Mansioni e Ius Variandi

Il rapporto di lavoro è il protagonista di profonde trasformazioni, dovute a molteplici fattori quali le crisi economiche e sociali, la globalizzazione e soprattutto le inarrestabili innovazioni tecnologiche che richiedono cambiamenti organizzativi. Una delle conseguenze di questa trasformazione ricade sulle professionalità già presenti nei contesti aziendali;  man  mano che le vecchie mansioni vengono informatizzate, per evitare il fenomeno della disoccupazione tecnologica è necessario inventare posizioni di lavoro e modificare le procedure organizzative[1].

In questo scenario, il legislatore del 2014 con la legge delega n. 183/2014, è intervenuto sull’oggetto del contratto di lavoro, ossia le mansioni, invitando il Governo ad aumentare la flessibilità interna dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato per ampliarne l’attrattività e sostenere il primato di quest’ultimo. Ed ecco che, con il decreto n. 81/2015 all’art. 3, viene modificata la disciplina delle mansioni con l’obiettivo di una flessibilità organizzativa del rapporto di lavoro che bilanci le esigenze aziendali e la tutela dei diritti dei lavoratori dipendenti.

Lo jusvariandi, consiste nella facoltà del datore di lavoro di variare unilateralmente l’oggetto dell’obbligazione del lavoratore, stabilito nel contratto.

La disposizione che disciplina le mansioni e relativo jusvariandi è contenuta nell’art. 2103 del cod. civile e negli anni ha subito diverse modifiche. Il nuovo art. 2103 è un mix di soluzioni originali, di parti che ne riciclano la formulazione originaria o che confermano l’impostazione statutaria, e stralci presi da alcuni orientamenti giurisprudenziali.

Per un’analisi esaustiva dello jusvariandi è prima necessario definire il sistema di inquadramento dei lavoratori basato sulle nozioni di mansioni qualifiche e categorie, per poi passare la rassegna sia della previgente sia della nuova regolamentazione dell’art. 2103 c.c.

INQUADRAMENTO: MANSIONI, QUALIFICHE, CATEGORIE

La nozione di mansioni identifica l’insieme unitario ed organico dei compiti che il lavoratore/debitore è chiamato contrattualmente ad eseguire nell’organizzazione produttiva in cui è inserito ed il datore/creditore legittimamente ad esigere[2]. Le mansioni quindi determinano l’elemento qualitativo della prestazione di lavoro, individuano il valore sotto il profilo delle prestazioni esigibili e rappresentano l’oggetto dell’obbligazione principale a cui è tenuto il lavoratore.

Nel campo del contratto di lavoro subordinato tali prestazioni sono individuate in sede collettiva e/o individuale e rispecchiano l’organizzazione del lavoro di un’azienda. La successiva specificazione dei compiti richiesti al lavoratore, rientra nell’ambito del potere del datore di lavoro ovvero dello jusvariandi[3].

Le qualifiche sono definite diversamente dalla giurisprudenza, nel rapporto di lavoro e dalla contrattazione collettiva. Nella giurisprudenza, richiamando l’art. 96 comma 2 delle disposizioni attuative del codice civile; la qualifica è considerata una variante semantica delle mansioni che individua un raggruppamento di quest'ultime che, in genere, identifica una figura professionale precisando la posizione lavorativa del lavoratore ed il suo inquadramento, e di conseguenza il trattamento economico-giuridico da applicare[4]. Invece nel rapporto di lavoro, il concetto di qualifica ha una dimensione soggettiva ed anche oggettiva. Il concetto di qualifica soggettiva del lavoratore si riferisce alle capacità e caratteristiche professionali acquisite attraverso un percorso di studio, di formazione o a seguito di precedenti esperienze lavorative[5]. La qualifica nella sua accezione oggettiva rileva come un insieme di professionalità esercitate o potenzialmente esercitabili dal lavoratore nell’esecuzione della prestazione contrattuale a seguito dell’estensione dell’ambito della prestazione convenuta nel programma negoziale pattuito fra le parti. Definita in tal modo la qualifica identifica le figure professionali (es cameriera, saldatore, archivista) di fatto esistenti sul mercato del lavoro ed accolte dalla contrattazione collettiva. Nella contrattazione collettiva alla qualifica è attribuita la funzione di raggruppare tutte le posizioni di lavoro omogenee alle quali è riconosciuto uguale trattamento economico-giuridico.

Le qualifiche vengono poi raggruppate in entità classificatore più ampie: le categorie, che determinato il trattamento normativo del lavoratore. Il legislatore all’art. 2095 c.c. individua quattro categorie: operaio, impiegato, quadro e dirigente, ma ne rinvia a leggi speciali le relative definizioni.

Per l’individuazione delle mansioni e quindi della categoria e qualifica del lavoratore ciò che rileva sono le intese intercorse tra le parti o il cd principio di contrattualità delle mansioni, confermato tutt’ora dall’art. 2103 c.c secondo cui “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto”. Oltre all’art. 2103 c.c. abbiamo ulteriori norme che prevedono obblighi di informazione in capo al datore in relazione alle mansioni affidate e sono l’art. 96 comma 1 disp. att. c.c (che prevede il diritto del lavoratore ad essere informato circa la categoria e la qualifica assegnategli in relazione alle mansioni per cui è stato assunto) e l’art. 1 lett. f) d.l.gs n. 152/1997, secondo cui il datore di lavoro è tenuto ad informare il prestatore sull’inquadramento attribuitigli attraverso la consegna della comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro inviata al centro per l’impiego.

Spetta poi alla contrattazione collettiva specificare le mansioni effettive a cui è adibito il lavoratore; tant’è che la giurisprudenza per risolvere le controversie sull’inquadramento del lavoratore, qualora, come spesso accade, il contratto individuale non indichi con completezza le mansioni a cui è adibito, utilizza prevalentemente il contratto collettivo.

La contrattazione collettiva fino agli anni ‘60 ha sempre fatto riferimento ad un sistema di classificazione tipico del regime corporativo ormai obsoleto. Per tale motivo, in questi anni, sono stati sperimentati nuovi sistemi di classificazione fondati su strumenti di valutazione delle posizioni del lavoro, che però hanno incontrato la diffidenza dei sindacati e non hanno avuto seguito. Gli anni ‘70 danno una svolta: viene adottato il sistema di inquadramento unico e due sono state le novità importanti: in primo luogo la semi-eliminazione della divisione fra operai ed impiegati attraverso l’adozione di una scala di classificazione unificata; in secondo luogo, la riduzione delle categorie contrattuali di inquadramento (livelli), con parziale modifica delle tecniche di inquadramento. Si è realizzata una classificazione con declaratorie descrittive seguite da esemplificazioni di singole mansioni. In definitiva l’inquadramento unico ha realizzato un riaggiustamento classificatorio, riducendo le differenze salariali e di perequazione normativa fra operai ed impiegati. Negli anni ‘90 alcuni contratti di categoria hanno riformato il sistema di inquadramento con l’obiettivo di estendere l’area delle mansioni esigibili e quindi la mobilità interna. Ad esempio il contratto dei chimici ha sostituito i tradizionali livelli di inquadramento con nuove aree, livelli, categorie o gruppi professionali di inquadramento, con trattamento retributivo differenziato, graduate internamente sulla base di parametri flessibili entro cui inquadrare i lavoratori sulla base delle declaratorie e dei profili professionali. Su questa traccia, alcune aziende, hanno creato sistemi interni di “job architecture[6].

Il Jobs act ha fatto maturare la consapevolezza, anche a livello sindacale, della necessità di legare professionalità (e la sua valutazione) e produttività, attraverso la contrattazione aziendale.Ciò si è dimostrato lo strumento più idoneo a legare la materia classificatoria con i meccanismi di valutazione - premiazione relativa al raggiungimento di determinati livelli di produttività. I gruppi FCA e CNH Industrial rappresentano il primo esempio di utilizzo della contrattazione aziendale in materia di inquadramento[7].  

JUS VARIANDI: EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO

L’art. 2103 del c.c.è una delle norme più discusse dell’ordinamento giuslavoristico ed il legislatore ha da sempre difficoltà nell’individuare una disciplina dello jusvariandi che bilanci il principio di libertà dell’iniziativa economica di cui all’art. 41 Cost. da una parte e la tutela dei valori di libertà e dignità della persona del lavoratore e della sua professionalità dall’altra[8].

Lo statuto dei lavoratori, modificando l’art. 2103 del c.c. prevedeva che il prestatore di lavoro dovesse essere adibito alle mansioni per le quali era stato assunto, introducendoil principio dell’immodificabilità in peggio della mansione nonché della irriducibilità della retribuzione[9].

Era consentita solamente la cosiddetta mobilità orizzontale per mansioni equivalenti o la mobilità verticale in senso ascendente.

Il concetto di mansione equivalente è stato definito nel tempo dalla giurisprudenza, secondo la quale, per mansione equivalente è da intendersi “non solo il - mantenimento del - livello formale di inquadramento ma anche - della - professionalità, come diritto alla conservazione e all’accrescimento del corredo di nozioni ed esperienze acquisite dal lavoratore nella pregressa fase del rapporto”[10].

Nel caso di assegnazione a mansioni superiori, ove essa non avveniva in sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, la stessa era definitiva dopo un periodo di tempo fissato dalla contrattazione collettiva e comunque non superiore ai tre mesi. Era previsto inoltre il diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta.

Il demansionamento, infine, era vietato. Il secondo comma dell’art. 2103 del cod. civile stabiliva la nullità di ogni patto contrario La violazione di tale disposto, secondo la giurisprudenza prevalente, comportava la condanna alla corresponsione delle retribuzioni dovute, il ripristino della situazione pregressa (che poteva attuarsi anche con l’attribuzione a mansioni differenti ma equivalenti alla precedente) e il risarcimento del danno sia patrimoniale ex art. 2043 del c.c., sia non patrimoniale ex art. 2059 c.c.

Alcune deroghe a tale divieto sono state previste successivamente dal legislatore e dalla giurisprudenza al fine di tutelare lo stato di salute di talune categorie di lavoratori e per garantire il mantenimento del rapporto di lavoro.

L’articolo 3 comma 1 del D.Lgs. 81/2015 sostituisce integralmente l’art. 2103 del c.c. stravolgendo la disciplina precedente.

La prima differenza sostanziale la troviamo nella mobilità orizzontale: viene eliminato il concetto di mansione equivalente e viene sostituito dalla possibilità che il lavoratore possa essere adibito a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

Anche la disciplina dell’assegnazione di mansioni superiori ha subito modifiche: secondo il nuovo comma sette dell’art. 2103 c.c. l’attribuzione diviene definitiva secondo quanto stabilito dai contratti collettivi, o in mancanza, dopo sei mesi continuativi.

Con il nuovo disposto vengono inserite due fattispecie di demansionamento del lavoratore.

La prima “consiste nella previsione legale dell’assegnazione dello stesso a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria”[11], in presenza di una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidano sulla posizione del lavoratore oppure in presenza di una statuizione collettiva, anche di secondo livello, che potrà prevedere ipotesi di assegnazione al livello di inquadramento inferiore. In questi casi, il mutamento di mansione deve essere comunicato per iscritto al lavoratore e il trattamento retributivo non muta, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità dello svolgimento della mansione precedente.

La seconda consiste nella fattispecie enunciata dal comma sei del nuovo art. 2103 c.c.; la nuova disposizione descrive la possibilità per il lavoratore e il datore di lavoro di accordarsi in relazione ad una modifica, che può riguardare non solo il livello di inquadramento ma anche la categoria legale e la retribuzione.Tale pattuizione deve essere stipulata ai sensi del comma 4, art. 2113 c.c. o avanti le commissioni di certificazione. Questa possibilità è concessa nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita.

La nuova facoltà del datore di lavoro di effettuare un demansionamento unilateralmente in presenza di una “modifica degli assetti organizzativi aziendali”, lascia al giudice il solo compito di valutare la sussistenza del presupposto organizzativo e il nesso di causalità, come avviene per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La “modifica degli assetti organizzativi aziendali” resta tuttavia una definizione dai confini difficilmente definibili, ciò senz’altro darà vita a diverse interpretazioni e sarà causa di numerosi contenziosi.

Il legislatore ha inoltre voluto dare maggior spazio all’autonomia collettiva e, solo in carenza, soccorre il termine di legge.

 

[1] E. Brynjolfsson-A McAfee, La nuova rivoluzione delle macchine. Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante, Milano, 2015.

[2]G.Giugni, Mansioni e qualifica, in ED, XXV, Milano, 1975, 545ss.

[3] M. Persiani, Lineamenti del potere direttivo, in Trattato di Diritto del lavoro,diretto da Persiani e Carinci, vol. IV, 401 ss.

[4] G. Giugni, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit.

[5] P. IChino ,Il contratto di lavoro, vol. I Milano, 2000, 112 ss.

[6]Sartori, Mansioni e inquadramenti: il ruolo della contrattazione collettiva prima e dopo il Jobs act, in Argomenti di diritto del lavoro, II, 1356 ss.

[7] Http: www.bollettinoadapt.it/contratto-collettivo-specifico-ccsl-di-primo-livello-fca-cnh.

[8] Corte cost. 6/04/2004, n. 113, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 2004, II, 276.

[9]Lesce D., Il nuovo art. 2103 cod. civ: come e quando il datore di lavoro può modificare la mansione del dipendente, www.diritto24.ilsole24ore.com.

[10] Salazar P., Demansionamento e mansioni equivalenti, Il lavoro nella giurisprudenza 4/2013.

[11] Carnovale C., Profili di costituzionalità della nuova disciplina dello jusvariandi, La disciplina delle mansioni prima e dopo il Jobs Act - Quadro legale e profili problematici.


A cura di Mariella Feriti Alessandro Paris (partecipanti agli Executive Master in Direzione del Personale e Amministrazione del Personale e Consulenza del Lavoro - MI)

Il percorso per diventare esperto in materia di Amministrazione del Personale richiede determinazione e impegno: per la formazione delle competenze specialistiche, c'è il Master in Amministrazione del Personale e Consulenza del lavoro di Meliusform Business School.

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