Intervista a S. Fergnani, HR Business Partner

Oggi tutte le aziende, sia in Italia che all’estero, parlano ormai di e-recruiting. Il tema dei social è fondamentale: il Cv non è più cartaceo, nè elettronico, ma social. L’altra grande dimensione è quella del personal e dell’employer branding, vere e proprie tecniche di marketing del lavoro. Quindi i social e il marketing hanno trasformato un processo che da analogico è passato totalmente al digitale.

Il recruiting nelle sue fasi è rimasto più o meno inalterato, quello che è cambiato è il modo con cui si utilizzano le diverse tecnologie e si gestiscono le diverse fasi. Qui la trasformazione è davvero notevole e ha portato a un processo più veloce e strategico e in grado di migliorare la customer experience. Se invece questi strumenti non vengono utilizzati bene non sempre si ottengono i giusti risultati. Se riusciamo ad essere più efficienti e veloci nella selezione, per esempio, possiamo dedicare più tempo al rapporto o alle attività di comunicazione sui social o ai processi di ascolto. Se il recruiter prima era per lo più accostabile allo psicologo del lavoro che veniva assunto con il ruolo di selezionatore, oggi questo non è più sufficiente. A queste competenze, infatti, vanno aggiunte quelle tecnologiche perché il recruiter di oggi deve essere in grado di governare diversi strumenti digitali, avere anche competenza in tema di analytics. Altra caratteristica fondamentale è quella della comunicazione in un contesto di social media marketing. Uno degli elementi fondamentali è il social recruiting. Dobbiamo accettare i social all’interno del processo di selezione e quindi il tema della reputazione diventa fondamentale. Ci sono società, non Italia ma all’estero, che mappano la reputation dei candidati andando a lavorare sui social, fornendo un servizio all’azienda stessa sul posizionamento del candidato. Tutti i dipendenti di un’azienda diventano partner e ambasciatori dell’azienda, quindi contributori dell'employer branding oltre che del branding aziendale. Un'ottima strategia di Employer Branding ha come destinatari certamente i dipendenti attuali, tutti i clienti e i potenziali ma in particolare ad essere coinvolti saranno i candidati ideali che l’azienda mira ad ingaggiare. È tutta l’azienda, dunque, a fare da recruiter. Tutti i colleghi del recruiter devono contribuire in maniera positiva al processo di attraction, non solo nel momento della candidate experience, ma anche quando un candidato viene assunto e diventa un lavoratore dell’azienda. Se il dipendente, infatti, non è contento nè soddisfatto lo manifesterà sui social, il suo commento verrà raccolto da Glassdoor (una piattaforma in cui i dipendenti votano la loro esperienza nell’azienda in cui hanno lavorato o semplicemente gli utenti che hanno effettuato un’interview, che sia andata a buon fine o meno, e vogliono dare un’opinione sul processo di recruiting - una sorta di Tripadvisor per le aziende) e un futuro candidato percepirà questo elemento di negatività da diversi canali. La fusione tra employer branding e company branding diventa fondamentale perchè l’employer branding può essere un canale estremamente importante per fare business, e al tempo stesso, il company branding contribuisce in maniera importante al primo. L’obiettivo ultimo a cui punta è che l’azienda venga riconosciuta dal proprio target come luogo di lavoro ideale. Deve crescere quindi in azienda la collaborazione tra chi si occupa di recruiting e chi si occupa di marketing e le competenze si devono sovrapporre. Il canale dell’employer branding può essere utilizzato anche per fare un nuovo business e in molte circostanze i candidati possono essere anche nuovi clienti.

Per comprendere meglio questi processi abbiamo intervistato Sara Fergnani, CHO (Chief Happiness Officier) certificata, che dal 2009 si occupa di risorse umane, prima recruiter in un’Agenzia per il Lavoro, poi HR Generalist con Cedecra Informatica Bancaria s.r.l., ora Human Resources Business Partner in Allitude s.p.a.

Ciao Sara, potresti spiegarci brevemente in cosa consiste l’employer branding ed il social recruiting?

L’employer branding considera – giustamente – le persone come centrali per creare del valore aggiunto. È un processo che mira a definire e comunicare i valori e le caratteristiche che rendono unico e peculiare il posto di lavoro, descrivendo l’azienda come un vero e proprio brand. La sfida dell’azienda è fare emergere questi valori rispetto alla concorrenza sia esternamente, sia internamente, creando un’immagine coerente tra il dichiarato e l’attuato nei fatti e nei comportamenti. Faccio un esempio: se dichiariamo che la trasparenza è un valore aziendale, poi questo deve essere concretizzato negli atteggiamenti attuati all’interno di essa.

Tutto ciò è poi collegato con quello che riferiscono i dipendenti al di fuori dell’azienda: ad esempio, i candidati che conoscono dipendenti che lavorano in Allitude sono già informati sulla cultura aziendale, perché questi ultimi, in modo informale, si fanno già essi stessi brand ambassador. Questo aspetto è un vantaggio notevole.

Social recruiting significa invece utilizzare i social per l’attività di recruiting. È collegato all’employer branding e si sta evolvendo ultimamente in maniera esponenziale. Esisteva comunque già una parte di digitalizzazione ancor prima di Linkedin tramite i portali web di annunci o i siti aziendali, sicuramente non in maniera così spinta come ora.

Perchè a tuo avviso è così importante oggi parlare di questi termini? La pandemia da Covid-19 li ha forse resi ancora più importanti?

Prima di tutto anche per un aspetto economico: l’employer branding riduce i tassi di turnover e in parte agevola anche in quello che è il costo dell’assunzione. Se pervengono delle candidature grazie alla nostra “reputazione d’azienda” chiaramente rappresentano potenziali candidati già fortemente motivati, e spesso anche già in linea con le caratteristiche ricercate.

Sicuramente questi processi erano importanti anche prima ma c’è stato un profondo cambiamento con la pandemia. Le persone, infatti, sono diventate molto attente a valutare aspetti intangibili (ora danno un’importanza diversa a quest’ultimi) – esempio: se l’azienda dispone di smartworking o meno, se è presente una flessibilità oraria, piano di welfare, ecc.

Con la pandemia stiamo lavorando sul recruiting anche tramite l’applicazione Microsoft Teams. Il Covid ha sdoganato la possibilità di fare questi colloqui anche tramite web (e non più solo di persona). Abbiamo infatti più possibilità orarie, con uno slot più ampio (un tempo dovevamo farli venire in azienda prima che iniziassero a lavorare, o alla fine della giornata, con tutti i problemi annessi). Le persone inoltre con lo schermo davanti si sentono più a loro agio, questo agevola l’apertura e la trasparenza, fattori che in un colloquio reputo fondamentali.

Pensi che l’employer branding possa e debba essere applicabile in ogni tipologia di azienda oppure che sia utile e gestibile sono per le grandi aziende?

A mio avviso è utile per tutte le tipologie ma sarebbe un po’ utopico dire che anche per l’azienda da 15 dipendenti sia fondamentale. L’importanza è sicuramente diversa, a seconda delle dimensioni.

Quali sono i canali cruciali per Allitude s.p.a. in ottica di Employer Branding?

Ultimamente abbiamo partecipato a due progetti in particolare: Hack@ Trento e Career Fair Unitn: il primo è un hackathon per laureati in materie scientifiche, il secondo è un evento di recruiting per fare incontrare domanda e offerta. In entrambe i casi grazie alla collaborazione di alcuni dipendenti abbiamo avuto la possibilità di presentare all’interno di questi eventi l’azienda e i progetti più innovativi. L’intento è stato proprio quello di far conoscere, ai neo-laureati e non solo, la realtà di Allitude attraverso le parole concrete di quei dipendenti che sono direttamente coinvolti nei processi.

Un consiglio per i recruiter?

Penso che noi tutti, recruiter e candidati, dobbiamo più che mai diventare leader di noi stessi, per avere la capacità di metterci in gioco, capire che siamo noi in primis gli artefici del nostro sviluppo, e affrontare le nuove sfide che il mercato del lavoro, e non solo, ci richiede. Questo concetto si riflette anche in una frase di Steve Jobs:

Non ha senso assumere persone intelligenti e poi dire loro cosa fare. Noi assumiamo persone intelligenti in modo che possano dirci cosa fare”.

Bibliografia

  • L' employer branding tra ricerca e applicazione, Lizzani, Mussino, Bonaiuto, ed. Franco Angeli, 2008;
  • Social recruiting, soft skills e neuroscienze. Criteri e strumenti per la selezione del personale, Macheda, ed. Cui, 2007
  • Lavorare nelle Risorse Umane, competenze e formazione 4.0, Alessandrini G., ed. Armando, 2019

​A cura di S. Iannaccone, A. Tregambi, B. Cassaniti, C. Ciavardini (partecipanti dell'Executive Master in Risorse Umane e dell'Executive Master in Direzione del Personale).

Questi ed altri temi sono affrontati nei Master in Gestione del Personale.

 

Ultima modifica il 06/07/2021

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