A cura della Dott.ssa Sonia Bilotta, partecipante dell'Executive Master in RISORSE UMANE

1 - Semplificazioni ed errori cognitivi

Le scienze cognitive hanno dimostrato che gli esseri umani nel prendere decisioni, specialmente quando il tempo a disposizione è limitato, tendono ad affidarsi alle cosiddette euristiche. Le euristiche sono scorciatoie di pensiero che gli umani adottano per giungere a una conclusione nel minor tempo possibile e senza un eccessivo sforzo dal punto di vista cognitivo. Tali meccanismi sono generalmente efficaci e funzionali, a patto che non si trasformino in bias. Essi sono un tipo di euristiche fallaci che si generano non a partire dai dati della realtà di cui si fa esperienza, ma a partire da percezioni sbagliate o distorte. I bias sono errori cognitivi che derivano da pregiudizi e stereotipi e che contribuiscono, al tempo stesso, ad avallare questi ultimi. La differenza tra euristiche e bias è minima, ma decisiva. Mentre le prime si costruiscono su una rappresentazione semplificata della realtà, i secondi si radicano in una rappresentazione deformata della realtà.

I bias possono essere di varia natura; tra i più noti vi sono: il bias di conferma, in base al quale si tende a preferire prospettive o persone che sono in accordo con idee che già si posseggono; il bias di attenzione, che porta chi lo intrattiene a focalizzarsi su un certo aspetto, ignorando tutto il resto; il bias di associazione che, fondandosi su degli stereotipi, spinge ad associare a una persona determinate caratteristiche.

I bias sono estremamente pervasivi e subdoli al punto che una persona può fare affidamento su di essi senza nemmeno esserne consapevole. Pertanto, è fondamentale essere a conoscenza di tali automatismi che rischiano di portare colui che si avvale di essi a prendere decisioni sbagliate. Nonostante i bias siano dannosi in tutti i contesti sociali, essi sono particolarmente nocivi durante il processo di selezione del personale in quanto possono offuscare la capacità di giudizio del recruiter. Nella valutazione dei candidati per un certo posto di lavoro è essenziale che il recruiter eserciti la massima oggettività e prenda il più possibile in considerazione fatti concreti. Se le semplificazioni euristiche, talvolta, possono rappresentare delle intuizioni che, se opportuno, sarà l’indagine del recruiter a confermare o smentire, i bias, in quanto manifestazioni di incapacità di esercitare il pensiero critico, vanno categoricamente evitati.

Il primo passo da compiere per liberarsi dei bias è conoscerli, averne coscienza e imparare a riconoscerli: è probabile che un recruiter consapevole di quali siano i bias che rischiano di compromettere il suo operato sia attento a non lasciarsi guidare da essi. Come è stato detto in precedenza, vi sono molti tipi di bias e per analizzare accuratamente ciascuno di essi sarebbe necessario avere a disposizione molto più spazio di quanto me ne sia concesso in questo articolo, pertanto, nei paragrafi seguenti, mi limiterò a prendere in considerazione solo uno dei bias di cui il recruiter può cadere preda: il bias di genere.

2 - Il bias di genere

Il bias di genere è un tipo particolare di bias di associazione che è necessario che il recruiter conosca e impari a disinnescare. Tale bias si fonda sul binarismo di genere: nel corso dei secoli la società patriarcale ha imposto come standard due generi, quello maschile e quello femminile, e a ciascuno di essi ha attribuito determinate caratteristiche sulla base di stereotipi. Secondo tale caratterizzazione, il genere femminile sarebbe dedito alla cura e alla famiglia, poco competitivo e più propenso allo studio di materie umanistiche. Per contro, il genere maschile è associato alla carriera, alla competizione e alle scienze dure. Si può notare che le presunte differenze di genere non hanno niente a che fare con le differenze biologiche riscontrabili tra i sessi, ma sono mere costrutti sociali. Questi stereotipi sono presenti ancora oggi, sebbene, sempre di più, vengano messi in discussione. Il rischio in cui il recruiter può incorrere, in questo caso, è quello di non valutare in maniera obiettiva le persone per le proprie competenze e qualità, ma di farsi guidare dal bias che, fondandosi sulla convinzione che i due generi abbiano attributi differenti, spinge a pensare che certe professioni siano più adatte a un genere e altre all’altro oppure che un genere debba essere favorito a scapito dell’altro.

L’influenza degli stereotipi di genere è stata spesso individuata come una delle cause delle disparità tra maschi e femmine nel mondo del lavoro. Il tasso di occupazione femminile, infatti, risulta essere tendenzialmente inferiore rispetto a quello maschile. Inoltre le donne, ancora oggi, percepiscono, in media, salari più bassi e hanno peggiori prospettive di carriera. Il processo attraverso il quale le persone vengono valutate e selezionate per un posto di lavoro sembra, quindi, giocare un cruciale ruolo di supporto al sistema patriarcale che ritiene quello femminile il secondo sesso. Oltre al danno sociale, bisogna anche considerare il danno che un recruiter reca all’azienda escludendo in maniera ingiustificata delle persone che potrebbero potenzialmente apportarne benefici.

Come si diceva poco sopra, il bias di genere opera secondo due modalità. La prima modalità concerne il fatto che gli individui tendono a credere che i due generi siano sostanzialmente differenti e che maschi e femmine abbiano ruoli differenti all’interno della società, perciò debbano esercitare professioni diverse. Una ricerca della sociologa Margaret M. Curran, condotta nel Regno Unito nel 1988, prova che certe abilità necessarie per un buon svolgimento di determinati lavori sono socialmente associate ai generi e che, di conseguenza, i lavori stessi vengono visti come se fossero ”da maschio” o ”da femmina”. Dalle interviste di Curran emerge che in alcuni centri commerciali o negozi frequentati da casalinghe e bambini i recruiters cercassero una figura femminile perchè ritenuta più adatta a relazionarsi con la clientela. Al contrario, negozi di prodotti tecnici, quali accessori per auto, per esempio, venivano considerati luoghi maschili e in essi la presenza di personale femminile era giudicata negativamente. L’idea che ci siano professioni femminili e maschili è dannosa per i recruiters che rischiano di scartare validi candidati solo perchè non soddisfano l’arbitrario requisito del genere.

Il secondo modo in cui il bias di genere offusca il parere del recruiter consiste nello spingere a credere che un genere, quello maschile, sia da preferire in generale. Lo stereotipo che alimenta questo bias vuole che le persone di genere femminile non siano candidate affidabili per il ruolo di cui sono investite all’interno della famiglia: alle donne spetta la gestione della casa e la cura dei figli, quindi sarebbero fuori posto al lavoro. Le donne sarebbero troppo coinvolte nella vita familiare per poter dedicarsi interamente al lavoro, come, invece, farebbe la controparte maschile. Uno studio condotto in Spagna nel 2016 da M. Josè Gonzàlez, Clara Cortina e Jorge Rodrìguez dimostra che, ancora in tempi recenti, l’attività lavorativa è associata al genere maschile: dovendo scegliere una persona tra un gruppo di candidati altamente qualificati e senza figli, i recruiters tendevano a preferire, in maniera irrazionale, gli uomini.

3 - Contrastare il bias

Nel primo paragrafo, il lettore ha appreso dell’esistenza dei bias, fallacie cognitive che possono avere un’influenza negativa in tutti i contesti sociali e, ovviamente, anche sulle decisioni di coloro che si occupano di selezionare il personale per conto delle aziende. Il seguito dell’articolo si è concentrato su un tipo specifico di bias, quello di genere. Come si è visto, il bias di genere è una distorsione di giudizio che porta il recruiter a prendere decisioni in merito ai candidati non sulla base delle loro caratteristiche individuali, ma sulla base del loro genere.

Tale meccanismo è svantaggioso per entrambi i generi perchè stabilisce a priori che certe professioni siano più confacenti ai maschi e altre alle femmine. Ciononostante, il prezzo più caro è pagato dal genere femminile: è ancora tacitamente diffusa la credenza secondo la quale per le donne sia inappropriato lavorare. Questa idea si fa strada anche nei recruiters che, favorendo gli uomini, contribuiscono ad alimentare la discriminazione verso il genere femminile. Come può, quindi, un recruiter non commettere questo tipo di errore e non correre il pericolo di perdere candidati idonei a soddisfare le esigenze delle aziende? Come è stato detto in precedenza, conoscere i bias è fondamentale per prenderne coscienza e capire se e quando tali processi si innescano. Inoltre, è stato provato che più informazioni rilevanti del candidato vengono fornite più il rischio di lasciarsi guidare dal bias diminuisce. Questo accade perch è la valutazione e la decisione si concentrano su quegli elementi che è opportuno considerare e che sono importanti per capire se un candidato è adeguato. Un’altra strategia per contrastare il bias è quella di valutare le informazioni che si hanno a disposizione in maniera coerente rispetto ai requisiti enunciati nella descrizione del lavoro. Infine, è necessario stabilire criteri chiari in base ai quali il recruiter deve operare: in tal modo l’attività del recruiter potrà essere oggetto di controlli e supervisioni per garantire a tutti i candidati eque opportunità.

Riferimenti Biografici

  1. [1]  Bias – euristiche. https://www.stateofmind.it/bias/.

  2. [2]  Gender bias: cosa sono? https://www.noemahr.com/gender-bias-cosa-sono/.

  3. [3]  William T Bielby. Minimizing workplace gender and racial bias. Contemporary Sociology, 29(1):120–129, 2000.

  4. [4]  Gunn Elisabeth Birkelund, Bram Lancee, Edvard Nerg ̊ard Larsen, Javier G Polavieja, Jonas Radl, and Ruta Yemane. Gender discrimination in hi- ring: Evidence from a cross-national harmonized field experiment. European Sociological Review, 38(3):337–354, 2022.

  5. [5]  Margaret M Curran. Gender and recruitment: people and places in the labour market. Work, Employment and Society, 2(3):335–351, 1988.

  6. [6]  M Jos ́e Gonz ́alez, Clara Cortina, and Jorge Rodr ́ıguez. The role of gender stereotypes in hiring: a field experiment. European Sociological Review, 35(2):187–204, 2019.

  7. [7]  Gary N Powell. The effects of sex and gender on recruitment. Academy of Management Review, 12(4):731–743, 1987.

 

 

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