conoscere un sistema di scambio che sia stabile ed agilmente verificabili, come per le monete aventi corso legale in altri Stati.

Così argomentando concludeva sancendo (a suo parere) nel senso dell’impossibilità di una determinazione del valore effettivo e certo delle criptovalute a causa della loro volatilità, data l’impossibilità di ricorrere alla perizia di stima essendo considerato conferimento in denaro. In tal modo la Corte di Appello escludeva in maniera radicale la possibilità di eseguire un conferimento per mezzo di criptovalute, qualunque essa sia. A parere di scrive la Corte di Appello ha avuto nei confronti delle criptovalute un atteggiamento molto prudente, probabilmente “intimorita” da questo fenomeno che, senza ombra di dubbio, presentava e presenta dei profondi ed importanti profili di criticità, accompagnata dall’assenza di norme regolatrici. D’altro canto la ricostruzione offerta dal Tribunale di Brescia, più possibilista, è verosimilmente più aderente all’attualità rispondendo, seppur in maniera obbligatoriamente limitata. Concentrandoci sulla soluzione possibilista di quest’ultimo emerge come in ipotesi simili a rivestire fondamentale importanza dovrebbe essere la perizia di stima.

Questa non deve contenere esclusivamente la valutazione del bene oggetto di conferimento, ma anche i criteri con i quali si perviene a detta valutazione che devono essere il quanto più possibile chiari e precisi. E’ fondamentale che un’eventuale criptovaluta sia definibile come “eteroreferenziata”, cioè riconosciuta, trattata, scambiata, sui maggiori siti di Exchanger presenti sul panorama, affinché possa costituire oggetto di conferimento. Altresì una tale perizia dovrebbe prendere in considerazione la spiccata volatilità di detti strumenti e, auspicabilmente, dovrebbe prevedere (o dovrebbero essere predisposti dal socio conferente) dei correttivi nelle ipotesi in cui il valore della criptovaluta scenda in tal modo da intaccare il capitale sociale e la sua funzione di garanzia per i creditori. Ulteriore aspetto che la perizia dovrebbe prendere in considerazione (cosa non fatta nel caso di specie) è quello di indicare quali potrebbero essere le concrete possibilità e modalità per l’aggressione da parte dei creditori sociali del bene oggetto di conferimento5

Teoricamente qualora si riuscisse a dare concreta risposta a tali interrogativi, niente dovrebbe poter impedire di operare un conferimento per mezzo di criptovalute. Una risposta che, a confronto di quella di totale chiusure offerta dalla Corte di appello, appare più conforme alle pulsioni dell’odierna società. Vero è che, come anticipato nel precedente contributo6, il rischio di reati quando parliamo di questi strumenti, primo tra tutti il “riciclaggio” di denaro, è sempre dietro l’angolo. Ma non solo quello.

Ad onor di cronaca nel caso di specie il rigetto all’iscrizione della delibera presso il Registro delle Imprese si è dimostrato quanto mai giusto e lungimirante. Infatti l’ironia vuole che proprio OneCoin e la sua ideatrice, siano stati di un documentario targato BBC dal titolo “Miss Miss Miss Criptoqueen”. OneCoin si è rivelata un’enorme “schema Ponzi” ed è definita come la più grande truffa non solo della storia delle criptovalute, ma del XXI secolo. Si stima siano “spariti” nel nulla oltre 4 miliardi di dollari. Cionondimeno il fenomeno cripto non accenna a rallentare e corre molto più veloce di qualunque legislatore, offrendo sempre nuovi spunti nuovi. Ad esempio il 25% del Rimini Calcio, club che milita oggi nella Serie D italiana, nel luglio 2018 è stato acquistato per mezzo di criptovalute. In particolare la Heritage Sports Holdings ha utilizzato i QTCt (QuantumCoin), che utilizza la tecnologia della “blockchain”. Ancora, l’acquisto di immobili attraverso l’utilizzo di criptovalute, la prima volta in Italia, sempre nel 2018, a Torino. Tale fenomeno che sta avendo sempre più importanza in Paesi come ad esempio gli Emirati Arabi. Senza poter scendere nei particolari, per quanto riguarda l’Italia il primo problema giuridico da affrontare è quello della qualifica dell’atto. E’ da considerarsi una compravendita o una permuta? La domanda può sembrare banale, ma riporta nuovamente a quesito iniziale “qual è la natura giuridica delle criptovalute?”. 


1Con detto termine si intende un password di autenticazione della transazione. Viene altresì utilizzato da diversi servizi bancari, come forma di OTP

2Per Exchanger si intende un servizio di intermediazione che, dietro il pagamento di una piccola commissione, consente di acquistare e/o vendere valute digitali. Quindi non solo BitCoin, Ethereum e Ripple ecc., ma anche valute minori e meno diffuse

3Decreto di rigetto n.7556/2018, Tribunale di Brescia, Sez. specializzata in materia di impresa (R.G. 2602/2018)

4Corte di Appello di Brescia, decreto di rigetto n. 26/2018 (R.G. 207/2018)

5Tale aspetto sarà approfondito nel prossimo contributo sul Blog legale MeliusForm

6Cfr. blog Legale MeliusForm, “Riflessione sulla natura giuridica delle criptovalute” del 14/02/2022

Ultima modifica il 10/05/2022