A cura di R. Lomasto, Docente in area Gestione del Personale

Linfa s. f. [dal lat. lympha «acqua»]

In senso figurato nutrimento (anche spirituale), in quanto penetri l’organismo (o il pensiero, lo spirito, ecc.), diventandone parte integrante: linfa vitale.

Si parla spesso di come dare linfa alla mente in un momento a dir poco spiazzante come questo

Innanzi tutto è necessario smettere di intervenire. Ho un problema, lo risolvo subito; ho un nuovo lavoro da svolgere, lo faccio subito. “Mi porto avanti” si dice, ma rispetto a cosa? Dove voglio arrivare? Portarsi avanti ha senso solo in prospettiva del riposo che ne consegue, ma la maggior parte delle volte si finisce per agire all’infinito. Mettere una X sulla To do list genera un impagabile senso di soddisfazione, ma farlo nel modo sbagliato significa non essere in grado di gestire le priorità: quello spazio che ci si è conquistati grazie all’essersi portati avanti, viene immediatamente riempito da un portarsi avanti per altro. E così non va bene. Bisogna ascoltarsi, riconoscersi, fermarsi, rimandare, procrastinare, concedersi il prezioso privilegio di non intervenire.

In secondo luogo è fondamentale smettere di farsi le domande sbagliate. A noi piace chiamarli “Pensieri carogna” e sono rami secchi in cui restiamo impigliati, autosabotandoci. Paralizzano il nostro punto di vista sulle cose e sulle persone. Ci impediscono di muoverci e cambiare strada. Se mi ammalo? Se perdo il lavoro? Se sbaglio direzione? Ostinarsi contro certi disagi non è la strada giusta perché sono solo figli di pensieri troppo razionali e densi di fatica.

La domanda da porsi è una sola: cosa posso fare per uscire da questa situazione? Saprò di essere sulla strada giusta quando tutto accade senza sforzo da parte mia, nel fluire delle cose. Eccola qui l’unica grande regola per fare un regalo alla nostra mente: SENZA SFORZI.

Per agire in questo senso la prima cosa da fare è muoversi tra due diverse dimensioni:

  1. Uscire dal ruolo di vittima. Colui che subisce è impotente (non può fare altro che piegarsi) e innocente, perché chi è o fa la vittima non attribuisce mai le colpe a sé stesso (non mi promuoveranno mai perché tutti pensano che io sia troppo giovane).
  2. Essere responsabile, che significa semplicemente “abile a rispondere”: in ogni contesto e con qualsiasi tipo di interlocutore io posso dare una risposta e so che sono in grado di farlo. Entro in questa dimensione quando rispetto ad una situazione difficile mi chiedo cosa posso fare per stare bene e so darmi una risposta. Il capo non mi fa stare bene? Mi licenzio! È una risposta eccessiva, ma è una risposta L’alternativa potrebbe essere “Non posso licenziarmi perché devo pagare la scuola, l’auto, l’abbonamento in piscina”: vittima.

Se la priorità è preservare il mio tenore di vita, difficilmente mollerò il posto così su due piedi, ma nel lungo periodo potrei spostare il focus sul bisogno di sentirmi un valore aggiunto per l’azienda e allora lo stipendio non basterà più. A questo punto o troverò rifugio in attività fuori dall’ambiente lavorativo che compensino il mio desiderio di sentirmi gratificato, oppure mi ritroverò di fronte alla domanda di partenza alla quale proverò a dare una nuova risposta. Si deduce, quindi, che una domanda possa essere riformulata di volta in volta, a seconda dello scenario con cui si ha a che fare, l’importante è smettere di porsi quelle sbagliate (pensieri carogna).

Vi lasciamo infine con quattro regole pratiche per porsi le domande in modo corretto:

  1. Sospendete il giudizio su ciò che accade: non valutate gli eventi come buoni o cattivi, in assoluto, in base agli obiettivi che pensate di dover realizzare per essere felici (sposarsi, fare figli, svolgere un determinato impiego). I fatti sono neutri, siete voi a dargli un valore.
  2. Percepite le vostre resistenze. Se agendo in una certa maniera sentite una sensazione di fatica, ostinazione e difficoltà in sottofondo, vuol dire che state andando contro corrente e quindi con sforzo. Sbagliato. Mollate anche la palestra se invece di farvi stare bene diventa un peso.
  3. Accorgetevi degli automatismi mentali: pensieri fatti solo in funzione dell’esterno e di modelli che servono per sentirsi al posto giusto, accettati, ammirati. Una buona mamma è quella che cura l’alimentazione del figlio, una brava moglie è colei che mantiene la casa pulita, un buon lavoratore è quello che non arriva mai in ritardo.
  4. Liberatevi dell’ idea che avete di voi stessi perché le autodefinizioni bloccano in un’ immagine statica che sacrifica interi lati della vostra persona. “Sono un tipo sempre ottimista”, “Io sono un ansioso cronico”, “La pazienza non mi appartiene”: sono luoghi comuni che vi inseriscono in uno schema, ma scardinandoli scoprirete infinite sfumature.

Sono fatto così non deve essere un punto di arrivo che preclude ogni possibilità di cambiamento, deve essere un punto di partenza per fare scelte diverse e più felici.

Questi ed altri temi sono affrontati nel Master in Risorse Umane.

 

 

Ultima modifica il 14/04/2021

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