Il marketing incontra le risorse umane 

Perché conta la reputazione di un’azienda?

Le persone, dagli aspiranti collaboratori agli stakeholder, si rivolgono ai social media, alle recensioni e alle notizie su un’azienda prima di mettersi in contatto con la stessa. Secondo LinkedIn quasi l'80% dei candidati effettua ricerche sulla reputazione di un'azienda prima di presentare la candidatura. Le informazioni che si possono ricavare, anche attraverso i vari social network, sono tantissime: leggiamo le recensioni di un ristorante prima di prenotare, siamo abituati a consultare le caratteristiche dei vari modelli di telefoni prima di decidere quale acquistare. Non potrebbe essere diverso quando si tratta di firmare un contratto. L'obiettivo di un'azienda è quindi quello di essere riconosciuta come luogo di lavoro ideale. 

I principali responsabili dell’immagine d’impresa e, al contempo, i principali promotori, sono i dipendenti. Richard Benson afferma: “Non vengono prima i clienti. Sono i dipendenti che vengono prima. Se ti prendi cura dei dipendenti, loro si prenderanno cura dei clienti.” Il loro punto di vista espresso mediante referenze e recensioni, sia positive che negative, può avere un impatto importante sull’azienda.

Parliamo dunque di Employer Branding, una strategia di marketing che mira, attraverso la visione degli stessi collaboratori, al consolidamento della reputazione dell’azienda e a promuoverla come luogo di lavoro valido e ideale. Employer Branding è possibile tradurlo in “marchio del datore di lavoro” che viene esposto agli occhi dei potenziali collaboratori, dei potenziali clienti e degli stessi dipendenti. È la somma della brand identity, ovvero dell’identità lavorativa e dell’employees value proposition, cioè dell’esperienza lavorativa di coloro che fanno parte dell’organizzazione.

I talenti vogliono conoscere la cultura e i valori dell’azienda, in particolare, i principali fattori di attrazione sembrerebbero essere: ambiente di lavoro, work-life balance, possibilità di crescita. Nella nuova War of Talent, nasce la necessità da parte delle aziende di adottare una strategia di Employer Branding che consenta di promuoversi e distinguersi rispetto ai competitor. È quindi possibile considerarla come parte centrale del marketing, nonché uno strumento utile alla gestione e al rafforzamento del brand aziendale. L’errore, spesso commesso, sta nel considerare l’employer branding come un modo più innovativo di fare recruiting e, per tale motivo, di competenza esclusiva del dipartimento delle Risorse Umane.

Per creare una strategia vincente, chi gestisce le Risorse Umane e chi si occupa del Marketing devono cooperare. Ai primi spetta la creazione di un ambiente ideale, basato sull’ascolto e sul mantenimento di un buon clima; ai secondi, invece, la parte inerente all’implementazione di attività, di analisi del target e di individuazione dei canali e dei messaggi rivolti al pubblico esterno ed interno. Ciò che lega questi due rami dell’organizzazione è sicuramente la comunicazione che deve essere chiara, in linea con la vision e la mission aziendale e soprattutto deve esserci coerenza con quanto comunicato sia all’interno che all’esterno all’azienda.

Così come l’obiettivo del marketing è far sì che il prodotto o il servizio sia percepito come il migliore nel mercato, così l’HR deve fare in modo che i migliori talenti percepiscano quell’azienda come il posto ideale dove poter lavorare. Qualsiasi dipendente può diventare un “Brand Ambassador”, ovvero si fa da portavoce dei valori e della storia dell’azienda per cui lavora, contribuendo in questo modo a trasferire la sua passione ai nuovi candidati. A tal fine, gli HR promuovono e implementano programmi di Employee Advocacy, in base ai quali il personale viene incoraggiato a parlare del brand sui vari canali. Oggi, la promozione avviene principalmente online, attraverso le diverse piattaforme social nelle quali è possibile pubblicare contenuti, come post e video, che raccontano la vita aziendale, le testimonianze dei dipendenti, premi e riconoscimenti, al fine di attrarre l’interesse degli attuali collaboratori e connettersi con i potenziali.

Questo genera trasparenza e permette a chi sta all’esterno di comprendere com’è strutturata l’azienda, in tutte le sue sfaccettature. L’idea è che non devono essere le organizzazioni a raccontarsi poiché i loro contenuti possono apparire “spersonalizzati” e artificiali, ma si tende a dare importanza alle parole degli stessi dipendenti in quanto la loro è una comunicazione da esseri umani che si rivolge ad altri esseri umani. La Randstad Employer Brand Research, condotta su circa 190.000 persone in 34 Paesi offre ottimi spunti di riflessione sulle politiche da promuovere per soddisfare le aspettative dei giovani talenti che si stanno affacciando al mondo del lavoro. Si tratta di una survey indipendente (nessuna azienda si può iscrivere volontariamente per partecipare) che valuta il luogo di lavoro per determinare quali siano quelli più attrattivi sulla base dei seguenti criteri: atmosfera di lavoro, retribuzione e benefit, sicurezza sul posto di lavoro, possibilità di lavorare da remoto, buona formazione, work-life balance e visibilità del percorso di carriera.

La ricerca evidenzia anche profonde differenze per età: i più giovani, appartenenti alla fascia d’età 18-24 anni, ricercano soprattutto aziende con un’atmosfera di lavoro piacevole, realtà che offrono possibilità di carriera e ottima formazione; la fascia 25-34 anni guarda prioritariamente alla retribuzione ed ai benefits; gli adulti della fascia 35-54 anni cercano prima di tutto work-life balance, che risulta al primo posto anche per i 55-64enni, tra cui però c’è simile interesse anche per sicurezza del posto e solidità finanziaria dell’azienda. Nel 2021 il vincitore del Randstad Employer Brand è Ferrari con il 74,3% delle preferenze. Oggi, le imprese devono riuscire a conquistare un vasto pubblico di stakeholder e salvaguardare la loro reputazione per essere “appetibili” nel mercato.

Questo, per diverse ragioni che vanno dal ridurre i costi dell’assunzione, dalla diminuzione del tasso di turn over, alla maggiore possibilità di attrarre personale qualificato. Per competere in un mondo del lavoro in continua evoluzione quale quello che ci circonda, bisogna puntare su un approccio interno all’organizzazione, investendo sulle Risorse Umane, sul loro sviluppo e sul coinvolgimento. Come sostiene Rosario Sica nel suo libro “Employer Experience: il lato umano delle organizzazioni nella quarta rivoluzione industriale”: “Molte cose possono contribuire ad elevare la percezione di un’impresa e l’interesse dei nuovi assunti ad entrarvi, ma una delle spinte più forti viene da quello che, sull’organizzazione, hanno da dire coloro che già fanno parte.


A cura di Simona Carotenuto, Ivana Evola e Valentina Quadrana (partecipanti dell'Executive Master in Direzione del Personale e dell'Executive Master in Risorse Umane)

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in area HR, Lavoro, Paghe e Sviluppo.

 

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