Normativa e dubbi interpretativi 

A seguito dell'emergenza epidemiologica dovuta al diffondersi del Covid-19, molte aziende, durante il periodo di lock-down, hanno dovuto fare i conti con l'inevitabile crisi economica che ha colpito il nostro Paese.

Questo periodo ha messo a dura prova il tessuto economico dell'intera nazione, composto principalmente da piccole – medie imprese le quali, nella maggior parte dei casi, per fronteggiare lo stato di crisi, hanno dovuto ricorrere ad un riassetto organizzativo, strategico ed economico a discapito dei lavoratori.

Infatti, dati alla mano, si registra una diminuzione generale della domanda di lavoro su base congiunturale (- 0,5% delle posizioni lavorative sul trimestre precedente) ed un aumento del costo del lavoro dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e dello 0,8% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (questo aumento è determinato dall'aumento delle retribuzioni e, soprattutto, degli oneri sociali). La riduzione delle posizioni lavorative è associata anche alla coseguente diminuzione delle ore lavorate per dipendente, pari a -8,8% su base congiunturale e a -9,4% su base annua.

Tanto premesso, proprio per evitare incontrollabili ripercussioni negative sullo stato occupazionale dei lavoratori, si è deciso di applicare un regime di deroga in tema di licenziamenti. Nel caso di specie, è con l'art.46 del D.L 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. Decreto Cura Italia) che il governo ha disposto la sospensione, dal 17 marzo 2020 per 5 mesi (come modificato dall'art.80 d.l. 34/2020), delle procedure sindacali ai fini del licenziamento collettivo avviate prima dell'emanazione del d.l., e precisamente dal 23 febbraio 2020; ed il divieto, per altrettanto periodo, di licenziare i dipendenti per motivi economici e/o organizzativi, a prescindere dalla dimensione occupazionale dell'azienda e dal numero dei dipendenti1.

In via generale, se per il recesso dal rapporto di lavoro a tempo determinato non sussistono particolari problemi, un discorso differente va fatto con riferimento al rapporto a tempo indeterminato: numerosi interventi legislativi speciali, infatti, negli anni hanno limitato in maniera netta l'area della libera recedibilità, vincolando il recesso datoriale al rispetto di stringenti limiti sostanziali e formali. Ed è proprio il rapporto di lavoro a tempo indeterminato che gioca un ruolo centrale sia nella normativa ordinaria, sia nella normativa speciale attuata nel periodo covid. Nel nostro ordinamento, come recita l'art.1 l.604/166 (cfr. Rapporto di lavoro a tempo indeterminato), il licenziamento del prestatore di lavoro non può avvenire che per giusta causa, ai sensi dell'articolo 2119 c.c., o per giustificato motivo. Questa norma identifica quindi 3 tipi di licenziamenti riconosciuti nel nostro ordinamento: per giustificato motivo oggettivo (detto anche licenziamento economico), per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo (questi ultimi due identificati come licenziamenti disciplinari).

In particolare, come sancito dall'art.3 l.604/1966, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, a differenza del licenziamento disciplinare, è causato da scelte tecniche, organizzative e produttive dell’azienda e che non hanno nulla a che fare con la condotta del lavoratore. Il licenziamento economico, pertanto, viene disposto a fronte di riorganizzazioni dell’azienda, soppressione di mansioni o di posti di lavoro, esternalizzazione di servizi precedentemente svolti internamente, perdita di appalti, ripartizione delle mansioni in capo ad un numero inferiore di dipendenti. In tutti questi casi, le scelte organizzative rendono superflue alcune posizioni lavorative le quali diventano degli esuberi.

Dunque, stando al tenore letterale del disposto dell'art. 46 del D.L 17 marzo 2020, n. 18, si dovrebbero ritenere esclusi i licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, i licenziamenti per raggiungimento del limite massimo di età per la fruizione della pensione di anzianità, i licenziamenti determinati da superamento del periodo di comporto, i licenziamenti per inidoneità allo svolgimento delle mansioni, i licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova o per raggiungimento del termine inizialmente apposto, licenziamenti ad nutum dei lavoratori domestici, risoluzione del rapporto di apprendistato.

La norma sopracitata ha destato, però, qualche polemica legata a dubbi interpretativi, anzitutto con riferimento alla categoria dei dirigenti. La categoria dei dirigenti è da sempre espressamente esclusa dall'applicazione della normativa che detta tutela legale contro il licenziamento ingiustificato di cui alla l.604/66, nonchè dall'applicazione delle tutele contenute nell'art.18 l.300/700 (ad eccezione del recesso nullo). L'anzidetta esclusione comporta che al licenziamento del dirigente si applichino esclusivamente gli artt.2118 (recesso ad nutum con preavviso) e 2119 c.c (recesso immediato per giusta causa). Ebbene, la decretazione d'urgenza che ha introdotto il blocco dei licenziamenti, nel delineare il perimetro di applicazione del divieto di licenziamento, fa esplicito riferimento all'art.3 l.604/66, di fatto escludendo i dirigenti.

Ad ogni modo, la giurisprudenza, ha sempre adottato un'interpretazione estensiva delle tutele applicabili ai lavoratori subordinati ritenendole applicabili anche ai dirigenti; in particolare attraverso l'adozione della distinzione tra dirigenti c.d. "apicali" (soggetti cui è attribuita la responsabilità di direzione e che possono fare le veci del datore di lavoro ) e i dirigenti c.d. "non apicali" o "pseudo dirigenti" (dirigenti di seconda fascia che svolgono semplice attività di gestione), dove solo questi ultimi sarebbero sottoposti all'applicazione della legge n. 604/66. Punto critico rimane che, di questa distinzione, non vi è traccia nel testo dei decreti e, pertanto, risulta complicato stabilire l'applicazione e le eventuali conseguenze sul divieto dei licenziamenti dei dirigenti di seconda fascia.

Altro aspetto cruciale con riferimento ai dubbi interpretativi di questa normativa è quello legato al diritto del lavoratore a ricevere l'indennità di disoccupazione (NASpI) anche in caso di licenziamento irrogato durante il periodo del divieto; aspetto, quest'ultimo, recentemente chiarito dall'Inps attraverso il messaggio n.2261 di giungo 2020, che esplica la possibilità, per i lavoratori il cui rapporto di lavoro è cessato involontariamente per giustificato motivo oggettivo, di accedere alla prestazione di disoccupazione. Qualora un datore di lavoro ignori i divieti previsti dall'art.46 del D.L 17 marzo 2020, n. 18 sul licenziamento, il dipendente mantiene comunque il diritto a percepire l’indennità di disoccupazione Naspi, in quanto non rileva la validità o l’invalidità del recesso. L’accesso è consentito solo nel caso esistano i requisiti previsti dalla legge considerate le causali dell’art. 46 del decreto-legge n. 18 del 2020. L’indennità sarà erogata dall’INPS con riserva di ripetizione di quanto corrisposto nel momento in cui il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo venga reintegrato nel posto di lavoro, successivamente ad un contenzioso giudiziale o stragiudiziale. Sarà il lavoratore stesso a dover comunicare all’istituto l’esito del contenzioso al fine dell’azione di ripetizione. Stessa azione sarà eseguita nel caso in cui il datore di lavoro revochi il licenziamento e chieda per il lavoratore reintegrato il trattamento della cassa integrazione dalla data del precedente licenziamento.

Per quanto riguarda, invece, i lavoratori che già percepivano l’ammortizzatore sociale, inizialmente a termine tra marzo e aprile 2020, è stata prevista la proroga all’accesso dall’articolo 92 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, per ulteriori due mesi dal termine della durata della stessa per un importo pari all’ultima mensilità percepita. La fruizione, in aggiunta, è stata prorogata per altri due mesi anche per coloro il cui periodo di fruizione terminava tra maggio e giugno (Messaggio n. 3160 del 27 agosto 2020).

Da precisare è che tale proroga vale per coloro che non siano beneficiari, in base al decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 di:

  • Indennità professionisti e lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (art. 27);
  • Indennità lavoratori autonomi iscritti alle Gestioni speciali dell'Ago (art. 28);
  • Indennità lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali (art. 29);
  • Indennità lavoratori del settore agricolo (art. 30);
  • Indennità lavoratori dello spettacolo (art. 38);
  • Istituzione del Fondo per il reddito di ultima istanza a favore dei lavoratori danneggiati dal virus COVID-19 (art. 44);

In base al decreto-legge n. 34 del 2020, di:

  • Nuove indennità per i lavoratori danneggiati dall'emergenza epidemiologica da COVID-19 (art. 84);
  • Indennità per i lavoratori domestici (art. 85);
  • Disposizioni in materia di lavoratori sportivi (art. 98).

La proroga avverrà in maniera automatica, senza necessità di ulteriore domanda. Se durante il periodo, il beneficiario maturerà i requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata, la proroga cesserà.

1 Dal 18 agosto 2020  entrano in vigore anche le eccezioni al blocco, introdotte nel d.l. 104 e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 14 agosto, n. 203,  con l'obbiettivo di ottenere una maggiore armonizzazione con i principi costituzionali, consentendo alle imprese di avviare i licenziamenti, finora bloccati.
La norma, articolo 14 d.l. 104, contiene tre espresse eccezioni al divieto. Primo, sono fuori dal blocco i licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività dell’impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività. Seconda eccezione è che l’azienda può tornare a “licenziare” con accordo collettivo aziendale di incentivo all’esodo, che consente di concordare con ogni singolo dipendente (che è libero di aderire all’accordo) una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Ebbene, in questa ipotesi, i lavoratori escono dall’azienda e beneficiano della Naspi (e probabilmente anche di un incentivo all’esodo da parte del datore).  Infine, sono possibili i licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.

 

Sitografia e bibliografia:

  • www.istat.it
  • www.ilsole24ore.com
  • www.inps.it
  • www.normattiva.it
  • R. Del Punta; Diritto del lavoro; XI edizione; Giuffrè
  • L.M Massimo – R. Massimo; Gestione e valorizzazione delle risorse umane; Maggioli editore
  • Coltroneo – Catanzaro; COVID-19 e sospensione dei licenziamenti; www.ilsole24ore.com

A cura di D. Andreoli e J. Girelli (partecipanti dell'Executive Master in Direzione del Personale e dell'Executive Master in Amministrazione del Personale e Consulenza del Lavoro)

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Gestione del Personale.

Ultima modifica il 14/09/2020

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