Il coaching: strumento per raggiungere gli obiettivi di crescita

Adesso gioca il tuo gioco, quello che soltanto tu eri destinato a giocare, quello che ti è stato donato quando sei venuto al mondo
 

Bagger Vance (Will Smith), in "La Leggenda di Bagger Vance"

Le costanti sfide di innovazione e cambiamento del mercato costringono le aziende ad essere sempre più competitive. Le persone all’interno dell’organizzazione devono acquisire quindi nuove competenze tecniche e relazionali per migliorare la loro performance. Molte aziende scelgono di affiancare o sostituire ad una formazione più tradizionale il coaching, un approccio più focalizzato al raggiungimento degli obiettivi con risultati di miglioramento reali e a lungo termine. La figura del coach, secondo la definizione dell’ICF(1), instaura con i clienti “una relazione che, attraverso un processo creativo, stimola la riflessione e consente di ottimizzare il loro potenziale professionale e personale”.

Il coaching diventa quindi un potente strumento per raggiungere gli obiettivi di crescita, sia nell’ambito personale che professionale, attraverso un ampliamento della propria consapevolezza e l’attivazione di diverse modalità di comportamenti nel contesto lavorativo. Vengono posti obiettivi specifici e misurabili focalizzandosi su azioni e risultati, migliora competenze e caratteristiche personali valorizzando le potenzialità già possedute.

Esistono diversi modi per strutturare un percorso di coaching, la cui base è costituita dal rapporto di fiducia, trasparenza e riservatezza tra coach e coachee. Vediamo quali sono generalmente i diversi momenti di un percorso di coaching(2):

 

  • INTAKE: si fa la conoscenza reciproca e si stila un patto di coaching in cui si definiscono gli obiettivi, le strategie, la durata del percorso e gli impegni di entrambe le parti;
  • DEFINIZIONE DEL PIANO DI AZIONE: vengono definite le azioni da intraprendere, le priorità delle stesse, la verifica di eventuali ostacoli e le risorse per affrontarli;
  • FASE DI IMPLEMENTAZIONE: il piano di lavoro viene attuato: se in questa fase il coachee sperimenta insuccesso o indecisione è necessario verificare cosa sia accaduto, cosa non ha funzionato e, eventualmente, modificare il piano d’azione; al contrario, se i risultati sono stati positivi, è importante riconoscere il successo e rinforzare le modalità adottate;
  • CONCLUSIONE: si verificano gli obiettivi, si ripercorre tutto il percorso, si individuano gli strumenti che il coachee ha riconosciuto come particolarmente utili per poter proseguire in autonomia.

A livello aziendale il coaching può essere erogato in forme diverse, dalle sessioni di gruppo a quelle one-to-one e possono avere durata annuale o di un solo incontro. Possiamo distinguerlo anche per categoria di interlocutori: l’executive coaching è destinato ad imprenditori e top manager, il leadership coaching è tipicamente a beneficio di team leader e il corporate coaching è strutturato per tutta l’impresa.

Per capire meglio questo processo abbiamo intervistato Rosaria Lomasto, laureata in Scienze della Formazione e con alle spalle quasi 20 anni di esperienza, opera stabilmente in qualità di executive business coach, trainer e consulente nell’ambito delle risorse umane. Coordina ed è docente di diversi Master dell’area HR di MELIUSform Business School.

Buongiorno Rosaria, puoi spiegarci in cosa consiste il coaching?

Il coaching è un metodo di sviluppo personale. Coach deriva dall’inglese e significa letteralmente “carrozza” perché è come se il coach trasportasse il proprio coachee da una situazione attuale (solitamente di disagio) ad una situazione ideale. Gli obiettivi possono essere svariati, relativi all’attività professionale e quindi si parla di business coaching, come la difficoltà a coordinare il team, o alla sfera personale e quindi si parla di life coaching: “vorrei andare in palestra ma non riesco”. Si differenzia dalla psicoterapia in quanto non va a capire i motivi per cui il coachee è portato a mettere in atto determinati comportamenti ma attraverso una semplice conversazione, offre altri punti di vista per leggere la situazione per capire come procedere.

Da quanto tempo ti occupi di coaching? Quante persone hai formato?

Dal 2015-16. Ho fatto un master di 2 anni per diventare coach, con tanto di esame e certificazione ICF. Ho formato tantissime persone.

Quali tecniche di apprendimento utilizzi per i tuoi “allievi”?

Il mio modello è quello ontologico trasformazionale. Uno dei miei libri di riferimento è “Coaching e neuroscienze” di Raquel Guarnieri e Paolo Baldriga. Ritengo molto efficace il processo di self-empowerment e anche il metodo dell’appreciative inquiry. Quest’ultimo consiste in un approccio molto diverso dal problem solving tradizionale. Parte dal presupposto che ognuno di noi è già perfetto come è: tutte le risorse che si posseggono sono già possibili e sufficienti per un determinato sviluppo; devi seguire le tue attitudini e le tue capacità. Per esempio, puoi diventare un esperto contabile anche se sei più un Cicerone per natura.

Perché l’utilizzo del coaching è preferibile rispetto ad altri approcci (consulenza, counseling, ecc.) e che differenza c’è tra un coach, un consulente e un manager?

Non c’è un approccio preferibile all’altro; dipende da quello che preferisce il coachee. Sono tre cose diverse, dipende dal tuo bisogno e da quanto è nelle tue corde. Il coach non ha mai soluzioni. Attraverso le conversazioni e le domande ti fa scoprire in autonomia la TUA soluzione. Se dai la soluzione a un coachee hai sbagliato completamente! Il consulente può anche essere un coach. Suggerisce le soluzioni. Il manager è colui che coordina le persone motivando i collaboratori e riducendo i costi con unico obiettivo: aumentare la produttività e soddisfare il cliente.

Qual è l’esperienza di coaching più soddisfacente che hai fatto nella tua carriera?

Sono molto contenta in due occasioni: la prima quando il coachee piange, in quanto significa che hai colto il suo punto nevralgico. La seconda quando cambiano espressione all’improvviso e dicono: “Rosaria, non ci avevo mai pensato”. E’ come se avessi seminato un piccolo germoglio. Quali sono le caratteristiche psicologiche che deve avere un coach? Innanzitutto, deve sospendere il giudizio (ed è la cosa più difficile da fare). Significa che, quando la persona ti parla, non devi giudicarla, devi ascoltare solamente che ti dice per darle una possibilità di vederla in altro modo. E poi “amare” il tuo coachee e accoglierlo completamente.

Quale percorso formativo è consigliabile per chi desidera diventare un coach? Quali abilità pensi che vadano maggiormente sviluppate?

Io consiglio un percorso lungo. Master e certificazione. Le abilità sono sospensione del giudizio, empatia e lo sviluppo di un linguaggio appropriato.

Un consiglio per i futuri coach?
Non improvvisate! Preparatevi! La sessione di coaching non è una chiacchierata. Bisogna poi ascoltare, spegnere la radio che è nella testa. E soprattutto crederci.


(1) International Coaching Federation.
(2) Lavorare nelle Risorse Umane, competenze e formazione 4.0, Giuditta Alessandrini, Armando Editore, 20

Bibliografia

  • Alessandrini, G. (2019). Lavorare nelle Risorse Umane, competenze e formazione 4.0. Armando Editore.

A cura di S. Iannaccone, A. Tregambi, B. Cassaniti e C. Ciavardini (partecipanti dell'Executive Master in Risorse Umane e dell'Executive Master in Direzione del Personale)

​Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Gestione del Personale.

 

Ultima modifica il 11/05/2021

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